Quando la suocera, Maria Rosaria, uscì per un attimo dalla cucina, mio suocero, Vittorio, si girò verso di me e con tono autoritario disse: “Anna, vai a scaldarmi quel pollo, ormai è freddo!” Rimasi immobile, incredula. Mi prendevano per la domestica? Se ne aveva bisogno, poteva scaldarselo da solo, avrei voluto urlare, ma invece, accarezzando il gatto che mi strofinava alle gambe, risposi: “Vittorio, non sono la serva, scaldatelo voi”. Mi guardò come se fossi una ribelle, mentre sentivo il sangue ribollirmi nelle vene. Non era solo una questione di pollo, era un confine che non avevo intenzione di superare.
Io e mio marito, Matteo, viviamo da soli, ma ogni domenica andiamo a cena dai suoi genitori. Maria Rosaria cucina da leccarsi i baffi, e vado sempre volentieri per chiacchierare, assaggiare i suoi cannelloni e ascoltare le sue storie. Vittorio di solito sta zitto, seduto a capotavola come un generale, e si limita a brontolare. Sono abituata ai suoi ordini: “passami il sale”, “sposta i piatti”. Non ci facevo caso, pensando fosse una questione di abitudine. Ma quella volta aveva esagerato.
Quella sera, a tavola, mangiavamo pollo arrosto con patate. Maria Rosaria, come sempre, era indaffarata a servirci altro cibo, mentre io l’aiutavo a sparecchiare. Quando uscì in giardino per prendere il vino, Vittorio credette fosse il suo momento. Accarezzavo il loro gatto, Sorriso, che faceva le fusa sulle mie ginocchia, quando mi ordinò: “Scalda il pollo!” Per un attimo pensai di aver capito male. Mi fissava come se dovessi correre al microonde. E io, tra l’altro, stanca dopo il lavoro, vestita con il mio abito buono, ero lì come ospite, non come sguattera.
La mia risposta lo sorprese. Aggrottò le sopracciglia e borbottò: “La gioventù d’oggi non ha più rispetto”. Rispetto? E il rispetto verso di me? Non mi dispiace aiutare, ma quello non era un invito, era un comando, come se fossi lì solo per obbedire. Maria Rosaria tornò, percepì la tensione e chiese: “Cosa succede?” Stavo per parlare, ma Vittorio mi anticipò: “Niente, Anna non vuole aiutare un vecchio”. Aiutare? Scaldare il pollo era forse un’impresa eroica? Controllai la rabbia e dissi solo: “Maria Rosaria, aiuto sempre, ma non sono una serva”.
Sulla strada di casa, ne parlai con Matteo. Lui, come al solito, cercò di smussare: “Anna, papà non voleva offendere, è abituato che mamma faccia tutto. Non prenderla a male”. Facile per lui, non riceve ordini! Gli ricordai che non mi importava aiutare, ma il tono di Vittorio era quello di chi parla a una cameriera. Matteo promise di parlargli, ma so che odia i conflitti. “Ne parlerò a mamma, lei lo farà ragionare”, aggiunse. Maria Rosaria forse avrebbe davvero detto qualcosa, ma non volevo creare tensioni in famiglia.
Ora non so come comportarmi. Una parte di me vorrebbe, la prossima volta, rifiutarsi di fare qualsiasi cosa, così Vittorio dovrà scaldarsi il pollo da solo. Ma so che sarebbe infantile e non voglio ferire Maria Rosaria, che non ha colpe. Un’altra parte vorrebbe parlargli chiaramente: “Vittorio, la rispetto, ma non sono la sua domestica. Trattiamoci con rispetto”. Ma temo che lo prenderebbe come un affronto e ne nascerebbe un dramma. La mia amica, quando mi sono sfogata, mi ha detto: “Anna, rispondi con una battuta, digli che il microonde sa funzionare da solo”. Scherzare? Forse l’umorismo può aiutare, ma ora sono troppo arrabbiata.
Ricordo quando Vittorio era più gentile. Quando io e Matteo ci sposammo, lodava le mie insalate e raccontava storie divertenti della sua giovinezza. Ora, invece, sembra che si aspetti che io lavori per lui come Maria Rosaria. Ma io non sono lei! Ho il mio lavoro, le mie cose, e vado da loro come ospite, non come aiutante. Amo la loro famiglia, ma non accetterò ordini. Forse è l’età, forse l’abitudine, ma non mi lascerò mancare di rispetto, nemmeno per la pace familiare.
Per ora ho deciso di essere educata ma ferma. La prossima volta, se Vittorio darà ordini, sorriderò e dirò: “Il microonde è in cucina, aspettavo solo voi”. E se serve, parlerò con Maria Rosaria, lei capirà. Non voglio litigi, ma non resterò zitta. Quella casa è loro, ma io non sono di loro proprietà. Il pollo se lo scaldi da solo, io preferisco accarezzare Sorriso. Lui, almeno, mi capisce.
Alla fine, la lezione è semplice: il rispetto non si chiede, si merita. E nessuno può farti sentire inferiore senza il tuo permesso.