“Non dispiacerti. Se l’ha fatto, non ti amava.”
“Non avrai freddo con quel vestito? Fuori ci sono meno cinque gradi e stanotte scenderà ancora,” disse la mamma, affacciandosi alla stanza di Giulia.
“Non farò in tempo a congelarmi, è vicino. Non posso mica andare in jeans al compleanno,” rispose Giulia, sistemandosi la cintura del vestito davanti allo specchio.
“Matteo verrà a prenderti?” chiese la madre.
“No, ha detto che si fermerà un po’ da un amico. Il computer gli si è rotto e sta riparandolo,” rispose Giulia spensierata.
“Potrebbe farlo domani, se non fa in tempo. Non è giusto che tu vada da sola,” insisté la mamma.
“Mamma, ormai non ci fa più caso nessuno. Che male c’è? Arriveremo separati, e allora? Devo andare, sono già in ritardo.” Giulia infilò le scarpe in una borsa e si diresse verso l’ingresso.
Sapeva che a sua madre Matteo non piaceva. E tutto perché l’aveva baciata davanti a lei. “Non si fa così. Ci sono delle regole, no?” le aveva rimproverato dopo che lui se n’era andato.
Giulia indossò stivali caldi, un lungo piumino e si avvolse il collo in una sciarpa di lana.
“E il cappello?” esclamò la mamma, alzando le mani.
“Mi sono appena stirata i capelli, come faccio a mettere il cappello? Vado.” Aprì la porta e uscì in fretta.
La madre le gridò ancora qualcosa, ma lei già scendeva le scale, col cuore leggero pensando alla serata e a Matteo.
La loro storia era nata veloce e appassionata. Giulia sperava che da un momento all’altro le avrebbe chiesto di sposarlo.
L’aria gelida le bruciò il viso e le mani, cercando di insinuarsi sotto il piumino. Giulia si riparò meglio la sciarpa, vi nascose il naso e si incamminò in fretta verso casa dell’amica. “Magari Matteo arrivasse prima,” pensò. Mezz’ora prima lo aveva chiamato. “Non disturbarmi, così finisco prima,” aveva risposto secco. E lei non aveva richiamato.
Nel palazzo, Giulia si liberò la sciarpa dal viso. Rinunciò all’ascensore e salì le scale per scaldarsi. Anche se abitava solo a due isolati, il freddo l’aveva già intirizzita.
La porta dell’appartamento, da cui usciva musica, era socchiusa. Qualcuno dei ragazzi usciti a fumare non l’aveva chiusa bene. O forse la padrona di casa l’aveva lasciata così per gli ospiti in ritardo. “Meglio. Attirerò meno attenzione,” pensò Giulia entrando nel buio dell’ingresso. La musica assordante e le risate degli invitati la investirono subito.
Tolse il piumino e infilò la sciarpa nella manica. Sul cappelliera erano appesi due o tre giacconi invernali per ogni attaccapanni. Lucia aveva detto che sarebbero stati in tanti. Giulia sistemò alla meglio il piumino su un gancio, infilò le scarpe e, rabbrividendo, entrò nella stanza.
La luce accecante dopo il buio dell’ingresso e la musica assordante le fecero battere forte il cuore. Una decina di ragazzi ballavano intorno al tavolo, riempiendo tutta la stanza. Nessuno la notò. Cercò Lucia con lo sguardo, ma non la trovò.
Cercando di non urtare nessuno, Giulia si fece strada verso la cucina. Stava per raggiungere la porta a vetri quando questa si aprì di colpo. Lucia, col viso arrossato, gli occhi brillanti e un sorriso trionfante sulle labbra, le cadde addosso. Ma la sorpresa le cancellò l’espressione.
Dietro di lei apparve Matteo, che si sistemava i capelli scomposti con le dita.
“Sei già qui?” chiese Giulia, spostando lo sguardo su Lucia.
L’amica si riprese e sorrise come se niente fosse.
“Il party è già iniziato. Perché sei in ritardo?” chiese. “Vieni a ballare. O vuoi prima qualcosa da bere?” Passò oltre senza aspettare risposta.
“Non hai chiamato. Non ti sei accorto che non ero qui? O eri troppo occupato?” domandò Giulia con voce piena di amarezza.
“Non ho fatto in tempo. Sono appena arrivato anch’io.” Matteo si chinò per baciarla, ma lei indietreggiò.
Sentì l’odore del profumo preferito di Lucia.
“Giulia, che c’è? Stavamo solo tagliando il salame,” si giustificò lui.
“Dovresti toglierti il rossetto dalla guancia. Dalle questo.” Gli mise in mano il pacchetto regalo e si allontanò tra la folla.
L’ingresso era buio. Gettò via le scarpe, infilò gli stivali, strappò il piumino dall’attaccapanni e uscì di corsa. La sciarpa le cadde sulle scale. Mentre si chinava a raccoglierla, Matteo uscì dall’appartamento. Lei corse giù senza voltarsi.
“Giulia, hai capito male!” le gridò dietro.
Il gelo le bruciò di nuovo il volto appena uscì in strada. Si ricordò delle scarpe, ma non poteva tornare indietro. “Come ha potuto? È arrivato prima e non ha chiamato, non mi ha cercata… E Lucia? Che amica! Traditrici…” Le lacrime le annebbiavano la vista mentre camminava lontano da casa. Si accorse di essersi allontanata troppo solo quando le ciglia, ghiacciate dal freddo, diventarono pesanti e il naso perse ogni sensibilità.
“E ora dove vado? A casa? La mamma mi farà domande, mi consolerà, dirà che Matteo non le è mai piaciuto… Forse in chiesa? Dovrebbe esserci la messa di Natale. No, c’è troppa gente, ed è lontana.”
Guardandosi intorno, si rese conto di essersi addentrata in una zona sconosciuta. Entrò in un bar per scaldarsi. Adesso rimpiangeva di aver indossato un vestito leggero. Il freddo le penetrava nelle ossa nonostante il piumino. “Mi ammalerò. Pazienza. Staremo a letto con la febbre, che si vergognino…” Si asciugò il naso e sentì che il mascara colava dalle lacrime e dal ghiaccio sciolto.
Il bar era vuoto. La cassiera la osservava con curiosità. Giulia si avvolse la sciarpa intorno alla testa e uscì di nuovo nel gelo.
Improvvisamente, sentì dei passi nella neve e un respiro affannoso accanto a sé. Si voltò e vide un giovane tutto vestito di nero, col cappuccio sollevato.
Si accorse che erano soli per strada. Accelerò il passo, ma lui la seguì. Presto il fiato le mancò per la corsa.
“Stai scappando da qualcuno?” le chiese.
Giulia fece finta di non sentire, sperando che si allontanasse. Ma lui rimase al suo fianco.
“Ti hanno fatto del male? Ti ha lasciato il tuo ragazzo? Non dispiacerti. Se l’ha fatto, non ti amava.”
Giulia si fermò, pronta a rispondergli male, ma vide nei suoi occhi una dolcezza sincera. Non c’era minaccia in lui. Abbassò lo sguardo e riprese a camminare.
Arrivarono in silenzio a casa sua.
“Grazie per avermi accompagnata,” disse Giulia davanti al portone.
“Figurati. Non potevo lasciarti sola. Mi chiamo Riccardo. E tu?”
“Giulia. Ora mi”Mesi dopo, mentre camminava per le vie di Firenze tenendo per mano Riccardo, Giulia capì che a volte la felicità arriva proprio quando smetti di cercarla.”