Nessuno può mentire sotto la cupola.
A scuola, Romeo non era certo un modello di comportamento, ma brillava nello studio. I suoi voti erano eccellenti, mentre i professori lo rimproveravano spesso per il suo carattere ribelle. Era bello, e le ragazze gli correvano dietro, cosa che lui sfruttava senza remore, cambiando fidanzata come un guanto.
Giorgia aveva studiato con lui fin dalla prima elementare. Già alle medie, si era resa conto di essere troppo grassa, e i compagni non perdevano occasità per chiamarla “cicciona”. Sebbene fosse abituata agli insulti, crescendo, il dolore diventava più forte. Soprattutto quando le altre ragazze sussurravano di ragazzi, di chi aveva rubato un bacio o chi aveva preso in mano un’altra.
Nessuno la guardava, nessuno le rivolgeva la parola se non per quel insulto. A casa, piangeva di rabbia.
“Mamma, perché sono così grassa? Perché sono l’unica così?” chiedeva tra le lacrime.
“Tesoro, non ti tormentare, crescendo cambierai, non sei ancora una donna,” la consolava la madre, pur sapendo che sua figlia era davvero sovrappeso.
Romeo era il peggiore. Bello e sicuro di sé, alle superiori si era messo con Beatrice, una ragazza crudele e altezzosa, e sempre la sosteneva quando questa prendeva in giro Giorgia. Forse lo faceva per compiacerla. La tormentavano, e lei sopportava in silenzio, con le lacrime che le rigavano le guance paffure.
Il tempo passò, la scuola finì, e ognuno prese la sua strada. Romeo si iscrisse all’instituto tecnico per costruzioni, Beatrice a un istituto di moda, Giorgia al politecnico. Dopo il diploma, non si rividero più.
Una sera, mentre tornava dal lago ai margini del parco con gli amici, festeggiando un bonus di lavoro, notò una figura solitaria che dava da mangiare alle anatre. Lei alzò lo sguardo, e lui si perse nei suoi occhi, azzurri e profondi. Lasciò il gruppo e le si avvicinò.
“Romeo. E lei, bellissima sconosciuta?” chiese, stringendole la mano. “Che ne dice di un giro insieme? O magari di sposarci subito? Ecco il mio biglietto da visita.”
Lei esitò, lo guardò con sconforto, ma prese comunque il biglietto. Lui la seguì, chiedendo scusa.
“Se l’ho offesa, mi perdoni. Ho bevuto troppo con gli amici, ma se vuole, posso rimediare. Mi chiami, la aspetterò.”
Il giorno dopo, Romeo fissava il telefono fino a che non arrivò un messaggio da parte sua: Giorgia! Rispose entusiasta, invitandola a cena. L’aspettò con un mazzo di fiori, temendo che non sarebbe venuta, ma poi la vide sorridere.
La scoprì dolce, gentile, colta. Anche sportiva, giocava spesso a tennis. Si innamorò perdutamente, nonostante le tante donne della sua vita. A quarant’anni, però, aveva capito di non essere mai stato davvero pronto. Con lei era tutto diverso. Lei era diversa.
Una cosa però lo turbava: la sua fede. Frequentava la chiesa due volte al mese. Temeva di chiederle il perché.
“Chissà quali ferite si porta dietro,” pensava. “Forse è riservata. I suoi profili sono privati, e non vuole foto insieme. Ma forse è solo fisiologica timidezza.”
Avevano ormai sei mesi di frequentazione quando le propose di andare a vivere insieme.
“Mi dispiace, Romeo, ma è troppo presto. Inoltre, sono credente, non fanatica, ma rispetto certe fede. L’unico uomo con cui vivrò sarà mio marito.”
Lui non si offese, anzi, ammirò la sua saggezza. La vita continuò, tra lavoro e progetti, ma una volta, dopo un viaggio in un’altra città, Romeo le chiese di sposarlo davanti a una gioielleria.
“Mi hai detto che sei credente, ma tu non sei mai nemmeno entrato in chiesa,” rispose lei, infastidita. “Per una decisione così seria, devi confessarti, pentirti, chiedere la mano ai miei genitori.”
“Ma tu stessa mi hai tenuto lontano da loro,” ribatté lui, ma poi scorse una cupola in lontananza. “Andiamo,” la trascinò dentro.
Il prete spiegò che il matrimonio richiedeva preparazione, ma accettò comunque la confessione. Romeo parlò brevemente, senza menzionare nulla del passato. Poi, davanti all’altare, le propose di nuovo.
Lei uscì in un istante. Lui la seguì.
“Perché non hai risposto?”
“Non posso mentire sotto la cupola,” sussurrò lei. “Davvero non mi riconosci? Sono Giorgia. La stessa che insultavi a scuola.”
Lui la fissò, il cuore in gola, ricordando tutto. Quella ragazzina sovrappeso, ma soprattutto il padre di lei che lo aveva afferrato per il colletto anni prima.
“Ho lavorato su me stessa,” continuò lei. “Lo sport, la fede. Il prete mi ha insegnato a perdonare. Ma oggi ho capito che non l’ho ancora fatto. E non so se potrò mai farlo.”
Si allontanò. Romeo rimase sulla pantera, schiacciato dal rimorso. Il prete lo trovò e lo condusse dentro, ascoltando una confessione vera.
Quella sera, mentre si dirigeva verso l’auto, alzò gli occhi al cielo. “Dio, aiutami. Fai che Giorgia mi perdoni.”
Chiamò, ma il telefono era spento. Non c’era altro da fare che sperare e affidarsi a quel Dio che forse, finalmente, aveva imparato a conoscere.