NON HO POTUTO AMARE
“Ragazze, confessate, chi di voi è Livia?” – una ragazza ci fissò con aria curiosa e un po’ furbesca, guardando me e la mia amica.
“Sono io, Livia. Perché?” – risposi, confusa.
“Tieni questa lettera. È da parte di Valerio.” – La sconosciuta tirò fuori dalla tasca del camice una busta sgualcita e me la porse.
“Da Valerio? Dov’è lui?” – chiesi, sorpresa.
“L’hanno trasferito in un istituto per adulti. Ti aspettava come la manna dal cielo, Livia. Si è consumato gli occhi a cercarti. E questa lettera me l’ha data per correggere gli errori. Non voleva fare una brutta figura con te. Beh, devo andare. È quasi ora di pranzo. Lavoro qui come educatrice.” – La ragazza mi lanciò un’occhiata di rimprovero, sospirò e corse via.
Quel giorno, io e la mia amica, passeggiando senza meta, ci eravamo ritrovate nel cortile di un edificio sconosciuto. Avevamo sedici anni, le vacanze estive ci riempivano di gioia e cercavamo avventure.
Io e Claudia ci sedemmo su una panchina comoda, chiacchierando e ridendo. Non ci accorgemmo dei due ragazzi che si avvicinarono.
“Ciao, ragazze! Vi annoiate? Possiamo fare amicizia?” – Uno di loro mi tese la mano – “Valerio.”
“Io sono Livia, e questa è Claudia. E il tuo amico silenzioso come si chiama?”
“Lorenzo.” – rispose piano l’altro.
I ragazzi ci sembrarono fuori dal tempo, troppo seri e perbenisti. Valerio, con tono severo, osservò:
“Ragazze, perché indossate gonne così corte? E Claudia, quel décolleté è molto audace.”
“Mh… Ragazzi, non guardate dove non dovete. Altrimenti gli occhi vi scapperanno via!” – ridemmo io e Claudia.
“È difficile non guardare. Siamo uomini, no? E poi… fumate anche?” – continuò Valerio, tutto virtuoso.
“Certo, ma senza aspirare!” – scherzammo.
Fu solo allora che notammo qualcosa di strano nelle loro gambe. Valerio si muoveva a fatica, Lorenzo zoppicava vistosamente.
“Siete qui in cura?” – ipotizzai.
“Sì. Io ho avuto un incidente in moto. Lorenzo è caduto male da una scogliera.” – Valerio rispose in fretta, come se avesse ripetuto quella frase mille volte. “Presto ci dimetteranno.”
Io e Claudia credemmo alla loro “storia”. Allora non sapevamo che Valerio e Lorenzo erano disabili dalla nascita, condannati a vivere in quel istituto. Per loro, noi eravamo un soffio di libertà.
Vivevano e studiavano in un luogo chiuso al mondo esterno. Ognuno di loro aveva una storia inventata: incidenti, cadute, risse… Ma Valerio e Lorenzo si rivelarono ragazzi interessanti, colti e saggi per la loro età.
Iniziammo a visitarli ogni settimana. Prima di tutto, ci facevano pena e volevamo farli sorridere. Poi, avevamo molto da imparare da loro.
Le nostre brevi riunioni divennero un’abitudine. Valerio mi regalava fiori strappati dalle aiuole vicino, Lorenzo portava origami fatti a mano e li offriva timidamente a Claudia.
Poi ci sedevamo tutti e quattro sulla panchina: Valerio accanto a me, Lorenzo voltato verso Claudia, che arrossiva ma sembrava felice in sua compagnia.
Passò un’estate dolce e calda. Arrivò l’autunno piovoso, finirono le vacanze, e io e Claudia ci preparammo per l’ultimo anno di scuola. Insomma, ci dimenticammo completamente di Valerio e Lorenzo.
Dopo gli esami, la campanella finale e il ballo di fine anno, arrivò l’estate tanto attesa. Io e Claudia ritornammo all’istituto per rivedere i nostri amici. Ci sedemmo sulla solita panchina, aspettando che Valerio e Lorenzo ci raggiungessero con fiori e origami. Aspettammo due ore, invano.
Poi la stessa ragazza di prima uscì di corsa e mi consegnò la lettera. L’aprii subito:
“Livia amata! Sei il mio fiore più profumato! Stella mia irraggiungibile! Forse non hai capito che mi sono innamorato di te a prima vista. I nostri incontri erano vita per me. Per sei mesi ho atteso invano alla finestra. Mi hai dimenticato. Peccato! I nostri destini sono diversi. Ma ti ringrazio per avermi fatto conoscere l’amore vero. Ricordo la tua voce vellutata, il tuo sorriso, le tue mani delicate. Come soffro senza di te! Vorrei rivederti almeno un’altra volta… Ho bisogno di respirare, ma non c’è più aria.”
“A me e Lorenzo sono compiuti diciotto anni. In primavera ci trasferiranno in un altro istituto. Dubito che ci rivedremo. Il mio cuore è in frantumi! Spero di guarire da questa malattia che sei tu.”
“Addio, amore mio.”
Firmato: “per sempre tuo, Valerio.”
Nella busta c’era un fiore secco. Mi sentii terribilmente in colpa. Il cuore mi si strinse al pensiero che nulla potevo più cambiare. Mi venne in mente una frase: “siamo responsabili di chi abbiamo reso felice.”
Non avevo mai immaginato i sentimenti che bruciavano in Valerio. Ma non avrei potuto ricambiarli. Per lui provavo solo simpatia e curiosità per un ragazzo intelligente e colto. Sì, forse ho un po’ civettato, scherzato con lui. Ma mai avrei pensato che il mio flirt innocente diventasse un incendio d’amore per lui.
Sono passati molti anni. La lettera è ingiallita, il fiore è polvere. Ma ricordo ancora quei momenti spensierati, le risate per le battute di Valerio.
Questa storia ha un seguito. Claudia si innamorò di Lorenzo, abbandonato dai genitori per la sua disabilità – una gamba più corta dall’infanzia. Claudia si è laureata, lavora in un istituto per disabili e ha sposato Lorenzo. Hanno due figli adulti.
Valerio, invece, è sempre rimasto solo. A quarant’anni, sua madre lo ha riportato a casa, in un paese di campagna. Poi, di lui, si sono perse le tracce.