«Non puoi portarmi via… E se prendessimo Marina?» — il ragazzo trova un modo per aggirare la legge e trovare una famiglia

Il teatro comunale di un piccolo paesino della campagna toscana era antico, ma accogliente. I bambini si stringevano nella sala, gli occhi fissi sul palcoscenico. Lì, sotto la luce fioca dei riflettori consumati, si esibiva ancora Antonio Rossi — un vecchio illusionista che tutti nella zona conoscevano. Il suo cappello — logoro, vissuto, ma ancora pieno di sorprese — era ormai una leggenda.

Non era un artista da circo nel senso comune. Antonio era un uomo con un cuore gentile e l’anima di un bambino. In ogni sua esibizione c’era una magia che non era fatta di trucchi, ma di speranza. Quel giorno, il numero finale prevedeva di estrarre dal cappello una gallina viva di nome Piumetta. La sala trattenne il fiato.

— Ed ora, attenzione! — esclamò teatralmente il mago, tirando fuori dal cappello un pennuto un po’ arruffato.

L’entusiasmo dei bambini riempì la stanza come una brezza primaverile: applausi, urla di gioia, risate. Ma mentre Antonio si preparava a inchinarsi, sentì su di sé uno sguardo. Uno solo. Non sorridente, non giocoso. Era lo sguardo di un bambino di sette anni, seduto in ultima fila, che fissava Piumetta senza battere ciglio.

— Ciao, piccolo. Sei qui da solo? — chiese l’illusionista, avvicinandosi.

— La gallina è vera? — sussurrò il bambino, con voce piena di meraviglia.

— Certo! Vuoi toccarla? Si chiama Piumetta.

Il bambino si avvicinò con cautela, accarezzando le piume. I suoi occhi brillavano, le labbra tremavano leggermente.

— E non ha paura di stare nel cappello?

— Piumetta non ha paura. È coraggiosa. Come te.

— Matteo! — risuonò una voce.

Una donna con il viso stanco si avvicinò di fretta.

— Matteo, ma perché devi sempre metterti nei guai?! — esclamò, scuotendo la testa, prima di rivolgersi al mago: — Scusate. È un po’ particolare. Non sta mai fermo.

— Lei è sua madre? — chiese Antonio.

— La sua educatrice. Vive in orfanotrofio, ha perso i genitori da poco…

Quando Matteo se ne andò, a testa bassa, Antonio sentì un pugno al cuore. Non poteva dimenticarlo così.

— Mi dica l’indirizzo dell’orfanotrofio.

La donna si stupì, ma glielo disse.

Tutta la notte, Antonio non riuscì a dormire. Ricordò quando, anni prima, dopo il divorzio, aveva perso ogni contatto con suo figlio. Ora, guardando negli occhi quel bambino, sentiva che il destino gli stava dando una seconda possibilità.

La mattina dopo si presentò all’orfanotrofio con un sacco di caramelle. Matteo era seduto in un angolo, lontano dagli altri bambini. Quando vide Antonio, il suo volto si illuminò. E quando scoprì che aveva portato anche Piumetta, saltò dalla gioia.

Così iniziò la loro amicizia. Prime visite saltuarie, poi gite allo zoo, libri, cartoni animati. Matteo si affezionò a lui con tutto il cuore. E Antonio — anche lui.

Un giorno, prese coraggio e andò da Lucia, l’educatrice:

— Vorrei adottare Matteo.

— A un uomo solo non lo permetteranno — rispose lei, con dolcezza ma tristezza. — Le leggi sono così.

Antonio abbassò lo sguardo. Non sapeva che Lucia lo osservava da tempo. E che ogni volta che arrivava, il suo cuore batteva più forte. Anche lei si era affezionata a quell’uomo strano, un po’ buffo, ma con una bontà infantile.

Una settimana dopo, Matteo, seduto su una panchina mentre accarezzava Piumetta, chiese piano:

— Possiamo vivere insieme?

Antonio rimase immobile. Non sapeva come spiegargli i documenti, l’impossibilità.

Ma il bambino, guardandolo fiducioso, aggiunse:

— E se Lucia venisse con noi? È buona. Potrebbe essere tua moglie e mia mamma. Saremmo una famiglia.

Antonio guardò oltre. Lì, vicino alla finestra, c’era Lucia. E all’improvviso capì: il bambino aveva ragione.

Le corse incontro, il cuore che batteva forte, la mente piena di pensieri. Ma non dovette dire nulla. Lei aveva già capito tutto dai suoi occhi.

Matteo li raggiunse e li abbracciò.

E in quel momento, tra quelle mura vecchie, tra l’odore di gesso, vernice e detersivo, nel corridoio di un orfanotrofio qualunque, nacque una famiglia.

Come quelle che si sognano nelle fiabe.

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