«Non puoi portarmi via… E se prendessimo Marina?» — un ragazzino escogita un piano per avere una famiglia

**Diario Personale**

Il piccolo teatro comunale di un paesino in Toscana era vecchiotto, ma accogliente. I bambini affollavano la sala, gli occhi fissi sul palco. Lì, sotto la luce fioca dei faretti, si esibiva ancora una volta Enzo Moretti — un mago anziano che tutti conoscevano in zona. Il suo cappello, logoro ma ancora pieno di sorprese, era ormai una leggenda.

Non era un artista di circo nel senso tradizionale. Enzo aveva il cuore buono e l’anima di un bambino. In ogni suo spettacolo c’era una magia fatta non di trucchi, ma di speranza. Quel giorno, il numero finale prevedeva di estrarre dal cappello una gallina viva di nome Piumetta. La sala tratteneva il fiato.

“E ora — attenzione!” esclamò teatralmente il mago, tirando fuori un pennuto un po’ arruffato.

L’entusiasmo dei piccoli riempì la stanza come una brezza primaverile: applausi, gridolini, risate. Ma quando Enzo stava per inchinarsi, incrociò uno sguardo. Unico, diverso dagli altri. Quello di un bambino di circa sette anni, seduto in ultima fila, che fissava la gallina senza battere ciglio.

“Ciao, piccolino. Sei qui da solo?” chiese il mago, avvicinandosi.

“La gallina è vera?” sussurrò il bimbo, affascinato.

“Certo! Vuoi accarezzarla? Si chiama Piumetta.”

Il bambino si avvicinò con cautela, sfiorando le piume. Gli occhi gli brillavano, le labbra tremavano leggermente.

“E non ha paura di stare nel cappello?”

“Piumetta è coraggiosa. Come te.”

“Matteo!” gridò una voce.

Una donna con un’espressione stanca si avvicinò rapidamente.

“Matteo, ma perché devi sempre farti notare?” sospirò, rivolta al mago: “Scusate, è un po’ speciale. Non sta mai fermo.”

“Lei è sua madre?” chiese Enzo.

“Sono la sua assistente. È dell’orfanotrofio, ha perso i genitori da poco…”

Quando Matteo se ne andò, a cuor basso, il mago sentì un colpo al petto. Non poteva semplicemente dimenticarlo.

“Mi dica l’indirizzo dell’orfanotrofio.”

La donna sorprese ma glielo indicò.

Enzo non chiuse occhio tutta la notte. Ricordò quando, anni prima, dopo il divorzio, aveva perso i contatti con suo figlio. E ora, guardando negli occhi quel bambino, sentiva che il destino gli offriva una seconda possibilità.

Il mattino dopo si presentò all’orfanotrofio con un sacco di caramelle. Matteo era seduto in un angolo, lontano dagli altri. Appena vide Enzo, il suo viso si illuminò. E quando notò che aveva portato anche Piumetta, saltò di gioia.

Così iniziò la loro amicizia. Prima visite sporadiche, poi gite allo zoo, storie e cartoni animati. Matteo si affezionò a lui con tutto il cuore. E anche Enzo — al piccolo.

Un giorno, decise di parlarne con la sua assistente, la signora Elena:

“Vorrei adottare Matteo.”

“A un uomo single non lo permetterebbero,” rispose lei, con dolcezza ma tristezza. “Le leggi sono così.”

Enzo abbassò lo sguardo. Non sapeva che Elena lo osservava da tempo, e che ogni volta che arrivava, il suo cuore batteva inquieto. Anche lei si era affezionata a quell’uomo strano, un po’ buffo ma gentile come un bambino.

Una settimana dopo, Matteo, seduto su una panca stringendo la zampa di Piumetta, chiese piano:

“Possiamo vivere insieme?”

Enzo si irrigidì. Non sapeva come spiegargli i documenti, l’impossibilità.

Ma il bambino, guardandolo fiducioso, aggiunse:

“E se la signora Elena venisse con noi? È buona. Potrebbe essere tua moglie e mia mamma. Allora saremmo una famiglia.”

Il mago guardò verso la finestra. Lì, in controluce, c’era Elena. E capì — il bambino aveva ragione.

Le corse incontro, il cuore in gola, la mente un turbinio. Ma non dovette dire nulla. Lei aveva già letto tutto nei suoi occhi. Lo sapeva già.

Matteo li raggiunse, abbracciandoli entrambi.

E in quel momento, tra quelle pareti scrostate, tra odore di gesso, vernice e detersivo, nel corridoio di un orfanotrofio qualunque, nacque una famiglia.

Una di quelle che si sognano nelle fiabe.

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