Giorgia lo incontrò per caso — nel sottopassaggio della stazione di Milano, dove l’aria era impregnata di umidità, odore di caffè economico, musiche di strada e passanti frettolosi. Lui era lì, appoggiato a un muro scrostato, con la chitarra tra le mani, e cantava. Non forte, non per la folla, ma in un modo che ti spezzava il cuore. Cantava come chi non teme più di essere ascoltato o dimenticato. Cantava per sé, ma la sua voce, come un filo invisibile, si aggrappava al rumore della gente, la raggiungeva, le rimaneva impressa. E lei lo riconobbe all’istante.
Una voce del passato.
La voce che un tempo le faceva battere il cuore più forte, le notti durare un’eternità, e le speranze ardere come le candele che accendeva da sola. La voce che aveva cercato di soffocare per anni, ma che viveva ancora dentro di lei, nascosta in un angolo della memoria dove tutto echeggiava troppo chiaro, troppo doloroso.
Massimo.
Indossava la stessa giacca — nera, logora dal tempo, come un vecchio compagno dei suoi viaggi. I capelli erano più lunghi, la barba più folta, e negli occhi c’era la stessa scintilla indefinibile, come se fosse sempre in movimento, sempre a metà strada verso qualcosa di inspiegabile. Si bloccò. Prese il portafoglio. Cercò qualche moneta. Le gettò nella custodia aperta della chitarra, e il tintinnio risuonò come un eco del loro passato.
Non alzò subito lo sguardo. Quando lo fece, non sembrò sorpreso. Solo annuì, come se si fossero visti il giorno prima, come se il tempo non avesse mai strappato le loro vite in pezzi.
«Ciao,» disse piano.
«Sei sempre la stessa.»
Lei sorrise amara:
«Tu invece sei completamente diverso.»
«La vita,» fece spallucce, e in quel gesto c’era tutta la sua storia. «A qualcuno lascia il volto, ad altri solo le canzoni.»
«E a te cos’è rimasto?»
«La strada. E una dozzina di canzoni che a nessuno importano.»
Sorrise, ma nei suoi occhi non c’era più quella sfacciataggine che una volta la faceva tremare. Nella canzone che stava terminando si sentivano note di treni, di addii, dell’impossibilità di tornare indietro.
«Canti ancora?» chiese lei, anche se conosceva già la risposta.
«Ormai canto solo,» rispose, e nella voce c’era una leggerezza che non ricordava. «È più onesto. Nessuno mi chiede perché. Nessuno si aspetta che io diventi qualcos’altro.»
«E ti basta?»
«Ora sì. Prima correvo sempre dietro a qualcosa di più grande. Ora vivo e basta.»
Caddero in silenzio. La folla scorreva accanto a loro, la città rumoreggiava, ignara del filo sottile e fragile che una volta li aveva uniti. Che lei l’aveva aspettato sotto il lampione vicino a casa, scritto lettere che lui non aveva mai letto, chiamato nel vuoto. Che lui era svanito, senza una parola, senza traccia. Se n’era andato, come se lei non fosse mai esistita.
«Non potevo fare altrimenti,» disse improvvisamente, guardando altrove. «Non mi giustifico. È solo… ero vuoto. A pezzi.»
«E adesso?»
Guardò le sue mani, le corde della chitarra. Le sfiorò con un dito, e risuonarono un attimo, come un ricordo lontano.
«Adesso almeno canto. E non scappo più. È già qualcosa, no?»
Lei annuì. Lentamente, con cautela. Dentro di sé qualcosa si mosse — non dolore, non rancore, ma qualcosa di lieve, quasi inconsistente. Come se una vecchia melodia ricominciasse a suonare, ma senza trascinarla indietro, senza strapparle lacrime. Nel petto sentiva un’eco leggera, ma senza quel peso che l’aveva trattenuta per anni.
«Devo andare,» disse. «Mi aspettano.»
Lui non la trattenne. Solo domandò, quasi sussurrando:
«Un caffè? Così, tanto per. Come una volta. Senza passato. Senza promesse.»
Lei lo guardò. Quel sottopassaggio, la chitarra, gli occhi in cui soffiava ancora il vento dei viaggi. Lui era sempre stato così — in movimento, un passo oltre, persino quando le era accanto.
«Non oggi, Massimo,» rispose. «Grazie. Non bevo più “solo un caffè”. Diventa sempre qualcos’altro.»
E se ne andò. Passo dopo passo, sempre più decisa. Senza voltarsi. Come se ogni passo lasciasse indietro non lui, ma la se stessa che aveva aspettato, sperato, creduto.
Davanti a lei c’erano impegni, incontri, lavoro, una sera tranquilla con un libro. La vita che non si ferma. Che va avanti, senza guardarsi indietro, senza pause.
A volte le persone ritornano. Non per restare. Ma per ricordarti che sei già andata via. E che era la cosa giusta.
Se ne andò. E finalmente si sentì libera.