NON MUTA

Мichele posò i secchi d’acqua sulla panca nell’androne di Agnese e stava per andarsene, ma la nonna lo afferrò per la manica, facendogli capire di seguirla in casa. Si sedette sulla larga panca vicino alla porta, aspettando ulteriori istruzioni.

La padrona di casa, senza dire una parola, estrasse una pentola dal forno, fece un cenno con la mano verso l’orologio a pendolo, come a dire che era ora di pranzare, e versò una zuppa di cavolo fermentato in una grande ciotola, accompagnandola con una fetta di lardo, una cipolla e un pezzo di pane croccante. Poi si ricordò e mise sul tavolo un quarto di grappa fatta in casa. La sua schiena incurvata era avvolta in uno scialle di lana. Nonostante il calore della casa, indossava delle pantofole di lana.

Michele disse a bassa voce:
– Della zuppa di certo non rifiuto. Ma da bere no, ho giurato di non toccare più l’alcol, ho perfino baciato l’icona e promesso al prete che non metterò mai più quella peste in bocca. Ricordo quando ho sollevato una rissa al circolo, ero geloso di Vera da ubriaco, ancora mi stupisco che non mi hanno arrestato. E per le sedie rotte ho dovuto pagare. Mia madre mi ha detto che hai problemi di schiena, quindi sono venuto a portarti dell’acqua. Ora mi gusto la zuppa e poi ti porto della legna. Magari c’è qualche altro lavoretto che devi fare. Mia madre, non appena mi vede seduto davanti alla TV, mi trova subito qualcosa da fare.

Michele si mise a ridere del suo stesso umorismo così tanto da strozzarsi. Nonna Agnese iniziò a dargli pacche sulla schiena come se stesse piantando un chiodo nel muro. Michele continuò a gustarsi la zuppa con il lardo e la cipolla e poi chiese:
– Nonna, ma quando ti corichi, la schiena si raddrizza o devi dormire tutta piegata?

Agnese lo guardò con i suoi occhi azzurri e sorridenti e fece un gesto con la mano come a voler dire di non preoccuparsi.

– Vista la tua bellezza, da giovane eri sicuramente bellissima, con quella chioma e le sopracciglia arcuate sopra la fronte larga, e gli occhi che brillano come due lucciole. Anche la mia Vera è bella! Dimmi tu come si fa a non amarla! Ora ti elenco le sue qualità e tu conta sulle dita. Ma temo che non basteranno: bella, raffinata, modesta, gentile, laboriosa, ordinata, parsimoniosa, canta bene, balla meravigliosamente, non è avara, non è mai stata sposata, non beve, non fuma, non va in giro. Guarda quante qualità.

Michele notava che gli occhi di Agnese ridevano. Il petto le si muoveva ma nessun suono usciva dalla sua bocca.

– Che occhi limpidi ha la nonna, al di là degli anni! – commentò Michele – Nonna, conosci Vera, vero?

Agnese allargò le braccia, alzando le spalle, come a dire: “Chi può dirlo come siete voi, buoni o cattivi.”

– Noi non siamo come voi. Avevate paura dei vostri genitori, li ascoltavate. Noi invece, se qualcosa non ci piace, parliamo apertamente e non ci fermiamo davanti a nulla. Abbiamo la nostra opinione su tutto. Prima di fare qualcosa, papà si consulta sempre con me. E mamma mi considera il padrone di casa. I miei fratelli se ne sono andati tutti in città, io sono il più giovane, finché non mi sposo vivrò con loro. Voglio sposarmi e avere molti figli. La mia Vera è di salute robusta. Come veterinario, ti dico che può avere tutti i figli che vorrà. Oh, dimenticavo di dire che è sana come un pesce. Che dici, ti sono avanzate dita sulle mani?

Michele mangiò a sazietà e il calore del forno lo rilassò. Anche se la schiena di Agnese le faceva male, la casa era molto pulita. Particolarmente degna di nota una grande alcova con un piumone, cuscini fino al soffitto e una coperta.

Michele si perse nei suoi sogni ad alta voce:
– Sarebbe bello averci un letto così per la prima notte di nozze! O forse no: ci si scioglierebbe lì dentro e ci si dimenticherebbe di tutto.

E continuò ad alta voce:
– Quando Vera finirà gli studi e tornerà al paese, faremo una grande festa di matrimonio. Studia per diventare infermiera. Immagina che bello: io curo gli animali e lei cura gli uomini. Anche se mia madre chiama spesso mio padre un animale. In fondo mi sa che non siamo tanto meglio degli animali. Hai sentito di Stefano? Ha rubato la moto di Pietro finendo per affogarla nel lago. Un vero e proprio buffone! E Vittorio ha fumato nel fienile rischiando di incendiare casa. Anche lui un bel guaio!

Ma il più grande guaio è stato Sergio. Frequentava Nadia, l’ha ingannata, è rimasta incinta e lui poi si è portato la fidanzata dalla città. Nadia era fuori di sé, pensavano che si sarebbe fatta del male. Ma ieri la vedo passare con il pancione, sorridente, dicendo che sta aspettando un maschietto, mandato da Dio come una benedizione. E io mi chiedo come possa quel buffone passare davanti a quella casa sapendo che dentro abita suo figlio. Io, Vera, non la lascerò mai! Quando la vedo, mi viene voglia di abbracciarla forte! Così tanto che possa sciogliersi tra le mie braccia e unirci in un’unica essenza. Però è una ragazza pudica, prima del matrimonio nulla. Quel matrimonio segnerà il confine e, anche se la vita diventasse impossibile, non la costringerò mai a oltrepassarlo. Quelle che stanno insieme sono un’infermiera fenomenale; sarebbe capace di raddrizzare la tua schiena in un attimo! Quando fa le iniezioni, non sente niente, manco una zanzara è così mite. A volte penso che quando avremo il nostro cottage, mi mancherai, nonna, a vivere così lontani. Ma troverò sempre il tempo per aiutarti e chiacchierare con te. Cosa c’è altro da assaggiare?

Agnese, abile, afferrò di nuovo la maniglia e tirò fuori una bella teglia di carne e verdura. La polenta emanava un tale aroma che Michele annusò col naso arricciato, quasi non gli si staccasse. Afferrò il cucchiaio e, come un bambino, cominciò a battere sul tavolo. Agnese sorrideva, i suoi occhi brillavano felici che i suoi piatti piacessero tanto a quel giovane.

– Puoi stenderti sul piumone finché mangio. Oppure è lì solo per bellezza? Noi lo sfrutteremo alla grande con Vera.

Michele di nuovo si strozzò, ma Agnese non gli batté sulla schiena. Avrebbe voluto consolarlo, ringraziarlo per l’allegria, per essersi fermato colà, per quel che si fidava di lei. Passandogli le sue mani callose sulla schiena, accarezzandolo dolcemente, lo baciò poi sulla sommità della testa.

Michele si alzò dalla tavola dicendo:
– Ma come si lavora con la pancia piena? L’unica è distendersi sul piumone.

Rise e si diresse verso l’aia. Tornò con delle bracciate di legna, spazzò il corridoio, controllò il porcile, ringraziò la padrona e poi tornò a casa.

– Dove sei stato tutto questo tempo? Vera ha chiamato in continuazione! – chiese sua madre.

– Come si fa a lasciare Agnese? Continuiamo a chiacchierare, raccontiamo e ridiamo, – rispose il figlio ridendo. – Mamma, non è nata muta, vero?

– No, figlio mio. Da ragazza durante la guerra cantava come Gigliola Cinquetti. Andava per le case cantando canzoni patriottiche. Quando sono arrivati i tedeschi e hanno impiccato i partigiani, ha cantato “O bella ciao”, e quelli le hanno tagliato la lingua. I partigiani l’hanno salvata, quei bastardi non hanno fatto in tempo a fucilarla. Noi pensavamo fosse nata muta quando s’è trasferita qui. Il presidente ci ha raccontato di recente di lei. La sua borgata è andata in declino mentre il nostro villaggio ha prosperato, così il Comune l’ha aiutata ad ottenere una casa. Sai, a volte noi umani siamo peggiori degli animali. Ci chiudiamo nei nostri fasti e non ci curiamo degli altri. Eppure, muta o meno, lei comprende tutto.

– Mamma, lei sa parlare con gli occhi! Le parlavo di Vera e sembrava brillare. Quando menzionavo Sergio, le scintille le scoccavano dagli occhi! E sai, mamma, ha delle mani morbidissime. Eppure, chi è a me? Nessuno. Eppure mi piace parlare con lei, condividere cose.

E sai perché? Perché ha il cuore d’oro e parla con l’animo. E non gesticola come fanno i muti, ma è come se fosse solo in profonda contemplazione. Domani le ho promesso di aggiustare qualcosa nel fienile; ci tiene tanto. Quindi, non trovatemi da fare altro, sarò occupato.

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