«Non riesci proprio a entrare in sintonia con lui» – Non lo farò! E non darmi ordini! Tu per me non sei nessuno! Daniele scagliò il piatto nel lavello, facendo schizzare l’acqua dappertutto. Anna rimase senza fiato per un attimo. Il quindicenne la fissava con una rabbia tale, come se lei avesse distrutto la sua vita. – Ti ho solo chiesto una mano con i piatti, – Anna cercò di mantenere la calma. – È una richiesta normale. – Mia madre non mi ha mai obbligato a lavare i piatti! Io non sono una femminuccia! E poi tu chi sei per darmi ordini? Daniele si girò sui tacchi e uscì dalla cucina. Un secondo dopo, musica assordante arrivò dalla sua stanza. Anna si appoggiò al frigorifero e chiuse gli occhi. Un anno fa tutto sembrava diverso… Massimo era entrato per caso nella sua vita. Faceva l’ingegnere nel reparto accanto della più grande impresa edile della città. Si incrociavano spesso alle riunioni. Prima un caffè alla pausa pranzo, poi cene dopolavoro, lunghe chiacchierate al telefono fino a mezzanotte. – Ho un figlio, – aveva confessato Massimo al terzo appuntamento, giocherellando nervosamente con il tovagliolo. – Daniele ha quindici anni. Sono divorziato da sua madre da due anni, e per lui… non è facile. – Capisco, – Anna gli aveva preso la mano. – I ragazzi soffrono sempre quando i genitori si separano. È normale. – Sei davvero pronta ad accoglierci entrambi nella tua vita? In quel momento Anna ci credeva davvero. Aveva trentadue anni, un matrimonio fallito alle spalle senza figli, e il desiderio di una vera famiglia. Massimo le sembrava l’uomo giusto, quello con cui costruire qualcosa di solido. Dopo sei mesi, lui le chiese di sposarlo – impacciato, timido, infilando l’anello in una scatolina con i pasticcini preferiti da Anna. Lei rise e disse «sì» senza esitare. Fu una cerimonia semplice: genitori da entrambe le parti, qualche amico stretto, un ristorante senza pretese. Daniele passò tutta la serata incollato al telefono, senza guardare mai i novelli sposi. – Vedrai che si abituerà, – le sussurrò Massimo, notando lo smarrimento di Anna. – Gli serve tempo. Anna si trasferì nel grande trilocale di Massimo il giorno dopo il matrimonio. L’appartamento era bello – luminoso, con una cucina spaziosa e un balcone affacciato sul cortile. Ma da subito Anna si sentì un’ospite in casa d’altri… Daniele la ignorava del tutto, come fosse un mobile: quando entrava, lui si metteva le cuffie. Se gli chiedeva qualcosa, rispondeva a monosillabi, senza guardarla in faccia. Per le prime due settimane Anna si sforzò di pensare che fosse normale. Gli serviva tempo. Era difficile accettare la nuova moglie del padre. Prima o poi tutto si sarebbe aggiustato. Non si aggiustò. – Daniele, per favore, non mangiare in camera. Poi ci troviamo gli scarafaggi. – Mio padre me lo permetteva. – Daniele, hai finito i compiti? – Fatti i fatti tuoi. – Daniele, puoi mettere a posto dopo cena? – Fallo tu, tanto non hai niente da fare. Anna tentò anche di parlarne con Massimo, scegliendo le parole, per evitare di sembrare la matrigna cattiva delle fiabe. – Credo sia necessario stabilire delle regole, – disse una sera, quando Daniele era già in camera. – Non si mangia in stanza, si mette a posto, si fanno i compiti entro un certo orario… – Anna, è già abbastanza difficile per lui. – Massimo si sfregò la fronte. – Il divorzio, una persona nuova in casa… Non carichiamolo troppo. – Non sto caricando. Vorrei solo un po’ di ordine in casa. – È ancora un ragazzo. – Ha quindici anni, Massimo. A quell’età si può almeno imparare a lavare la propria tazza. Ma Massimo sospirava soltanto, accendeva la tv e chiudeva ogni discussione. La situazione peggiorava di giorno in giorno. Una volta Anna chiese a Daniele di buttare la spazzatura e lui la guardò con disprezzo. – Tu non sei mia madre. E non lo sarai mai. Non hai il diritto di comandarmi. – Non comando nessuno. Chiedo solo una mano in casa, dove viviamo tutti. – Questa non è casa tua. Questa è la casa di mio padre. E mia. Anna tornò di nuovo da Massimo per parlare. Lui ascoltava, annuiva, prometteva che ne avrebbe parlato col figlio. Ma non cambiava nulla – o forse nemmeno parlava, Anna non sapeva più cosa pensare. Daniele iniziò a rientrare a casa a notte fonda, senza avvisare. Anna non dormiva, ascoltando ogni minimo rumore sul pianerottolo. Massimo dormiva profondamente, senza preoccuparsi. – Chiedigli almeno di scrivere un messaggio, di dire dove va, – supplicò Anna la mattina dopo. – Potrebbe succedere qualsiasi cosa. – Ormai è grande, Anna. Non si può controllare. – Ha quindici anni! – Anch’io a quell’età stavo in giro fino a tardi. – Ma almeno mettilo in chiaro, spiega che ci preoccupiamo. Massimo si strinse nelle spalle e uscì per andare al lavoro… Ogni tentativo di fissare qualche regola si trasformava in uno scontro. Daniele urlava, sbatteva le porte, accusava Anna di distruggere la loro famiglia. E ogni volta Massimo si schierava dalla parte del figlio. – È dura per lui dopo il divorzio, – ripeteva come un mantra. – Devi capire. – E per me non è dura? – sbottò Anna. – Vivo in una casa dove vengo apertamente disprezzata e mio marito finge che vada tutto bene! – Esageri. – Esagero?! Tuo figlio mi ha detto che qua sono nessuno, parola per parola! – È un adolescente. Sono tutti così. Anna chiamò sua madre, che ha sempre saputo trovare le parole giuste. – Tesoro, – la voce della madre era preoccupata. – Sei infelice. Lo percepisco da come parli. – Mamma, non so più che fare. Massimo nega che ci sia un problema. – Per lui non c’è. A lui va bene così. L’unica che soffre sei tu. La madre rimase in silenzio, poi aggiunse piano: – Meriti di meglio, Anna. Pensaci. Daniele, sentendosi libero di fare tutto, superò ogni limite. Musica a tutto volume fino alle tre di notte. Piatti sporchi trovati nei posti più assurdi – sul tavolino, sul davanzale in camera, perfino in bagno. Calzini per corridoio, libri di scuola in cucina. Anna puliva, incapace di vivere nel disordine. Puliva e piangeva. A un certo punto Daniele smise di salutarla. Per lui Anna esisteva solo come bersaglio di battutine o offese. – Non riesci proprio a trovare il modo giusto con lui, – le disse un giorno Massimo. – Magari il problema sei tu. – Il modo giusto? – Anna rise amaramente. – È da mesi che le provo tutte. Ma lui, davanti a te, mi chiama “quella là”. – Drammatizzi. L’ultimissimo tentativo di fare pace costò ad Anna un’intera giornata: trovò su internet la ricetta del piatto preferito di Daniele – pollo al miele con patate rustiche. Spese una fortuna negli ingredienti, rimase ai fornelli quattro ore. – Daniele, è pronto! – lo chiamò, apparecchiando con cura. Il ragazzo uscì, guardò il piatto e fece una smorfia. – Non lo mangio. – Perché? – Perché lo hai cucinato tu. Si voltò e se ne andò. Dopo un minuto, la porta sbatté: si era già unito agli amici. Massimo, appena tornato dal lavoro, vide la cena fredda e la moglie abbattuta. – Che succede? Anna raccontò. Massimo sospirò. – Dai, Anna… Non te la prendere con un ragazzo. Non lo fa con cattiveria. – Non con cattiveria?! – Anna ormai non riusciva più a trattenersi. – Mi umilia apposta! Tutti i giorni! – Esageri. Una settimana dopo Daniele portò a casa cinque compagni. In cucina trovarono resti di cibo ovunque. – Ora basta, fuori tutti! – Anna si affacciò nel salotto, dove la compagnia bivaccava sul divano. – Sono già le undici di sera! Daniele non si degnò di voltarsi. – Questa è casa mia. Faccio quello che voglio. – È casa nostra. Qui ci sono delle regole. – Quali regole? – uno degli amici di Daniele rise. – Danie’, ma chi è questa? – Niente, lascia perdere. Nessuno. Anna rientrò in camera e chiamò Massimo. Arrivò un’ora dopo, a festa già finita. Guardò il caos, guardò la moglie esausta. – Ma smettila di fare scenate! Sono solo ragazzi… – Solo ragazzi?! – Stai ingigantendo tutto. E poi… – Massimo si rabbuiò, – mi sembra che tu voglia mettermi contro mio figlio. Anna guardò il marito senza riconoscerlo. – Massimo, dobbiamo parlare seriamente, – gli disse il giorno dopo. – Di noi. Del futuro. Lui si irrigidì, ma si sedette davanti a lei. – Non ce la faccio più, – Anna pesò ogni parola. – Sono mesi che subisco mancanza di rispetto. Da Daniele – solo arroganza. Da te – indifferenza. – Anna, io… – Fammi finire. Ho provato a essere parte di questa famiglia. Ma non esiste una famiglia. Esisti tu, tuo figlio e io – la sconosciuta utile per cucinare e pulire. – Sei ingiusta. – Ingiusta? Quand’è che tuo figlio mi ha detto una parola gentile? Quand’è che tu hai difeso me? Massimo tacque. – Ti amo, – disse infine sottovoce. – Ma Daniele è mio figlio. Lui viene prima di tutto. – Prima di me? – Prima di tutto il resto. Anna annuì. Dentro, solo vuoto e gelo. – Grazie per la sincerità. Il vaso traboccò dopo due giorni. Anna trovò la sua blusa preferita – regalatale dalla madre per il compleanno – tagliuzzata in mille pezzi. Era sul cuscino, e non aveva dubbi su chi fosse stato. – Daniele! – Anna lo affrontò con i brandelli in mano. – Cos’è questa roba?! Lui alzò le spalle, senza scollarsi dal telefono. – Non ne so niente. – Era mia! – Embé? – Massimo! – Anna chiamò il marito. – Vieni subito! Arrivò, guardò la camicetta, il figlio, la moglie. – Daniele, sei stato tu? – No. – Vedi? – Massimo fece spallucce. – Dice che non l’ha fatto lui. – E chi allora?! Il gatto?! Non abbiamo un gatto! – Magari è stato un incidente… – Massimo! Anna lo fissò e capì che era inutile. Non sarebbe mai cambiato. Non avrebbe mai difeso lei. Esisteva solo il figlio. E lei… solo una funzione comoda in quella casa. – Per Daniele è difficile senza la madre, – ripeté Massimo per la centesima volta. – Devi capire. – Capisco benissimo, – Anna rispose calma. – Ora capisco tutto. La sera stessa prese la valigia. – Cosa fai? – Massimo la bloccò sulla porta. – Preparo la valigia. Me ne vado. – Anna, fermati! Parliamone! – È da mesi che parliamo. Niente cambia, – Anna piegava i vestiti con calma straordinaria. – Ho diritto anch’io alla felicità, Massimo. – Cambierò! Parlerò con Daniele! – Ormai è tardi. Lo guardò – uomo adulto e affascinante, che però non era mai stato davvero marito. Solo padre. E, come padre, stava rovinando il figlio con il suo amore cieco. – Settimana prossima chiederò il divorzio, – disse Anna chiudendo la valigia. – Anna! – Addio, Massimo. Uscì di casa senza voltarsi. Sul pianerottolo Daniele la fissò – per la prima volta i suoi occhi mostrarono qualcosa che non fosse disprezzo. Sgomento? Paura? Anna ormai non ci pensava più. L’appartamento in affitto era piccolo ma accogliente – un bilocale in una zona tranquilla, finestre sul cortile. Anna sistemò le sue cose, preparò una tazza di tè e si sedette sul davanzale. Dopo sei mesi, finalmente aveva pace. …Il divorzio fu ufficiale dopo due mesi. Massimo provò a chiamarla più volte, chiedendo un’altra possibilità. Anna rispondeva gentile, ma decisa: no. Non si era spezzata. Né inaridita. Aveva solo capito che la felicità non è sopportazione o sacrificio infinito. Felicità è rispetto, è sentirsi importante. E prima o poi Anna sapeva che l’avrebbe trovata. Ma non con quell’uomo.

Non riesci proprio a trovargli la chiave giusta

Io non lo faccio! E poi basta comandare! Tu non sei nessuno per me!

Daniele lanciò il piatto nel lavello, facendo schizzare acqua e sugo su tutta la cucina come in un film comico di serie B. Giulia, per poco, non si mise a fare respiri yoga improvvisati. Il quindicenne la fissava con un odio così acceso che pareva lavesse cacciato di casa e bruciato la maglia della nazionale.

Ho solo chiesto una mano con i piatti, Giulia cercava di mantenere la voce piatta. È un favore come un altro.
Mia madre non mi ha mai fatto lavare i piatti! Non sono mica una femmina! E poi tu chi ti credi di essere per comandare qui?

Daniele girò sui tacchi e scomparve. Un istante dopo, dalle sue casse, partiva un trap napoletano da far tremare le mura.

Giulia si accasciò al frigo, occhi chiusi, respirando mozzarella e sconforto.

Un anno prima, era tutto così diverso…

Massimo era capitato nella sua vita quasi per sbaglio. Ingegnere in una ditta edile lì accanto allufficio di lei, finivano sempre seduti accanto nei meeting. Prima ci fu un caffè, poi una pizza post lavoro, poi chilometri di chiacchiere al telefono, fino a notte fonda.

Ho un figlio, aveva confessato Massimo al terzo appuntamento, stropicciando un tovagliolino del bar. Daniele ha quindici anni. Due anni fa io e sua madre ci siamo separati, e… la prende male.
Capisco, rispose Giulia, posandogli la mano sulla mano (con una naturalezza tutta latina). È normale che i figli soffrano per queste cose.
Sei sicura di essere pronta a tenerci tutti e due?

In quel momento, Giulia ci credeva davvero. Trentadue anni, un matrimonio fallito alle spalle (zero figli e anche meno rimpianti), sognava una famiglia vera. E Massimo le dava proprio quellidea: qualcosa di solido, magari anche con un po di parmigiano sopra.

Dopo sei mesi venne la proposta: impacciata, confusa, con lanello nascosto in una scatola di cannoli. Giulia scoppiò a ridere e gridò «sì!» senza pensarci un secondo.

Festa modesta: genitori, quattro amici, trattoria economica. Daniele passò tutta la cena fissando il cellulare come se dovesse salvarlo dal naufragio.

Si abituerà, le sussurrò Massimo vedendo lo smarrimento di Giulia. Dagli tempo.

Giulia traslocò il giorno dopo le nozze nel grande appartamento di Massimo: bella casa, luminosa, cucina enorme e balcone con vista su un cortile rumoroso. Ma, dal primo minuto, si sentì più ospite che padrona.

Daniele la ignorava come si fa con una brutta sedia in un angolo. Quando entrava, lui si metteva subito le cuffie. Se lei chiedeva qualcosa, lui rispondeva a monosillabi, guardando il muro.

Le prime due settimane, Giulia pensava fosse normale. Deve adattarsi, diamogli tempo. I figli hanno il cuore un po lento a carburare coi cambiamenti. Passerà.
No, non è passato.

Daniele, per favore, non mangiare in camera. Poi ci invadono gli scarafaggi.
Papà mi lasciava.
Daniele, hai fatto i compiti?
Cosa timporta.
Daniele, per favore, raccogli le tue cose.
Fallo tu. Tanto non hai altro da fare.

Giulia provava a parlarne con Massimo, con quel tono diplomatico da ambasciatrice ONU:

Forse servono delle regole base, propose una sera, appena Daniele era rientrato in camera. Niente cibo in cameretta, mettere a posto, compiti entro una certa ora…
Giulia, per lui è già un inferno così. Massimo si massaggiava la fronte come dopo una partita a carte andata male. Il divorzio, una persona nuova in casa… Non mettiamogli pressione.
Io non metto pressione. Vorrei solo evitare il caos.
Ma è ancora un ragazzo.
Ha quindici anni, Massimo. Può imparare a lavarsi la tazza da solo.

Massimo sbuffava e accendeva la TV: caso chiuso.

La situazione, però, peggiorava di giorno in giorno. Quando Giulia chiese a Daniele di aiutarla a buttare la spazzatura, lui la fulminò:

Tu non sei mia madre. E non lo sarai mai. Non hai nessun diritto di dirmi cosa fare.
Non ti comando. Ti chiedo solo di aiutare a casa, che è anche la tua.
Questa non è casa tua. È la casa di papà. E mia.

Giulia tornò allattacco con Massimo. Lui ascoltava, faceva sì con la testa, prometteva discorsi col figlio. Ma i famosi discorsi evaporavano sempre. Oppure erano una leggenda metropolitana.

Daniele cominciò a rientrare dopo mezzanotte senza avvisare. Giulia, a letto, le orecchie tese ai rumori sul pianerottolo. Massimo russava beato.

E almeno digli di scrivere dove va, a che ora torna, chiese Giulia una mattina. Non si sa mai cosa può succedere…
È grande ormai, Giulia. Non puoi controllarlo.
Ha quindici anni!
Anchio, a quelletà, facevo tardi.
Però puoi almeno parlargli? Spiegare che siamo in ansia?

Massimo si alzava e usciva di casa, lasciandola appesa.

Ogni tentativo di mettere delle regole scatenava una tragedia greca in salotto. Daniele urlava, sbatteva porte, accusava Giulia di distruggere la famiglia. E Massimo, regolarmente, schierato col figlio.

Lui soffre per il divorzio, ripeteva come un disco rotto. Devi capirlo.
E io? sbottava Giulia. Vivo in una casa dove mi odiano, e tu fai finta di nulla!
Esageri.
Davvero esagero?! Tuo figlio mi ha detto che per lui sono il nulla.
Parole sue.

È ladolescenza. Tutti uguali a questa età.

Giulia chiamò sua madre, che almeno sapeva quando tacere e quando tirar fuori la saggezza.

Tesoro mio, la voce della mamma trasudava preoccupazione. Sei infelice, lo sento in ogni parola.
Mamma, non so che pesci pigliare. Massimo non riconosce il problema.
Perché per lui non esiste. Lui sta bene. A soffrire sei solo tu.

Lucia si fermò, poi aggiunse sottovoce:

Meriti di meglio, Giulietta. Pensaci.

Daniele, ormai impunito, aveva preso il volo. Musica a tutto volume fino allalba, piatti sporchi lasciati ovunque: sul tavolino, sul davanzale, pure nella doccia! Calzini sparsi come coriandoli di Carnevale, libri di scuola sulla tavola.

Giulia puliva perché in mezzo alla sporcizia non ci sapeva stare. E intanto piangeva dalla rabbia. Arrivò il punto in cui Daniele smise di salutarla. Esisteva solo per offenderla.

Non sai trattare con i ragazzi, sentenziò un giorno Massimo. Forse il problema sei tu.
Trattare? Giulia rise amaramente. Ci provo da mesi. Lui mi chiama quella.
Esageri.

Lultima mano tesa le costò un intero giorno di fatica. Trovò online la ricetta preferita di Daniele: pollo al miele e patate rustiche. Spesa al mercato, cucina invasa, quattro ore ai fornelli.

Daniele, è pronto! lo chiamò, tavola imbandita con amore quasi religioso.

Il ragazzo uscì, guardò il piatto e fece una smorfia.

Io questo non lo mangio.
Perché?
Perché lhai cucinato tu.

Via, sparito. Dopo un minuto la porta sbatté: serata tra amici.

Massimo rientrò e trovò cena fredda e moglie sconsolata.

Che succede?

Giulia spiegò tutto. Massimo sospirò:

Ma Giulia… Non te la prendere. Non lo fa apposta.
Non lo fa apposta?! Giulia ormai era un fiume in piena. Lo fa apposta ogni giorno!
Reagisci in modo troppo emotivo.

Una settimana dopo, Daniele portò a casa una squadra intera di amici: cinque teppistelli del liceo. La cucina era una zona di guerra, resti di salame ovunque.

Adesso tutti fuori! Giulia li pescò in salotto, spaparanzati e rumorosi. Sono le undici!

Daniele manco si voltò.

Questa è casa mia. Faccio quello che voglio.
È anche casa mia. E ci sono delle regole.
Che regole? rise uno dei ragazzi. Oh Danié ma chi è questa?
Nessuno. Ignoratela.

Giulia tornò in camera e chiamò Massimo, che arrivò dopo unora quando il campo era già sgombro. Guardò la casa ridotta a un cantiere e Giulia sfinita.

Giulia, ma che sarà mai? I ragazzi sono rimasti un attimo!
Un attimo?!
Stai esagerando. E poi Massimo improvvisamente serio a me sembra che tu voglia mettermi contro mio figlio.

Giulia guardò suo marito chiedendosi dove fosse finito luomo che aveva sposato.

Massimo, dobbiamo parlare. Sul serio. Di noi. Del futuro.

Lui si fece nervoso, ma si sedette.

Io non ce la faccio più, Giulia scandiva ogni parola. Sono sei mesi che subisco mancanza di rispetto. Daniele che mi tratta male. Tu che se ne freghi dei miei sentimenti.
Giulia, io…
Lasciami finire. Ho provato onestamente a entrare in questa famiglia. Ma una famiglia non cè. Ci sei tu, tuo figlio e io: una comparsa che fa la donna delle pulizie.
Sei ingiusta.
Ingiusta? Quando tuo figlio mi ha rivolto una parola gentile? E tu, da quanto non prendi le mie difese?

Massimo taceva.

Ti amo, ammise piano. Ma Daniele è mio figlio. Lui viene prima di tutto.
Più di me?
Più di ogni altra cosa.

Giulia annuì. Un vuoto gelido nello stomaco.

Grazie per la sincerità.

La goccia che fece traboccare il vaso arrivò due giorni dopo. Giulia trovò la sua camicetta del cuore regalo della mamma tagliata a striscette sulla sua federa. Nessun dubbio su chi fosse stato.

Daniele! Giulia si presentò con i brandelli in mano. Che significa questo?!
Il ragazzo alzò le spalle senza staccare gli occhi dal telefono.

Boh, non ne so niente.
Era mia!
E allora?
Massimo! chiamò Giulia il marito. Vieni subito.

Massimo arrivò, osservò camicetta, figlio, moglie.

Dani, sei stato tu?
No.
Vedi? Massimo aprì le braccia. Dice di no.
E chi allora?! Il gatto?! Non abbiamo un gatto!
Magari lhai rotta tu senza farci caso…
Massimo!

Giulia guardava il marito capendo che era inutile insistere. Quelluomo non sarebbe mai cambiato. Per lui esisteva solo suo figlio. Lei era solo una funzione utile.

Daniele soffre senza la madre, ripeté per la centesima volta Massimo. Devi capire.
Io capisco, disse Giulia, gelida. Ormai capisco tutto.

Quella sera prese la valigia.

Che stai facendo? Massimo la trovò in camera.
Faccio le valigie. Me ne vado.
Giulia, aspetta! Parliamone!
Sono sei mesi che parliamo e qui non cambia niente, Giulia piegava gli abiti con cura. Anchio ho diritto a essere felice, Massimo.
Cambio! Te lo giuro! Parlerò con Daniele!
Tardi.

Lo fissò per lultima volta: un uomo adulto, bello, ma incapace di essere marito. Solo padre. Anzi, solo un padre poco lungimirante.

Settimana prossima chiedo il divorzio, annunciò mentre chiudeva la valigia.
Giulia!
Addio, Massimo.

Uscì senza voltarsi. Sul pianerottolo incrociò per un attimo lo sguardo di Daniele il solito, ma stavolta cera qualcosa di diverso: forse stupore? Paura? Ormai, in fondo, non gliene importava più.

Il nuovo appartamento era piccolo ma accogliente un bilocale in periferia, vista cortile tranquillo. Giulia sistemò la roba, si fece una tazza di tè e si sedette sul davanzale. Era la prima volta in sei mesi che si sentiva davvero rilassata.

…Il divorzio fu ufficiale dopo due mesi. Massimo chiamò un paio di volte chiedendo unaltra occasione. Giulia fu gentile, ma irremovibile: no.
Non è crollata, non è diventata amara. Ha solo capito che la felicità non è sopportazione o autolesionismo. La felicità è rispetto, valore. E, prima o poi, la troverà davvero.

Ma non con quelluomo.

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«Non riesci proprio a entrare in sintonia con lui» – Non lo farò! E non darmi ordini! Tu per me non sei nessuno! Daniele scagliò il piatto nel lavello, facendo schizzare l’acqua dappertutto. Anna rimase senza fiato per un attimo. Il quindicenne la fissava con una rabbia tale, come se lei avesse distrutto la sua vita. – Ti ho solo chiesto una mano con i piatti, – Anna cercò di mantenere la calma. – È una richiesta normale. – Mia madre non mi ha mai obbligato a lavare i piatti! Io non sono una femminuccia! E poi tu chi sei per darmi ordini? Daniele si girò sui tacchi e uscì dalla cucina. Un secondo dopo, musica assordante arrivò dalla sua stanza. Anna si appoggiò al frigorifero e chiuse gli occhi. Un anno fa tutto sembrava diverso… Massimo era entrato per caso nella sua vita. Faceva l’ingegnere nel reparto accanto della più grande impresa edile della città. Si incrociavano spesso alle riunioni. Prima un caffè alla pausa pranzo, poi cene dopolavoro, lunghe chiacchierate al telefono fino a mezzanotte. – Ho un figlio, – aveva confessato Massimo al terzo appuntamento, giocherellando nervosamente con il tovagliolo. – Daniele ha quindici anni. Sono divorziato da sua madre da due anni, e per lui… non è facile. – Capisco, – Anna gli aveva preso la mano. – I ragazzi soffrono sempre quando i genitori si separano. È normale. – Sei davvero pronta ad accoglierci entrambi nella tua vita? In quel momento Anna ci credeva davvero. Aveva trentadue anni, un matrimonio fallito alle spalle senza figli, e il desiderio di una vera famiglia. Massimo le sembrava l’uomo giusto, quello con cui costruire qualcosa di solido. Dopo sei mesi, lui le chiese di sposarlo – impacciato, timido, infilando l’anello in una scatolina con i pasticcini preferiti da Anna. Lei rise e disse «sì» senza esitare. Fu una cerimonia semplice: genitori da entrambe le parti, qualche amico stretto, un ristorante senza pretese. Daniele passò tutta la serata incollato al telefono, senza guardare mai i novelli sposi. – Vedrai che si abituerà, – le sussurrò Massimo, notando lo smarrimento di Anna. – Gli serve tempo. Anna si trasferì nel grande trilocale di Massimo il giorno dopo il matrimonio. L’appartamento era bello – luminoso, con una cucina spaziosa e un balcone affacciato sul cortile. Ma da subito Anna si sentì un’ospite in casa d’altri… Daniele la ignorava del tutto, come fosse un mobile: quando entrava, lui si metteva le cuffie. Se gli chiedeva qualcosa, rispondeva a monosillabi, senza guardarla in faccia. Per le prime due settimane Anna si sforzò di pensare che fosse normale. Gli serviva tempo. Era difficile accettare la nuova moglie del padre. Prima o poi tutto si sarebbe aggiustato. Non si aggiustò. – Daniele, per favore, non mangiare in camera. Poi ci troviamo gli scarafaggi. – Mio padre me lo permetteva. – Daniele, hai finito i compiti? – Fatti i fatti tuoi. – Daniele, puoi mettere a posto dopo cena? – Fallo tu, tanto non hai niente da fare. Anna tentò anche di parlarne con Massimo, scegliendo le parole, per evitare di sembrare la matrigna cattiva delle fiabe. – Credo sia necessario stabilire delle regole, – disse una sera, quando Daniele era già in camera. – Non si mangia in stanza, si mette a posto, si fanno i compiti entro un certo orario… – Anna, è già abbastanza difficile per lui. – Massimo si sfregò la fronte. – Il divorzio, una persona nuova in casa… Non carichiamolo troppo. – Non sto caricando. Vorrei solo un po’ di ordine in casa. – È ancora un ragazzo. – Ha quindici anni, Massimo. A quell’età si può almeno imparare a lavare la propria tazza. Ma Massimo sospirava soltanto, accendeva la tv e chiudeva ogni discussione. La situazione peggiorava di giorno in giorno. Una volta Anna chiese a Daniele di buttare la spazzatura e lui la guardò con disprezzo. – Tu non sei mia madre. E non lo sarai mai. Non hai il diritto di comandarmi. – Non comando nessuno. Chiedo solo una mano in casa, dove viviamo tutti. – Questa non è casa tua. Questa è la casa di mio padre. E mia. Anna tornò di nuovo da Massimo per parlare. Lui ascoltava, annuiva, prometteva che ne avrebbe parlato col figlio. Ma non cambiava nulla – o forse nemmeno parlava, Anna non sapeva più cosa pensare. Daniele iniziò a rientrare a casa a notte fonda, senza avvisare. Anna non dormiva, ascoltando ogni minimo rumore sul pianerottolo. Massimo dormiva profondamente, senza preoccuparsi. – Chiedigli almeno di scrivere un messaggio, di dire dove va, – supplicò Anna la mattina dopo. – Potrebbe succedere qualsiasi cosa. – Ormai è grande, Anna. Non si può controllare. – Ha quindici anni! – Anch’io a quell’età stavo in giro fino a tardi. – Ma almeno mettilo in chiaro, spiega che ci preoccupiamo. Massimo si strinse nelle spalle e uscì per andare al lavoro… Ogni tentativo di fissare qualche regola si trasformava in uno scontro. Daniele urlava, sbatteva le porte, accusava Anna di distruggere la loro famiglia. E ogni volta Massimo si schierava dalla parte del figlio. – È dura per lui dopo il divorzio, – ripeteva come un mantra. – Devi capire. – E per me non è dura? – sbottò Anna. – Vivo in una casa dove vengo apertamente disprezzata e mio marito finge che vada tutto bene! – Esageri. – Esagero?! Tuo figlio mi ha detto che qua sono nessuno, parola per parola! – È un adolescente. Sono tutti così. Anna chiamò sua madre, che ha sempre saputo trovare le parole giuste. – Tesoro, – la voce della madre era preoccupata. – Sei infelice. Lo percepisco da come parli. – Mamma, non so più che fare. Massimo nega che ci sia un problema. – Per lui non c’è. A lui va bene così. L’unica che soffre sei tu. La madre rimase in silenzio, poi aggiunse piano: – Meriti di meglio, Anna. Pensaci. Daniele, sentendosi libero di fare tutto, superò ogni limite. Musica a tutto volume fino alle tre di notte. Piatti sporchi trovati nei posti più assurdi – sul tavolino, sul davanzale in camera, perfino in bagno. Calzini per corridoio, libri di scuola in cucina. Anna puliva, incapace di vivere nel disordine. Puliva e piangeva. A un certo punto Daniele smise di salutarla. Per lui Anna esisteva solo come bersaglio di battutine o offese. – Non riesci proprio a trovare il modo giusto con lui, – le disse un giorno Massimo. – Magari il problema sei tu. – Il modo giusto? – Anna rise amaramente. – È da mesi che le provo tutte. Ma lui, davanti a te, mi chiama “quella là”. – Drammatizzi. L’ultimissimo tentativo di fare pace costò ad Anna un’intera giornata: trovò su internet la ricetta del piatto preferito di Daniele – pollo al miele con patate rustiche. Spese una fortuna negli ingredienti, rimase ai fornelli quattro ore. – Daniele, è pronto! – lo chiamò, apparecchiando con cura. Il ragazzo uscì, guardò il piatto e fece una smorfia. – Non lo mangio. – Perché? – Perché lo hai cucinato tu. Si voltò e se ne andò. Dopo un minuto, la porta sbatté: si era già unito agli amici. Massimo, appena tornato dal lavoro, vide la cena fredda e la moglie abbattuta. – Che succede? Anna raccontò. Massimo sospirò. – Dai, Anna… Non te la prendere con un ragazzo. Non lo fa con cattiveria. – Non con cattiveria?! – Anna ormai non riusciva più a trattenersi. – Mi umilia apposta! Tutti i giorni! – Esageri. Una settimana dopo Daniele portò a casa cinque compagni. In cucina trovarono resti di cibo ovunque. – Ora basta, fuori tutti! – Anna si affacciò nel salotto, dove la compagnia bivaccava sul divano. – Sono già le undici di sera! Daniele non si degnò di voltarsi. – Questa è casa mia. Faccio quello che voglio. – È casa nostra. Qui ci sono delle regole. – Quali regole? – uno degli amici di Daniele rise. – Danie’, ma chi è questa? – Niente, lascia perdere. Nessuno. Anna rientrò in camera e chiamò Massimo. Arrivò un’ora dopo, a festa già finita. Guardò il caos, guardò la moglie esausta. – Ma smettila di fare scenate! Sono solo ragazzi… – Solo ragazzi?! – Stai ingigantendo tutto. E poi… – Massimo si rabbuiò, – mi sembra che tu voglia mettermi contro mio figlio. Anna guardò il marito senza riconoscerlo. – Massimo, dobbiamo parlare seriamente, – gli disse il giorno dopo. – Di noi. Del futuro. Lui si irrigidì, ma si sedette davanti a lei. – Non ce la faccio più, – Anna pesò ogni parola. – Sono mesi che subisco mancanza di rispetto. Da Daniele – solo arroganza. Da te – indifferenza. – Anna, io… – Fammi finire. Ho provato a essere parte di questa famiglia. Ma non esiste una famiglia. Esisti tu, tuo figlio e io – la sconosciuta utile per cucinare e pulire. – Sei ingiusta. – Ingiusta? Quand’è che tuo figlio mi ha detto una parola gentile? Quand’è che tu hai difeso me? Massimo tacque. – Ti amo, – disse infine sottovoce. – Ma Daniele è mio figlio. Lui viene prima di tutto. – Prima di me? – Prima di tutto il resto. Anna annuì. Dentro, solo vuoto e gelo. – Grazie per la sincerità. Il vaso traboccò dopo due giorni. Anna trovò la sua blusa preferita – regalatale dalla madre per il compleanno – tagliuzzata in mille pezzi. Era sul cuscino, e non aveva dubbi su chi fosse stato. – Daniele! – Anna lo affrontò con i brandelli in mano. – Cos’è questa roba?! Lui alzò le spalle, senza scollarsi dal telefono. – Non ne so niente. – Era mia! – Embé? – Massimo! – Anna chiamò il marito. – Vieni subito! Arrivò, guardò la camicetta, il figlio, la moglie. – Daniele, sei stato tu? – No. – Vedi? – Massimo fece spallucce. – Dice che non l’ha fatto lui. – E chi allora?! Il gatto?! Non abbiamo un gatto! – Magari è stato un incidente… – Massimo! Anna lo fissò e capì che era inutile. Non sarebbe mai cambiato. Non avrebbe mai difeso lei. Esisteva solo il figlio. E lei… solo una funzione comoda in quella casa. – Per Daniele è difficile senza la madre, – ripeté Massimo per la centesima volta. – Devi capire. – Capisco benissimo, – Anna rispose calma. – Ora capisco tutto. La sera stessa prese la valigia. – Cosa fai? – Massimo la bloccò sulla porta. – Preparo la valigia. Me ne vado. – Anna, fermati! Parliamone! – È da mesi che parliamo. Niente cambia, – Anna piegava i vestiti con calma straordinaria. – Ho diritto anch’io alla felicità, Massimo. – Cambierò! Parlerò con Daniele! – Ormai è tardi. Lo guardò – uomo adulto e affascinante, che però non era mai stato davvero marito. Solo padre. E, come padre, stava rovinando il figlio con il suo amore cieco. – Settimana prossima chiederò il divorzio, – disse Anna chiudendo la valigia. – Anna! – Addio, Massimo. Uscì di casa senza voltarsi. Sul pianerottolo Daniele la fissò – per la prima volta i suoi occhi mostrarono qualcosa che non fosse disprezzo. Sgomento? Paura? Anna ormai non ci pensava più. L’appartamento in affitto era piccolo ma accogliente – un bilocale in una zona tranquilla, finestre sul cortile. Anna sistemò le sue cose, preparò una tazza di tè e si sedette sul davanzale. Dopo sei mesi, finalmente aveva pace. …Il divorzio fu ufficiale dopo due mesi. Massimo provò a chiamarla più volte, chiedendo un’altra possibilità. Anna rispondeva gentile, ma decisa: no. Non si era spezzata. Né inaridita. Aveva solo capito che la felicità non è sopportazione o sacrificio infinito. Felicità è rispetto, è sentirsi importante. E prima o poi Anna sapeva che l’avrebbe trovata. Ma non con quell’uomo.