Non sai neanche quanto sei lontano dalla tua felicità: la storia di Karina tra un marito succube della mamma, un amore tossico e il coraggio di ricominciare da zero in Italia

Non capisci proprio la tua fortuna.

Cinquecentomila euro? Caterina fissava lo schermo del telefono, rileggendo per tre volte la notifica prima che i numeri prendessero senso. Hai acceso un prestito di cinquecentomila euro?

Domenico era seduto sul divano, immerso nel suo smartphone, senza nemmeno sollevare la testa.

Ah, sì… roba da nulla, per la mamma. Lo sai, le perdono i tubi, il parquet si è sollevato, la carta da parati si scolla per l’umidità…
Aspetta un attimo. Caterina crollò sul bordo della poltrona, le gambe non la sorreggevano. Hai chiesto un prestito. Di cinquecentomila euro. E hai dato tutto a tua madre? Senza dirmi niente?

Domenico finalmente si staccò dallo schermo. Il suo viso mostrava una sincera perplessità, come se Caterina domandasse del tempo che fa in Sicilia.

Cati, è mia madre, dai. Vive sola, la pensione è poca. Chi altro dovrebbe aiutarla?
E parlarne con me? Caterina alzò la voce, incapace di fermarsi. Chiedere il mio parere? Almeno avvisarmi?
Avresti iniziato a discutere scrollò le spalle Domenico. Ma lei aveva bisogno subito.

Quattro anni. Quattro anni che Caterina sopportava quella donna che chiamava ogni sera per sapere cosa avesse mangiato Domenico. Che si presentava allimprovviso per criticare la pulizia. Che ad ogni pranzo in famiglia la relegava allangolo più lontano del tavolo.

Non ingigantire la cosa continuò Domenico con la sua calma olimpica. Ce la facciamo, lo paghiamo in fretta, non è mica una cifra esagerata. Siamo una famiglia.

Le lacrime sgorgarono calde e rabbiose, Caterina se le asciugò col dorso della mano, sbavando il trucco sulle guance.

Famiglia? E io sono famiglia? O sono un accessorio? Te lo ricordi quando tua madre decise che dovevamo cambiare macchina, e tu vendesti la nostra senza chiedermi nulla? Quando buttò le mie cose dalla stanza degli ospiti perché non riesce a dormire con la roba degli altri? Come al mio compleanno siete andati a scegliere il suo nuovo frigorifero?
Sono dettagli liquidò Domenico. Sei solo stanca, hai bisogno di staccare.

Caterina guardava questuomo alto, con lineamenti dolci, quelle fossette sulle guance che un tempo trovava adorabili. Ora non vedeva altro che un bambino di trentanni, ancora attaccato al cordone ombelicale.

Ce la faremo ripeteva, come un mantra. Lamore supera tutto.

Caterina si alzò senza parlare e andò in camera. Due grosse borse sportive giacevano sopra larmadio le stesse con cui era venuta lì. Le prese, le buttò sul letto e iniziò ad aprire gli sportelli.

Domenico si affacciò dopo venti minuti, quando la prima borsa era già piena fino allorlo.

Che stai facendo? Cati, dai, non essere ridicola. Non lo farai davvero?

Non rispose. Piegava ordinatamente maglioni, jeans, biancheria. Prese la scatola dei gioielli regali di genitori e amiche, niente da lui.

Dove vai? Da tua madre? Lei è a Bari!

Chiuse la seconda borsa, controllò la borsetta passaporto, carta, le chiavi dellappartamento di sua madre che teneva per sicurezza.

Caterina, di qualcosa! Non puoi lasciarmi. Ti amo!

Lei lo guardò a lungo, poi raccolse le borse e uscì dalla casa.

…La mattina dopo Caterina era in fila allanagrafe, stringendo la domanda di separazione. Fuori piovigginava, le nuvole abbassate sui tetti, ma dentro si diffondeva una strana serenità. La decisione era presa.

Il primo squillo venne alle tre di notte. Caterina si svegliò sul divano della sua amica Elena, disorientata.

Dobbiamo parlare Domenico aveva il fiato corto, le parole confuse. Ho capito tutto, cambierò. Dammi una possibilità.

Lei interruppe la chiamata. Dopo venti minuti, il telefono suonò di nuovo.

Caterina, non posso vivere senza di te. Sei il senso della mia vita.

Verso lalba, aveva ricevuto quarantatré messaggi. Ogni messaggio era lungo, lacrimoso, pieno di promesse, di minacce.

«Se non torni, non so cosa faccio.»

«Mamma dice che sei solo capricciosa.»

«Ti aspetterò per sempre.»

Dopo una settimana iniziò ad aspettarla davanti allufficio. Caterina usciva per pranzo e lo trovava al baracchino dei panini. Tornava a casa e lo vedeva dallaltra parte della strada.

Passavo di qui per caso sorrideva Domenico quando Caterina chiedeva spiegazioni. Volevo solo vederti.

Una sera squillò il citofono da Elena. Caterina aprì la porta senza guardare aspettava la pizza.

Domenico era sul pianerottolo con un bouquet di rose rosse.

Solo una possibilità sussurrò. Non chiedo altro.

Lei chiuse la porta senza parlare. Lui rimase lì per due ore, finché i vicini non minacciarono di chiamare i carabinieri.

Caterina imparò a conviverci come ci si abitua al mal di schiena. Non leggeva i messaggi, non rispondeva ai numeri sconosciuti, non si voltava per strada. Cambiò lavoro, passò allo smart working in una società nuova, si trasferì in una zona periferica dove Domenico non avrebbe mai per caso messo piede.

Il divorzio fu ufficiale dopo tre mesi. Caterina uscì dal tribunale con il foglio in mano e scoppiò a piangere sulle scale non di dolore, ma di sollievo.

I primi mesi di libertà erano strani, vuoti. Era abituata a confrontare ogni decisione con qualcuno, anche se poi quel qualcuno decideva sempre per sé. Ora poteva comprare qualsiasi yogurt al supermercato, senza pensare se Piattella lo avrebbe approvato. Poteva guardare qualunque film, senza sentirsi dire che una donna seria non guarda queste cose. Poteva respirare.

Si iscrisse a corsi dinglese sogno antico, che Domenico considerava uno spreco di denaro. Iniziò a fare yoga allalba, quando la città sorge da sotto i tetti. Visitò Bologna in un weekend sola, senza programmi, passeggiando e mangiando gelato al pistacchio.

Dopo sei mesi, le chiamate sparirono. Anche i messaggi. Caterina attese il trucco ancora per un altro mese, poi capì che poteva finalmente rilassarsi. Trovò lavoro in unagenzia di marketing ufficio luminoso, squadra giovane, progetti interessanti. La vita tornava a sorriderle.

…Andrea lo incontrò a una festa aziendale, trascinata dallamica Martina.

Lui è il nostro capo sviluppatore presentò Martina, indicando il ragazzo alto dagli occhiali sottili. Andrea, questa è Caterina del marketing.

Le strinse la mano forte e gentile. Sorrise, semplice, senza voler impressionare.

Anche tu scappi dal karaoke? disse, accennando al palco dove il direttore finanziario stonava Vita Spericolata.
Salvo i miei nervi fece cenno Caterina.

Parlarono fino a sera di libri, viaggi, di quanto sia strano il destino. Andrea ascoltava più di quanto parlasse. Faceva domande, attendeva risposte senza interrompere. Non voleva insegnare nulla, né spiegare la vita. Quando seppe che Caterina era divorziata, annuì e cambiò argomento.

…Dopo sei mesi andarono a vivere insieme, scegliendo un appartamento in centro. Piccolo, luminoso, con soffitti alti e affaccio su un cortile silenzioso.

Sei sicuro che ti vada questa casa? Caterina lo chiese mentre la visitavano. Guardiamo altri posti?
Ma a te piace? Andrea girò il volto.
Sì, tantissimo.
Allora prendiamola.

Dettagli così il diritto ad avere unopinione, ascoltata e rispettata le sembravano più preziosi di qualsiasi dichiarazione damore.

La proposta gliela fece sul tetto, al tramonto, il cielo acceso di rosa e oro. Andrea tirò fuori una scatolina con un anello di diamante.

Non sono bravo coi discorsi ammise. Ma vorrei svegliarmi ogni giorno accanto a te. Se ti va di sopportare il mio russare e lamore per il caffè scadente.

Caterina rise tra le lacrime e annuì.

…Quella sera di maggio era partita come sempre. Andrea era rimasto in ufficio, alle prese con una consegna urgente. Caterina preparava la pasta, canticchiando con la radio, quando il campanello risuonò allimprovviso.

Dallo spioncino vide Domenico. Pallido, occhiaie profonde, camicia stropicciata. Due anni. Due anni di silenzio ed eccolo lì.

Caterina, apri! Domencio batteva forte. So che sei dentro! Dobbiamo parlare!

Lei afferrò il telefono, chiamò Andrea. Occupato.

Ci amiamo! urlava Domenico dietro la porta. Non puoi stare con un altro! Non è giusto!

La porta tremava si gettava contro, sembrava volerla sfondare. Caterina vi si appoggiava con la schiena, i piedi piantati per terra.

Vai via! gridò. Chiamo i carabinieri!
Sei mia moglie! la voce si alzava fino allo strillo. Sei stata mia e sarai mia! Due anni ho aspettato che tu capissi! Due anni!
Siamo divorziati! È finita!
Non è mai finita! spingeva la porta, lei la teneva a fatica. Sono cambiato! Mamma dice che tu proprio non capisci la tua fortuna! Apri, parliamo!

Nello spioncino il suo volto appariva distorto, febbrile. Non era più la persona con cui aveva condiviso il letto.

Caterina compose i tre numeri.

Dome! Basta un click e la pattuglia arriva. Vai via. Ora.

Domenico rimase fermo. Silenzioso, qualche secondo. Poi si girò di scatto e scese le scale con passi pesanti. In basso si sentì il portone sbattere.

Caterina si lasciò cadere a terra contro il muro. Il sangue nelle orecchie rimbombava. Solo dopo mezzora riuscì a chiamare Andrea.

La denuncia fu accettata il giorno dopo. Lispettore un uomo anziano coi baffi segnò tutto, ascoltò la storia, annuì.

Vedremo noi. Ci pensiamo.

Non seppe mai cosa disse a Domenico, ma da quel momento lex marito sparì. Niente chiamate, niente messaggi, niente incontri.

…Il matrimonio si fece ai primi di giugno, in una trattoria fuori città venti persone, solo amici stretti. Nessuna cerimonia ridicola, nessun parente dello sposo a pretendere tradizioni.

Caterina era davanti ad Andrea, in un abito bianco semplice, stringendo le sue mani calde. Fuori frusciavano i pioppi, odore di fiori e erba appena tagliata.

Accetti… cominciò il celebrante.
Sì che accetto lo interruppe, e tutti risero.

Andrea le infilò al dito una fede sottile, dorata, incisa allinterno. Tre parole: «Per sempre con te».

Caterina alzò lo sguardo su quelluomo che sarebbe diventato suo marito. Non un mammone, non un invasato inseguitore. Solo un uomo che sapeva ascoltare, rispettare, amare. Davanti a loro, la vita dove contava anche la sua voce.

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