Non mi servi più: la fuga del marito quando lei può finalmente diventare madre

C’era un tempo in cui la vita di Ginevra sembrava perfetta, fino a quel giorno che avrebbe cambiato tutto. Tornando dal lavoro un venerdì sera, mai avrebbe immaginato quello che l’aspettava. Oltrepassando la soglia di casa, chiamò con voce allegra:

«Amore, sono arrivata!»

Silenzio. Una paura strana la prese: la casa era troppo quieta.

«Strano… dovrebbe essere già qui», pensò, dirigendosi verso la camera da letto.

Appena spinse la porta, rimase paralizzata. Davide, suo marito, era intento a riempire una valigia con le sue cose, fretta e disordine nelle mani.

«Davide… cosa stai facendo?», sussurrò, la voce spezzata dall’incredulità.

«Me ne vado», rispose lui, freddo, senza neppure alzare lo sguardo.

«Come? Perché?! Cosa è successo?»

«È colpa di tuo padre», sbottò, irritato.

«Mio padre? Ma che c’entra lui?»

Ginevra non capiva nulla: né le parole, né il senso, né perché la sua vita coniugale, costruita con amore e sacrifici, stesse crollando sotto i suoi occhi.

Si erano conosciuti quando lei aveva ventotto anni. Davide, più grande di otto, appariva sicuro, affascinante, esperto. Allora, le era sembrato l’uomo perfetto. Parenti e amici le ricordavano che il tempo passava, che non era più una ragazzina. Cominciò a vedere ogni corteggiano come un possibile marito, spaventandoli tutti.

Ma con Davide fu diverso. Si incontrarono in un caffè di Firenze, presentati da un collega. Lui fu gentile, attento. E quando scoprì che Ginevra possedeva un appartamento nel centro, un’auto nuova, un buon lavoro al municipio e un padre benestante, diventò ancora più premuroso.

Un anno dopo, un matrimonio sfarzoso, pagato interamente dal padre di lei. Davide non obiettò. Anzi, accettò con entusiasmo un impiego in uno dei negozi del suocero.

All’inizio, la vita insieme sembrava un sogno: viaggi, cene, regali. Ma c’era un problema: Davide non spendeva mai un soldo. Pagava sempre Ginevra. Inizialmente ignorò la situazione. Poi cominciò a chiedere, poi a supplicare.

«Perché devo sobbarcarmi tutto io?», si lamentò con un’amica. «Voglio sentirmi una donna, fragile, accudita.»

Ma Davide rise:

«Tesoro, non essere sciocca. Va tutto bene. Non darci peso.»

Al lavoro, badava al telefono più che ai clienti, e i pochi soldi che guadagnava li metteva da parte, senza che Ginevra lo sospettasse.

Poi si ammalò. Gravemente. Un mese in ospedale. I genitori la visitavano ogni giorno, Davide raramente. Al suo ritorno a casa, un colpo al cuore: sporcizia, piatti ammucchiati, rifiuti per terra.

«Non hai pulito nemmeno un po?», esclamò.

«Non è compito mio. Spetta alla donna», rispose lui, sbadigliando.

«Ero in ospedale, Davide! Ma lo farò io, vero?»

«Ora che sei tornata, sì.»

Debole, Ginevra chiamò un servizio di pulizie. I medici le dissero che il recupero avrebbe richiesto un anno, e che una gravidanza era fuori discussione.

Quando, finalmente, i dottori le diedero il via libera, lo annunciò a Davide con emozione.

«Ci possiamo provare, finalmente!»

«Ho altro a cui pensare, ora», borbottò lui, senza staccare gli occhi dal videogioco. La nuova console, comprata coi suoi soldi, era diventata la sua ragione di vita.

Passarono settimane. Lui continuò a evitare il discorso. Poi, un giorno, la fredda rivelazione:

«Senti, Ginevra… me ne vado. E non voglio figli con te.»

«Cosa dici?!»

«Non ti amo. Non ti ho mai amata. Stavo con te solo per comodità. Casa, soldi, macchina. Ora basta. Sei un peso.»

«Davide, non puoi farmi questo. Hai visto quanto ho sofferto, quanto ho atteso!»

«Sono affari tuoi. Io sono libero.»

Chiuse la valigia, ci infilò la console, e se ne andò.

Ginevra smise di mangiare, di dormire. Tre giorni dopo, i genitori allarmati accorsero. Il padre, vedendola così, trattenne a stento la rabbia.

La portarono nella loro villa in campagna. Quella stessa sera, Davide fu licenziato. Poco dopo, tramite conoscenze, il padre di Ginevra fece svuotare il conto bancario del genero. I suoi “risparmi” svanirono.

Davide rimase senza un euro, senza lavoro, senza casa. A malapena riuscì a pagarsi una stanzetta. Senza meta, senza futuro.

Ginevra, dopo qualche mese, trovò un nuovo lavoro. Lì, conobbe un uomo di nome Edoardo. Non giovane, ma onesto, sereno e, fin dal primo istante, pieno di rispetto e gentilezza verso di lei.

Sei mesi dopo, accadde un piccolo miracolo: due linee rosa sul test. Lacrime, risate, una telefonata ai genitori. E un’infinita gratitudine verso se stessa, per aver avuto il coraggio di dire «basta» quando era necessario.

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