**NON HO SAPUTO AMARE**
«Ragazze, confessate, chi di voi è Lilia?» – una ragazza ci guardò con curiosità e un pizzico di malizia, mentre io e la mia amica eravamo sedute sulla panchina.
«Sono io, Lilia. Perché?» – risposi, confusa.
«Tieni, una lettera. Da Valerio.» – l’estranea tirò fuori dalla tasca del suo camice una busta sgualcita e me la porse.
«Da Valerio? E lui dov’è?» – chiesi, sorpresa.
«È stato trasferito in una struttura per adulti. Ti aspettava, Lilia, come la manna dal cielo. Aveva gli occhi consumati dalle lacrime. Mi aveva dato questa lettera per correggere gli errori, non voleva fare brutta figura con te. Beh, devo andare, è quasi ora di pranzo. Sono un’educatrice qui.» – mi guardò con rimprovero, sospirò e se ne andò di corsa.
…Era iniziato tutto per caso. Io e la mia amica, Sofia, quella estate dei nostri sedici anni, cercavamo avventure. Gironzolando, finimmo nel cortile di un istituto sconosciuto. Ci sedemmo su una panchina, chiacchierando e ridendo, quando due ragazzi si avvicinarono.
«Ciao, ragazze! Vi annoiate? Possiamo fare amicizia?» – uno mi tese la mano. «Valerio.»
«Io sono Lilia, e lei è Sofia. E il tuo amico silenzioso come si chiama?»
«Leonardo.» – rispose piano l’altro.
Erano diversi dai ragazzi che conoscevamo: austeri, quasi antiquati. Valerio, con tono serio, osservò:
«Perché indossate gonne così corte? E Sofia ha un décolleté… audace.»
«Be’, ragazzi, non fissate dove non dovete. Altrimenti gli occhi potrebbero fuggire in direzioni opposte!» – ridemmo.
«È difficile non guardare. Siamo uomini, no? E poi, fumate anche?» – continuò Valerio, moralista.
«Certo, ma non di gusto!» – scherzammo.
Fu allora che notammo qualcosa di strano nelle loro gambe. Valerio si muoveva a fatica, Leonardo zoppicava.
«Siete qui per cure?» – ipotizzai.
«Sì. Io ho avuto un incidente in moto. Leonardo è caduto male da una scogliera.» – Valerio recitò la risposta come un copione. «Presto ci dimetteranno.»
Noi credemmo alla loro “leggenda”. Non sapevamo che fossero disabili dalla nascita, condannati a vivere in quell’istituto. Per loro, noi eravamo un soffio di libertà.
Cominciammo a visitarli ogni settimana. Prima per pietà, poi perché ci affezionammo. Valerio mi regalava fiori strappati dalle aiuole, Leonardo portava origami per Sofia, timido e gentile. Ci sedevamo in quattro sulla panchina: Valerio al mio fianco, Leonardo rivolto a Sofia, che arrossiva ma sembrava felice.
Passò l’estate, arrivò l’autunno. L’ultimo anno di scuola, gli esami, il diploma. Poi, un giorno, tornammo all’istituto. Aspettammo invano sulla solita panchina.
Fu allora che quella ragazza ci corse incontro con la lettera. L’aprii subito:
**«Lilia amata! Sei il mio fiore più prezioso, la stella irraggiungibile! Forse non hai capito che mi sono innamorato di te al primo sguardo. I nostri incontri erano vita per me. Sei mesi aspetto alla finestra, invano. Ci siamo persi. Ma ti ringrazio per avermi fatto scoprire l’amore vero. Ricordo la tua voce, il tuo sorriso, le tue mani. Senza di te, sono vuoto. Vorrei rivederti, almeno un’ultima volta… Io e Leonardo compiamo diciotto anni. A primavera ci trasferiranno. Forse non ci incontreremo mai più. La mia anima è a pezzi. Spero di guarire da te. Addio, anima mia.»**
Firmato: «Il tuo Valerio, per sempre.»
Nella busta, un fiore secco.
Mi vergognai terribilmente. Il cuore mi si strinse, perché ormai non c’era rimedio. Non avevo mai immaginato i suoi sentimenti. Per me era solo un amico, niente più. Forse avevo flirtato un po’, scherzato, ma senza mai pensare di alimentare una passione così grande.
Passarono gli anni. La lettera ingiallì, il fiore diventò polvere. Ma ricordo ancora quelle giornate spensierate, le risate, le chiacchiere.
C’è un epilogo: Sofia si innamorò di Leonardo, abbandonato dai genitori per la sua disabilità. Si laureò, lavora in un istituto per disabili. Leonardo è suo marito, hanno due figli.
Di Valerio, invece, si persero le tracce. A quarant’anni, sua madre lo portò con sé in campagna. Poi, più nulla.
Forse non ho saputo amarlo, ma almeno ho vissuto abbastanza per capire che certe ferite non guariscono mai davvero.