Non permetterò che mia madre finisca in un ospizio!” — disse la zia con finta determinazione, ma dopo tre mesi scoprimmo che l’aveva portata in una casa di riposo.

«Non permetterò che mia madre finisca in una casa di riposo!» — disse mia zia con una determinazione ostentata, portando via la nostra malata nonna Maria, e dopo tre mesi scoprimmo che l’aveva portata in una residenza per anziani.

Non dimenticherò mai quel giorno in cui mia zia Roberta, sorella di mia madre, con teatralità prese con sé la nostra nonna malata. Fu una vera e propria scena drammatica, piena di discorsi forti, accuse e lacrime amare. Quante frasi offensive dovemmo ascoltare! Urlava al punto che sembrava che la sua voce risuonasse per tutto il paese, come se volesse che ogni vicino del nostro piccolo villaggio nelle vicinanze di Firenze sapesse quanto fosse “giusta” e quanto noi fossimo “insensibili”.

— Non permetterò che mia madre marcisca in una casa di riposo! Io ho una coscienza, al contrario di voi! — urlava in faccia a mia madre con una tale furia che ancora oggi mi vengono i brividi al solo ricordarlo.

Le sue parole sembravano citazioni di qualche libro sui valori familiari, ma dietro di esse si celavano solo rabbia e giudizio. Si dipingeva come un’eroina, mentre noi eravamo quasi dei traditori. Ma non si trattava di coscienza, si trattava del fatto che nonna aveva veramente bisogno di un’assistenza seria che non riuscivamo più a fornirle.

Tutto iniziò quando la nonna ebbe un ictus. La sua salute crollò come un castello di carte: la memoria iniziò a vacillare, poteva perdersi nella sua stanza, e piangeva senza motivo apparente, il suo comportamento divenne un enigma. A volte riuscivamo a gestirlo, ma questi episodi diventavano sempre più frequenti e pericolosi. Un giorno tornammo a casa e trovammo una scena agghiacciante: tutte le lampade accese, l’acqua che scorreva dai rubinetti, e il fornello a gas acceso. La nonna era seduta in un angolo a mormorare, ignara di aver quasi provocato un incendio. Per fortuna arrivammo in tempo, altrimenti sarebbe stata una tragedia.

Dopo l’ennesimo appuntamento dal medico ci fu rivelata una verità terribile: lo stato di salute della nonna sarebbe solo peggiorato. I farmaci avrebbero potuto rallentare leggermente questo incubo, ma non c’era speranza di un miracolo. Ci rendemmo conto che non poteva più prendersi cura di sé, e noi non potevamo essere presenti ventiquattro ore su ventiquattro. Il lavoro, i figli, la vita quotidiana ci intrappolavano, e il cuore si spezzava per l’impotenza.

Dopo lunghi dibattiti e lacrime, decidemmo di cercare una buona casa di riposo, dove si sarebbero presi cura della nonna con professionalità, un luogo accogliente e sicuro per lei. Non volevamo abbandonarla, volevamo offrirle il meglio che potevamo in quella situazione. Ma quando lo seppe zia Roberta, che viveva nella vicina Siena, venne da noi infuriata, pronta a distruggere tutto sul suo cammino.

— Come potete anche solo pensare di portare vostra madre in un istituto? Ha dei figli, e voi volete liberarvene come se fosse un vecchio mobile! — gridava, con gli occhi scintillanti.

Le sue parole erano taglienti come coltelli. Poi, senza ascoltare le nostre spiegazioni, portò via la nonna con sé, sbattendo la porta con tale forza che i vetri tremarono. Restammo in silenzio, assordati dalla sua ira e dalla nostra confusione.

Passarono tre mesi. Tre lunghi mesi pieni di ansia per la nonna. E all’improvviso arrivò una notizia che capovolse tutto: zia Roberta aveva portato la nonna in una casa di riposo. Sì, proprio lei che aveva giurato sulla propria coscienza e ci aveva accusati di disumanità, non era riuscita a sostenere il peso. Si scoprì che prendersi cura di una anziana malata non era questione di parole solenni, ma un lavoro duro al quale non era preparata.

L’ironia della sorte mi bruciava come ferro rovente. Volevo prendere il telefono e urlarle: «Dove sono ora le tue lodi alla coscienza, zia Roberta? Dove sono le tue promesse?» Ma non rispondeva. Evidentemente aveva capito di aver esagerato, che il suo orgoglio le aveva giocato un brutto scherzo. Ma scusarsi o ammettere il proprio errore non le riuscì. Restammo con questo amaro retrogusto di ipocrisia, e la nonna — in luoghi sconosciuti, lontana da tutti noi.»

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Non permetterò che mia madre finisca in un ospizio!” — disse la zia con finta determinazione, ma dopo tre mesi scoprimmo che l’aveva portata in una casa di riposo.