«Non permetterò che mia madre finisca in una casa di riposo!» — La zia, con ferma determinazione, prese la nonna malata con sé, ma dopo tre mesi scoprimmo che l’aveva portata in un ricovero per anziani.

«Non permetterò mai che mia madre finisca in una casa di riposo!» — dichiarò mia zia con finta determinazione mentre portava la nostra malata nonna Maria a casa sua, e dopo tre mesi scoprimmo che l’aveva affidata a un centro per anziani.

Non dimenticherò mai quel giorno in cui mia zia Francesca, la sorella di mia madre, con grande teatralità, portò via da casa nostra la nostra nonna malata. Fu una scena piena di parole altisonanti, accuse e lacrime amare. Quante frasi offensive ascoltammo allora da lei! Gridava così forte che il suo eco risuonava per tutto il villaggio, come se desiderasse che ogni vicino nel nostro piccolo paese vicino Firenze sapesse quanto lei fosse una “giusta” e noi degli “insensibili”.

— Non permetterò che mia madre marcisca in una casa di riposo! Io ho una coscienza, non come voi! — sbatteva in faccia a mia madre con tanta rabbia che i brividi ancora mi corrono lungo la schiena a quel ricordo.

Le sue parole suonavano come citazioni da un libro sui valori familiari, ma dietro di esse c’era solo rabbia e critica. Si dipingeva come un’eroina e noi come traditori. Ma il problema non era la coscienza, era che nonna aveva veramente bisogno di aiuto serio, che noi non potevamo più darle.

Tutto ebbe inizio dopo che nonna ebbe un ictus. La sua salute crollò come un castello di carte: la memoria tradiva, si perdeva nella sua stessa stanza, a volte piangeva senza motivo e il suo comportamento diventava un enigma. A volte si poteva gestire, ma quei momenti diventavano sempre più frequenti e pericolosi. Un giorno, tornando a casa, ci trovammo davanti una scena da far gelare il sangue: tutte le luci della casa accese, l’acqua scorreva dai rubinetti, e il fornello a gas era acceso. Nonna era seduta in un angolo a borbottare qualcosa, ignara di aver quasi causato un incendio. Per fortuna siamo arrivati in tempo, altrimenti sarebbe stata una tragedia.

Dopo l’ennesima visita dal medico, ci fu detta la dura realtà: la salute di nonna sarebbe solo peggiorata. I farmaci potevano rallentare un po’ quell’incubo, ma non c’era speranza di un miracolo. Ci rendemmo conto che non poteva più badare a se stessa e noi non potevamo assisterla 24 ore su 24. Lavoro, figli, vita quotidiana — tutto ci tratteneva, e il cuore si straziava dall’impotenza.

Dopo lunghi dibattiti e lacrime, decidemmo di cercare una buona casa di riposo dove dei professionisti si sarebbero presi cura di lei, dove sarebbe stata al sicuro e a suo agio. Non volevamo abbandonarla, volevamo offrirle il meglio possibile in quella situazione. Ma quando lo venne a sapere la zia Francesca, che viveva nella vicina Siena, ci piombò addosso come una furia pronta a distruggere tutto.

— Come potete anche solo pensare di mandare la vostra madre in un istituto? Ha dei figli, e volete disfarvene come di un vecchio mobile! — gridò con occhi di fuoco.

Le sue parole tagliavano come coltelli. E poi, senza ascoltare le nostre spiegazioni, prese nonna e se ne andò sbattendo la porta con tale forza da far tremare i vetri. Restammo in silenzio, storditi dalla sua rabbia e dalla nostra confusione.

Passarono tre mesi. Tre lunghi mesi pieni di preoccupazioni per nonna. E improvvisamente ci giunse una notizia che ribaltò tutto: zia Francesca aveva affidato nonna a una casa di riposo. Sì, proprio quella donna che giurava sulla sua coscienza e ci accusava di disumanità, non ce l’aveva fatta. Si scoprì che occuparsi di una persona malata non era solo parole altisonanti, ma lavoro duro, per il quale non era preparata.

L’ironia del destino mi colpì come ferro rovente. Volevo prendere il telefono e gridare: «Dov’è ora la tua tanto decantata coscienza, zia Francesca? Dove sono le tue promesse?» Ma non rispondeva. Probabilmente aveva capito di aver superato il limite e che il suo orgoglio le aveva giocato un brutto tiro. Solo che non ebbe il coraggio di scusarsi o di ammettere il suo errore. Noi restammo con l’amaro sapore dell’ipocrisia, e nonna — in un ambiente estraneo, lontana da noi tutti.

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«Non permetterò che mia madre finisca in una casa di riposo!» — La zia, con ferma determinazione, prese la nonna malata con sé, ma dopo tre mesi scoprimmo che l’aveva portata in un ricovero per anziani.