NON SAREBBE STATA FELICITÀ

Non ci sarebbe felicità…

– Ma come hai fatto a cacciarti in questo guaio, sciocca che non sei altro! A chi vuoi importare con un bambino! E come pensi di crescerlo?! Non contare su di me, questo è certo. Ti ho cresciuta, ma adesso anche il tuo “bagaglio” extra! Non mi servi più a nulla, raccogli le tue cose e che non ti voglia mai più vedere nel mio appartamento!

Caterina ascoltava i rimproveri senza alzare lo sguardo. L’ultima speranza che la zia le lasciasse passare lì fino a quando non avesse trovato un lavoro, svaniva di fronte agli occhi.
– Se solo mamma fosse viva…

Caterina non conosceva il padre e la madre era stata investita da un’auto a un incrocio quindici anni fa da un autista ubriaco. Gli assistenti sociali erano già pronti a portare la bambina in orfanotrofio, quando inaspettatamente si presentò una lontana parente, una cugina di terzo grado della madre, che la portò con sé. La casa e lo stipendio le permisero di ottenere facilmente l’affido.

La zia viveva in un paesino del Sud Italia, verde e caldo in estate, piovoso in inverno. Caterina era sempre sazia, ben vestita e aveva imparato a lavorare, poiché c’era tanto da fare in una casa con un cortile e qualche animale. Forse le mancava il calore materno, ma a chi importava?
Caterina studiava bene. Dopo il diploma, si iscrisse all’istituto pedagogico. Gli anni universitari passarono in fretta e finì la sua spensierata vita di studentessa, consegnati gli esami finali, tornò nella città che ormai considerava casa. Ma questa volta il ritorno non le dava gioia.

Dopo aver urlato, la zia si calmò un po’:
– Vai via da questo cortile, che non voglio più vedere la tua faccia.
– Zia Tania, posso almeno…
– Ho detto basta!

Caterina in silenzio prese la valigia e uscì in strada. Non pensava che sarebbe tornata così, umiliata, abbandonata e persino incinta, anche se di poco tempo. Decise di confessare subito la sua gravidanza. Non voleva e non poteva nasconderlo.

Doveva trovare un qualche alloggio. Caterina camminava, immersa nei suoi pensieri, senza notare nulla intorno a sé.
Era piena estate. Nei frutteti maturavano mele e pere, le albicocche doravano al sole. I tralci di vite pendevano pesantemente dai numerosi pergolati, le prugne viola si nascondevano sotto le foglie scure. Dolci profumi di marmellata, carne arrosto e focacce fresche provenivano dai cortili. Aveva sete.

Caterina si avvicinò a un cancello e salutò una donna che si trovava vicino alla cucina estiva:
– Signora, ci darebbe qualcosa da bere?

Paola, una donna non ancora anziana sulla cinquantina, si voltò al richiamo.
– Entra pure se cerchi un po’ di sollievo.
Prese un bicchiere d’acqua dal secchio e lo porse alla ragazza, che si sedette stancamente su una panchina e bevve con avidità.

– Posso sedermi un po’ con voi? Fa molto caldo.
– Siediti, cara. Da dove vieni? Vedo che hai una valigia.
– Ho appena finito l’università e voglio trovare lavoro in una scuola. Ma non ho un posto dove stare. Non saprebbe dirmi se qualcuno affitta una stanza?

Paola la guardò attentamente: pulita, ordinata, ma con un’espressione determinata e pensosa.
– Potresti stare da me, mi farebbe piacere avere compagnia. Non ti chiederò molto, ma è importante pagare in tempo. Se sei d’accordo, vengo a mostrarti la stanza.

Paola era contenta di avere un’inquilina, una piccola entrata extra non guastava, perché nel loro piccolo paese, così lontano dalla città, non ci si poteva aspettare molto. Il figlio viveva lontano e veniva a trovarla raramente, quindi avrebbe avuto anche qualcuno con cui scambiare quattro chiacchiere durante le lunghe serate invernali.

E Caterina, ancora incredula per questa improvvisa fortuna, seguì Paola in casa. La stanza era piccola ma accogliente, con una finestra che dava sul giardino, un tavolo, due sedie, un letto e un vecchio armadio. Sarebbe bastata. Si misero d’accordo sul canone, e la ragazza, dopo essersi cambiata, si recò all’ufficio per l’educazione.

Cominciarono così a scorrere i giorni, tra lavoro e casa. Caterina non riusciva a stare dietro ai giorni che scorrevano veloci.
Diventò amica di Paola, una donna di buon cuore. Anche questa si affezionò alla giovane. Quando poteva, Caterina l’aiutava in casa, e la sera bevevano spesso il tè insieme nel giardino, dato che al sud l’autunno freddo arriva tardi.

La gravidanza procedeva bene. Caterina non soffriva di nausee e aveva pelle chiara, anche se il ventre cresceva visibilmente. Raccontò a Paola la sua semplice storia. Storie di questo tipo sono migliaia nella vita.

Al secondo anno universitario, Caterina si era innamorata. Non di uno qualunque, ma di Igor, unico figlio di genitori benestanti, professori nello stesso istituto. Non volevano che il figlio andasse via in città. Il futuro era già tracciato: studi, dottorato, insegnamento o carriera accademica. Naturalmente tutto questo vicino a mamma e papà.

Igor era brillante, educato, affabile e piaceva sempre a tutti.

Ma aveva scelto proprio Caterina, magari per il suo sorriso timido, gli occhi marroni dolci o la silhouette snella dai capelli mossi. O forse aveva sentito una connessione speciale con lei, quella determinazione che appartiene alle persone risolute. Difficile dirlo. Ma da quel giorno fu sempre al suo fianco. Caterina vedeva il futuro rosa accanto a Igor.

Quel giorno la ragazza ricordava ogni singolo dettaglio. Al mattino, si rese conto che non riusciva a guardare il cibo, che non sopportava certi odori e che da qualche giorno aveva nausea. E, cosa fondamentale, aveva un ritardo! Come aveva potuto dimenticarlo e ignorarlo!? Caterina acquistò un test di gravidanza, tornò al dormitorio, bevve un bicchiere d’acqua e attese. Risultato: due linee. La ragazza le fissava, senza crederci davvero. Proprio due linee. Gli esami finali erano a breve e ora questo!

Come lo avrebbe preso Igor? Non avevano pianificato dei figli.

Una improvvisa ondata di tenerezza verso il piccolo dentro di lei la travolse.
– Piccolino… – sussurrò Caterina accarezzandosi il ventre.

Venuto a sapere tutto, Igor decise di presentare quell’ospite inatteso ai suoi genitori quella sera stessa.

Rievocando quell’incontro, Caterina non riuscì a trattenere le lacrime. I genitori di Igor le consigliarono un aborto e di andarsene dopo gli esami finali. Igor doveva concentrarsi sulla carriera, e loro non erano una coppia.

Che discorsi Sean avesse avuto con i genitori, Caterina poteva solo immaginarlo. Il giorno dopo Sean entrò silenziosamente nella sua stanza, lasciò una busta di soldi sul tavolo e se ne andò senza dire una parola.

Non aveva mai pensato all’aborto, poiché già amava quel piccolo essere dentro di sé. Era il suo bambino, e soltanto suo. Decise di prendere quei soldi, ben sapendo quanto sarebbero stati utili.

Ascoltata la storia, Paola affettuosamente commentò:
– Ogni cosa può accadere. È coraggiosa a non aver abortito, non hai distrutto un’anima innocente. Il bambino sarà una consolazione per te e tutto potrebbe risolversi al meglio.

Ma Caterina non riusciva a tollerare l’idea di ribadire con Igor. La ferita derivante dal suo abbandono era ancora troppo fresca, il ricordo di come semplicemente rinunciò a lei senza alcun tentativo di chiarimento, troppo doloroso.

Il tempo passava. Caterina ormai non lavorava più, camminava a fatica e attendeva impaziente la nascita del figlio. Non era stato possibile capire il sesso, ma non importava, bastava che fosse sano.

Alla fine di febbraio, un sabato, iniziò il travaglio e Paola la portò all’ospedale. Il parto procedette bene, Caterina diede alla luce un bel bimbo sano.

– Piccolo Francesco, Franceschino, – sussurrava accarezzandolo sulla guancia paffuta.

Caterina fece amicizia con le altre mamme nella stanza. Le raccontarono che due giorni prima aveva partorito una ragazza la cui ragazza era sposata con un ufficiale della finanza. Anche se più tardi si rivelò che vivevano solo in unione civile e non erano sposati.

– Non ci crederai, ma l’ha sommersa di fiori! Brandina e dolcetti per le infermiere. Era qui ogni giorno. Ma qualcosa non andava. Diceva tutto il tempo che non voleva bambini e che era rimasta incinta per errore. Alla fine ha abbandonato il bimbo ed è scappata. Lasciò una lettera, diceva che non era pronta a essere madre. Te lo immagini?!

– E il bambino?

– Viene nutrito con il biberon, ma un’infermiera ha detto che è meglio l’allattamento naturale. Però chi ha tempo: bisogna pensare ai propri figli.

Fu allora che Caterina vide la bambina portata per la poppata.

– Qualcuno può nutrirla? È così debole, – sperava dolcemente l’infermiera cercava un aiuto tra le giovani mamme.

– Passala a me, non posso lasciare la piccola affamata, – Caterina poggiò con delicatezza suo figlio che dormiva e prese la piccola in braccio.

– Oh, così bionda! E minuscola! La chiamerò Mariuccia.

A confronto, con il robusto Francesco, Mariuccia sembrava davvero fragile.

Caterina la mise al seno e la piccola succhiò felice, ma dopo pochi minuti lasciò il capezzolo e si addormentò.

– Te l’avevo detto, è esile, – confermò l’infermiera.

Allora Caterina iniziò ad allattare entrambi.

Due giorni dopo, nel reparto entrò un’infermiera e annunciò che era arrivato il padre della piccola, desiderando incontrare la ragazza che nutriva sua figlia. Fu così che Caterina conobbe il capitano della Guardia di Finanza, Lorenzo Martini. Un uomo di statura media con uno sguardo deciso e occhi blu penetranti.

Quel che accadde poi fu raccontato per molto tempo dal personale medico e dal resto della città, perché il finale di questa storia meritava di essere ricordato.

Il giorno in cui Caterina fu dimessa, tutti i medici, infermieri e aiuti erano radunati fuori dalla porta, davanti alla quale era parcheggiata una macchina decorata con palloncini azzurri e rosa. Un giovane ufficiale aiutò Caterina a salire in macchina, dove già sedeva anche Paola, e le passò prima un fagottino azzurro, poi uno rosa. Tritano l’auto si allontanò e velocemente scomparve dietro l’angolo di una curvatura.

È incredibile come a volte non si sappia quali conseguenze possono avere le nostre azioni. Perché a volte la vita riserva delle sorprese che inventarle sarebbe impossibilie…

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