Al di sotto della cupola non si può mentire
A scuola, Romeo non era un modello di comportamento, ma brillava negli studi. I professori lo lodavano per i voti, ma lo rimproveravano spesso per le sue marachelle. Era un bel ragazzo, le ragazze gli correvano dietro, e lui ne approfittava, cambiandole spesso.
Giovanna era sua compagna di classe fin dalla prima elementare. Già in prima media, si era resa conto di essere troppo grassa, e i compagni non perdevano occasione per chiamarla “cicciona”. Anche se ci si era abituata, crescendo le ferite diventavano più profonde. Ormai iniziavano i primi batticuori, le ragazzine sussurravano nei corridoi di chi fosse cotto di chi, di chi aveva fatto un complimento o tirato una treccia.
Nessuno si interessava a Giovanna, i ragazzi la ignoravano, limitandosi a rinfacciarle quel soprannome odioso. A casa, si sfogava in lacrime.
“Mamma, perché sono così grassa? Perché sono l’unica così in classe?” chiedeva singhiozzando.
“Tesoro, non ti abbattere, quando sarai grande cambierai. Sei ancora una ragazzina,” cercava di consolarla la madre, anche se sapeva bene che sua figlia era davvero in sovrappeso.
Romeo era il peggiore, sempre pronto a umiliarla. Al liceo, fidanzato con la bella e crudele Beatrice, la incoraggiava quando questa prendeva in giro Giovanna. Probabilmente lo faceva per compiacerla. La tormentavano, e lei taceva, mentre le lacrime le rigavano le guance paffute.
Passarono gli anni, la scuola finì, e ognuno prese la propria strada. Romeo si iscrisse a Ingegneria Edile, Beatrice a un istituto tecnico, Giovanna al Politecnico. Dopo il diploma, non si rividero più.
Romeo tornava dal lago alla fine del parco con gli amici, dopo aver festeggiato un bonus a lavoro. Tutti erano allegri e chiassosi. Notò una ragazza in piedi sola sulla riva, che dava da mangiare alle anatre. Quando incrociò i suoi occhi, vi affondò dentro. Azzurri, profondi, lo ipnotizzarono. Lasciò il gruppo e le si avvicinò, tendendo la mano.
“Romeo. E il tuo nome, bellissima sconosciuta? Facciamo due passi? O ci sposiamo subito? Ecco il mio biglietto da visita,” le porse il cartoncino. Lei esitò, lo guardò con un’espressione strana, ma lo prese, poi si girò e se ne andò.
Lui la seguì e si scusò:
“Se ti ho offesa, perdonami. Ho bevuto un po’ troppo con gli amici. Fammi rimediare, chiamami. Ti aspetterò.”
Il giorno dopo, Romeo non staccava gli occhi dal telefono. Nel pomeriggio arrivò un messaggio: “Giovanna!” Esultò.
La ringraziò e la invitò a cena. Dopo il lavoro, l’aspettava con un mazzo di fiori, temendo che non si sarebbe presentata. Ma alla fine la vide e le corse incontro. Giovanna sorrideva. La serata fu perfetta.
Giorno dopo giorno, Romeo scoprì lati meravigliosi di Giovanna. Gentile, colta, amava lavorare a maglia, faceva sport e giocava a tennis. Si innamorò davvero, anche se a ventotto anni aveva già avuto molte storie. Una convivenza durata due anni era finita male, capì di non essere pronto per il matrimonio.
“Con lei è diverso. Giovanna è speciale,” pensava. “Anche se ha ventotto anni, ne dimostra ventiquattro.”
Tutto di lei lo affascinava, solo la sua fede lo metteva a disagio. Andava in chiesa un paio di volte al mese. Non osava chiederle il motivo.
“Chissà quali ferite nasconde. Forse è riservata, non per niente i suoi profili social sono privati. Eppure ha tanti amici, alcuni me li ha presentati. Perché rifiuta le foto insieme? È patologicamente timida,” rifletteva.
Ma poi si convinse che ognuno ha i suoi confini. Col tempo, se avesse voluto, Giovanna si sarebbe aperta. Intanto gioiva che avesse accettato di conoscerlo.
Dopo sei mesi di frequentazione, Romeo le propose di convivere.
“Scusami, Romeo, ma è troppo presto. E poi, sai che sono credente, anche se non fanatica. Per me, l’unione è possibile solo dopo il matrimonio.”
Lui non si offese, anzi, ammirò la sua saggezza. Era la conferma che Giovanna era diversa. La vita proseguì, entrambi immersi nel lavoro. Un giorno, dopo un progetto, Romeo la invitò in un’altra città per cambiare aria.
“Volentieri!” rispose lei. “In macchina, tre ore?”
“Quattro, non corro in autostrada,” disse lui.
Arrivarono in fretta, chiacchierando e ridendo. In un bar, Romeo le chiese all’improvviso:
“Sposami, Giovanna? Ora troviamo una gioielleria, ti compro l’anello.”
Lei aggrottò le sopracciglia, rifletté, poi rispose:
“Ti ho detto che sono credente, e tu non hai mai messo piede in chiesa. Per decisioni così importanti, devi confessarti, pentirti, poi chiedere la mia mano a mio padre. Per me è fondamentale.”
“Ma non vuoi ancora che conosca i tuoi genitori,” obiettò lui. Poi vide i campanili di una chiesa. “Andiamo,” la trascinò dentro.
Sulla soglia, le disse:
“Ora mi confesso e parlo con il prete.”
Giovanna non fece in tempo a replicare. Entrarono, il sacerdote era all’altare. Romeo gli chiese del sacramento, persino del matrimonio.
Il prete scosse la testa:
“Prima del matrimonio, ci si prepara,” spiegò. “La confessione non è il primo passo. Ma non rifiuto i penitenti.”
La confessione fu semplice, pochi minuti. Il sacerdote parlò di sincerità e fede, poi lo assolse.
Romeo, però, non si fermò. Tornò da Giovanna e le rinnovò la proposta. Ma lei, senza una parola, uscì. Lui la seguì.
“Perché non hai risposto?”
“Non posso mentire sotto la cupola,” disse lei. Lui non capiva. “Romeo, davvero non mi riconosci? Sono Giovanna Bianchi, tua compagna di scuola.”
Lo guardò, smarrito. Gli ronzava la testa. Cercò una panchina e vi si sedette.
“Ora sì che ti ricordo. Eri…” esitò.
“Quaranta chili in meno,” sussurrò lei.
Romeo rimase in silenzio, schiacciato dalla vergogna. Il passato lo aveva raggiunto. Capì allora perché Giovanna fosse così riservata, perché rifiutasse di presentarlo ai genitori. Gli tornò in mente quando il padre di lei lo aveva afferrato per il colletto:
“Se tormenti ancora mia figlia, ti faccio a pezzi. Hai capito?”
Era in terza media. Da allora, non l’aveva più insultata.
“Sì, ho lavorato su me stessa,” continuò Giovanna. “Lo sport, la fede. Un sacerdote mi ha guidata. Mi ha detto di perdonare. Da lì è nata la mia fede, il rispetto dei digiuni, le passeggiate invece delle macchine, le serate tranquille. Credo che nella tua confessione, non hai nemmeno menzionato quel peccato… con me.”
“Giovanna, perdonami, ti prego!” implorò.
“Voi mi uccidevate lentamente. Nessuno sa come mi sentivo, perché nessuno è stato al mio posto. Eppure, ti amavo. Ma oggi, in chiesa, ho capito che non posso stare con te. Non ti ho mai perdonato davvero. Dio lo farà, ma io… non soE mentre le campane della chiesa suonavano in lontananza, Romeo capì che a volte il perdono è un dono troppo grande per essere meritato.