Non sono la domestica di mio suocero

Quando mia suocera, Giacomina Rossi, uscì in giardino per un attimo, mio suocero, Vittorio Bianchi, si girò verso di me e con tono autoritario disse: “Anna, vai a scaldarmi quel pollo, è già freddo!” Rimasi immobile, incredula. Cosa, ora sono la sua domestica? Se ne hai bisogno, scaldatelo tu, avrei voluto urlare, ma invece, accarezzando il gatto che mi strofinava le gambe, risposi: “Vittorio, non sono la tua serva, scalda tutto da solo”. Mi guardò come se fossi una ribelle, mentre sentivo il sangue bollirmi in corpo. Non era solo una questione di pollo — era un confine che non volevo oltrepassare.

Io e mio marito, Matteo, viviamo da soli, ma ogni domenica andiamo a cena dai suoi genitori. Giacomina cucina come una dea, e io sono sempre felice di andarci — chiacchierare, assaggiare i suoi cannelloni fatti in casa, ascoltare le sue storie. Vittorio, invece, è un uomo di poche parole: siede a capotavola come un generale e per lo più borbotta tra sé. Sono abituata al fatto che gli piace comandare: “Passami il sale”, “Sposta quei piatti”. Ma di solito sorvolo — è anziano, abitudinario, che ci vuoi fare. Ma stavolta ha esagerato.

Quella sera eravamo tutti a tavola a mangiare pollo arrosto con patate. Giacomina, come sempre, si dava da fare, ci serviva il bis, e io l’aiutavo a sparecchiare. Quando uscì in giardino per prendere la crostata, Vittorio pensò che fosse il suo momento. Ero seduta, accarezzando il loro gatto Birillo, che faceva le fusa sulle mie ginocchia, quando lui sparò: “Scalda il pollo!” Feci finta di non aver sentito. Mi fissava come se dovessi saltare su e correre al microonde. Io, tra l’altro, ero stanca dopo il lavoro, vestita con il mio abito migliore, lì come ospite, non come cuoca a noleggio.

La mia risposta lo lasciò di stucco. Aggrottò le sopracciglia e borbottò: “Eh, i giovani d’oggi, non hanno più rispetto.” Rispetto? E il rispetto per me? Non mi dispiace aiutare, ma quello non era un invito, era un ordine, come se fossi lì per fargli da cameriera. Giacomina tornò, percepì la tensione e chiese: “Che succede?” Stavo per spiegare, ma Vittorio fu più veloce: “Niente, Anna non ha voglia di aiutare un vecchio.” Aiutare? Scalare un pollo ora è un’impresa eroica? Controllai a stento la rabbia e dissi: “Giacomina, aiuto sempre volentieri, ma non sono una domestica.”

Tornando a casa, ne parlai con Matteo. Lui, come sempre, cercò di smussare: “Ammazz’, non voleva offenderti, è abituato che mamma fa tutto. Non prenderla così.” Facile per lui parlare, non è lui che riceve ordini! Gli ricordai che non mi dispiace aiutare, ma il tono di Vittorio era da capostazione. Matteo promise di parlarne con suo padre, anche se so che odia i conflitti. “Lo dico a mamma, lei lo sistema,” aggiunse. Giacomina, certo, potrebbe metterlo in riga — lei mi difende sempre — ma non voglio creare tensioni in famiglia.

Ora sto cercando di capire come reagire. Una parte di me vorrebbe, la prossima volta, restare seduta e non alzare un dito — che Vittorio si scalda il suo pollo da solo. Però so che sarebbe infantile, e non voglio far dispiacere Giacomina, che non c’entra nulla. L’altra parte di me vorrebbe affrontarlo: “Vittorio, ti rispetto, ma non sono la tua serva, trattiamoci con educazione.” Però temo che la prenderebbe come un’offesa e salterebbero scintille. La mia amica, quando gliel’ho raccontato, mi ha consigliato: “Anna, rispondi a tono, digli che il microonde sa funzionare anche da solo.” Scherzare? Forse l’umorismo è la soluzione, ma per ora sono ancora troppo arrabbiata.

Ripensavo a quando Vittorio era più gentile. Appena sposati, lodava le mie insalate e raccontava barzellette sui suoi tempi da giovane. Ora, invece, pare convinto che io debba stare ai suoi ordini come Giacomina. Ma io non sono lei! Ho il mio lavoro, i miei impegni, e vado da loro come ospite, non come sguattera. Voglio bene alla sua famiglia, ma non accetto ordini. Forse è l’età, forse l’abitudine, ma non mi farò umiliare — nemmeno per quieto vivere.

Per ora ho deciso di essere educata ma ferma. La prossima volta che Vittorio alzerà la voce, sorriderò e dirò: “Il microonde è lì, Buona fortuna.” E se serve, parlerò con Giacomina — lei capirà. Non voglio litigi, ma non starò zitta. Quella casa è loro, ma io non sono di loro proprietà. E il pollo, a questo punto, che se lo scaldi lui. Birillo, almeno, mi capisce. Lui sì che sa come trattare le persone.

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