«Non sono babysitter né domestica: ho detto a mia figlia che non sono obbligata a badare a mia nipote e ho anche i miei progetti»

Tutto è iniziato con l’evento più bello: la nascita di mia nipote. Io, come madre e nonna affettuosa, mi sono subito messa a disposizione: notti insonni, passeggiate con la piccola, stiravo i suoi vestitini, preparavo le pappine e le vaschette per il bagnetto. Credevo fosse mio dovere aiutare, dare tutto il mio amore a mia figlia e alla sua famiglia. Ricordo com’era faticoso essere mamma nei primi mesi, e mi mancava un sostegno allora.

Ma col tempo, la mia presenza è diventata scontata. Mia figlia e mio genero mi trattavano come un servizio gratuito. Prima mi chiedevano di stare con la piccola per un paio d’ore, poi per una sera intera, infine per i weekend. Erano sempre più frequenti frasi come: “Mamma, resta con Sofia, abbiamo un corso”, “Tanto sei a casa, puoi prenderla all’asilo”, “Abbiamo la palestra, aiutaci un po’”.

E io aiutavo. Come avrei potuto dire di no? Un bambino non si lascia all’asilo così. Ma poi ho capito che il mio “dare una mano” si stava trasformando in un obbligo. Non ero più nei loro piani. Loro organizzavano la loro vita e io dovevo adattarmi.

L’ultima goccia è stata quando mi hanno chiamato dicendo che avevano una cena aziendale e che Sofia non poteva andare all’asilo perché tossicchiava un po’. Mio genero era uscito con gli amici a pescare, e lei “non poteva mancare, era importante per il lavoro”. Ho taciuto, mi sono preparata e sono andata a prendere la bambina. Perché, in fin dei conti, è mia nipote e le voglio bene. Ma dentro di me ribollivo per l’ingiustizia.

E poi è arrivato il colpo di grazia. Mia figlia mi chiama tutta felice e mi annuncia che lei e Marco partono per la Grecia. Due settimane. Io, contenta per loro, chiedo: “Portate Sofia con voi?”. La risposta mi ha gelato il sangue:
“No, ma dai. Starai tu con lei. Abbiamo già prenotato i voli, tutto incluso.”

Niente domande, nessun permesso chiesto. Mi hanno messo davanti al fatto compiuto. Nemmeno si sono preoccupati di sapere se avessi impegni. Chissà, forse pensano che una pensionata non abbia una vita, né desideri. Solo nipoti e cucina.

Ho preso il telefono e, con calma ma fermezza, ho detto:
“Anna, io non sono una babysitter. Non sono la vostra domestica. Siete adulti, avete una figlia e la responsabilità è vostra. Se volete viaggiare da soli, o la portate con voi o trovate qualcun altro. Io ho i miei piani: con la mia amica Lucia avevamo prenotato un soggiorno termale un mese fa.”

Dall’altra parte, silenzio. Poi è iniziata la scenata. Mia figlia ha urlato che sono egoista, che sono una nonna terribile, che “tutte le nonne normali vivono solo per i nipoti”, mentre io penso solo a me stessa. E poi, cosa devo fare tutto il giorno, guardare la TV?

Ma sono stanca di giustificarmi. Io non sono obbligata. Ho aiutato per amore, non perché fosse un dovere. Ma quando l’amore diventa sfruttamento, bisogna mettere dei limiti.

Sì, sono in pensione. Ma la mia vita non è finita. Ho progetti, desideri, stanchezza, salute da gestire. Perché nessuno mi ha chiesto se volevo passare due settimane da sola con una bambina, senza pause, senza riposo? Perché devo sacrificarmi per le loro vacanze?

Amo mia nipote. Ma non permetterò più che il mio affetto sia un pretesto per approfittarsi di me. E se questo significa litigare con mia figlia, pazienza. La vera famiglia è rispetto, non sfruttamento.

Ho detto “no” per la prima volta dopo tanto tempo. E ho sentito un peso scivolare via dalle mie spalle. Perché non sono una babysitter. Non sono una serva. Sono una madre. E sono una donna che ha diritto alla sua vita.

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