Mezzo anno fa morì l’anziana vicina di Maria. Suo marito rimase solo. Si rattristò, si incurvò, come se il peso del dolore lo piegasse verso terra. Usciva di rado, e i vicini lo compativano: chi gli portava un piatto di minestra, chi andava a fare la spesa per lui.
Era un po’ sordo e smemorato. Si sedeva davanti alla televisione, alzava il volume al massimo e dimenticava il bollitore sul fuoco. Una volta rischiò persino di provocare un incendio. Da quel giorno, Maria tenne una copia delle chiavi di casa sua.
Un giorno arrivò il figlio e portò via il padre con sé, mettendo l’appartamento in vendita. I vicini furono sollevati: non era giusto che un vecchio morisse solo, con figli ancora in vita.
Tre settimane dopo, l’appartamento aveva un nuovo proprietario. Tutto il palazzo lo seppe subito, perché arrivarono gli operai e iniziarono i lavori. Per giorni interi buttarono via mobili vecchi, sanitari anneriti dal tempo. Poi martellarono, trapano acceso senza sosta. Quale nervi avrebbero resistito? Maria abitava proprio accanto.
Tornare a casa dal lavoro era una tortura. Il fracasso la accoglieva già sulle scale. Resistette, resistette, poi bussò alla porta del vicino. Ad aprirle fu un uomo tutto impolverato, con macchie di vernice sui vestiti.
“Lei è il proprietario? Quanto durerà ancora questo casino? Non ne posso più, mi scoppia la testa,” disse seccamente.
“Mi scusi, signora, ma mi hanno detto di finire presto. Ancora due giorni di rumore, poi lavoreremo alla finitura, sarà più silenzioso.”
“Due giorni?” Maria non trovò neppure le parole.
Dietro la porta chiusa, il trapano riprese a rombare. Maria uscì in strada, dove il rumore era più sopportabile.
“Eh, il nuovo vicino ti sta facendo impazzire?” le chiese una delle donne sedute sulla panchina davanti al portone.
“L’avete visto?” domandò a sua volta Maria.
“Certo. Un uomo per bene,” risposero le vicine in coro. “Ben vestito, profumato, educato. Un bel tipo.”
“Nella nostra palazzina è arrivato un vicino straordinario,” cantilenò falsamente Teresa, la vecchia sdentata.
Le altre risero, mostrando denti radi con corone metalliche e protesi.
“Preferirei che suonasse il clarino,” borbottò Maria.
“E tu ci sei andata a parlare?”
“Sì, ma che serve? Sono operai, non hanno colpa.”
“Maria, guardalo bene quel proprietario. Un uomo così! Fino a quando starai sola? Sei ancora giovane, puoi avere figli. E lui ha soldi, arriva in una macchina di lusso.”
“Vado a fare la spesa,” disse Maria allontanandosi, cercando di non ascoltare le chiacchiere alle sue spalle.
Suo marito era morto due anni dopo il matrimonio. Non fece in tempo ad avere figli. Tredici anni sola.
“Probabilmente il proprietario viene quando sono al lavoro. Lamentarsi è inutile. I lavori vanno fatti. Quell’appartamento era un rudere. Pazienza, gliele farò pagare, appena finisce e si trasferisce,” pensò Maria, schivando una pozzanghera.
Due giorni dopo, si incontrarono. Maria tornava dal lavoro sfinità, desiderando solo di coricarsi. Una giornata pesante, non aveva nemmeno fame. Mentre si avvicinava al portone, la porta si aprì davanti a lei.
Accanto a sé vide un uomo sui trentacinque anni. Sorrise, mostrando denti perfetti. Maria capì subito che era il nuovo proprietario. Quel sorriso le parve sfacciato, lo sguardo altezzoso.
“Grazie,” disse asciutta, entrando.
La porta si chiuse. Nella penombra del pianerottolo, sentì passi. Il cuore le batté forte. Cercando di dominare la paura, si fermò e si voltò. Era il nuovo vicino.
“Passi pure. Non mi piace chi mi respira sulla nuca,” disse irritata, cercando di non mostrare timore.
L’uomo la superò e salì le scale. Era una vecchia casa nel centro di Roma, con appartamenti grandi e soffitti alti, molto richiesti.
Quando Maria raggiunse il quarto piano, il vicino era già alla sua porta.
“Allora, lei è la mia vicina? Piacere. Gli operai mi hanno detto che è venuta a protestare.”
“Non protestare, chiedere di fare meno rumore. Sembra di vivere in un cantiere. Lei rinnova casa, e tutto il palazzo soffre,” rispose Maria, frugando nella borsa per le chiavi.
“Colpa mia. Finiremo presto, promesso,” replicò lui con calma.
Maria tacque, lo guardò di sottecchi piena di rimprovero e sbatté la porta con tale violenza che scrostò l’intonaco dal soffitto.
Da allora, ogni volta che poteva, sbatté la porta. Era la sua vendetta. Si immaginava con piacere il sorriso del vicino svanire.
Una settimana dopo, arrivarono i mobili. I trasportatori bloccarono le scale con un divano. Maria dovuto infilarsi dietro di loro. Mentre lo portavano dentro, intravide la stanza: carta da paroi chiara, parquet color miele…
“Vuole entrare?” Il proprietario apparve sulla porta. Maria arrossì come se l’avessero colta a spiare dal buco della serratura. Entrò di corsa in casa, dimenticando di sbattere la porta. Maledizione!
Era il suo compleanno. Il lunedì avrebbe festeggiato al lavoro, ma quel weekend c’era solo Lucia, l’amica del cuore.
Lucia arrivò in ritardo. Con lei, l’appartamento si riempì di risate. Si sedettero a tavola.
“Maledizione, dovevo comprare il vino. Non so aprire lo spumante,” ricordò tardi Maria.
“C’è qualche uomo tra i vicini?” chiese subito Lucia.
“Di là. Ma…” Non fece in tempo a finire che Lucia si precipitò fuori.
Due minuti dopo tornò con il vicino. Indossava jeans e una camicia a quadri, con le maniche arrotolate.
Salutò, aprì lo spumante con destrezza. Lucia dietro di lui sgranò gli occhi, si prese il cuore. Senza bisogno di parole, era chiaro che ne era già conquistata.
“È il compleanno di Maria. Ha cucinato come per un banchetto, e non c’è nessuno con cui festeggiare,” spiegò a voce alta.
Maria le faceva cenno di smetterla, ma il vicino, senza fare storie, si sedette, riempì i bicchieri e alzò il suo:
“Alla padrona di casa e alla mia bella vicina!”
Maria quasi si strozzò. Per il compleanno si era messa in tiro: trucco, bocca rossa, capelli mossi. Era davvero carina.
Lucia si attaccò al vicino, lo riempì di cibo, come se fosse lei la padrona di casa. Maria si vergognava per quell’evidente adescare. Poi Lucia lo trascinò a ballare, premendo contro di lui il suo corpo prosperoso.
Maria si sentì così ferita che avrebbe pianto. Quell’uomo era il suo vicino, aveva più diritto lei, non Lucia. Andò in cucina per non intralciare e non scoppiare in lacrime.
Cinque minuti dopo, entrò Lucia trafelata. Si sedette, si sventolò.
“Ti sei divertita?” chiese Maria acida.
“Maria, che uomo!” esclamò Lucia, alzando gli occhi al cielo. “Un sogno. E balla da dio! Lo so che non ti piace, posso provarci io?” ammiccò.
“PrendE proprio mentre Maria si sentiva il cuore in mille pezzi, il vicino tornò con un mazzo di rose rosse e uno sguardo che le fece capire che, forse, la fortuna aveva deciso di sorriderle proprio quella sera.