Non sono riusciti a condividere il divano. Una storia di conflitti e affetti.

Marco si aggirava nervosamente per la stanza, aprendo e chiudendo inutilmente le ante dellarmadio come un fantasma in cerca di uscita.

E tu credevi che avrei guardato serena i tuoi occhi da cucciolo? urlò Isabella, lanciando la borsa sul divano. Divorzio e divisione dei beni! Raccogli i tuoi euro e vattene, questa è la mia casa.

La casa è tua, forse, ma tutto quello che cè dentro è mio. Lho comprato io.

Scappa via! strillò Isabella, scrollando via una ciocca di capelli dal fronte. Non ti voglio più vedere!

Un anno prima, Marco e Isabella si erano sposati per amore, ma la distanza tra loro era come un ponte che non voleva reggere. Si erano incontrati per caso, quel pomeriggio afoso di luglio, camminando su un marciapiede di Roma verso la stessa direzione. I loro sguardi si incrociarono, i passi si fermarono, e una risata condivisa li fece scambiare parole.

Marco laccompagnò a casa, la seguirono fino al crepuscolo, la mattina si rincontrarono di nuovo, e da allora non si separarono più. Tutto era perfetto, finché ieri non arrivò la gelosia di Isabella, scaturita da una compagna di classe, Ginevra, incontrata casualmente in un centro commerciale di Napoli.

Isabella quasi non la riconobbe: una donna con le labbra gonfiate, la stessa amica di scuola.

Ti sei riconciliata? le afferrò per la manica Nika, una vecchia compagna di università. O non ti ricordi? Ti ho vista a distanza, nulla è cambiato, sei sempre la stessa nella tua grigia tranquillità

Nika? Scusa, non lavevo vista, rispose Isabella, confusa, temendo di offendere. Le sembrava la madre di Nika, con lo stesso taglio di capelli, più vecchia di quindici anni rispetto alla madre stessa.

Vuoi prendere un caffè? Parliamo un po, propose Nika. Le gambe mi fanno male, da stamattina corro e faccio la spesa. Il papà ha un anniversario, mi hanno dato una lista, ma non trovo neanche la metà delle cose.

Perché no, disse Marco, accettando volentieri. Io prendo qualcosa da mangiare, ho fame.

Anche Isabella non opponeva resistenza. Non aveva più visto Nika dai tempi del diploma, quasi dieci anni. Voleva sapere di più sui compagni sparsi in tutta Italia.

Marco ordinò una cotoletta di vitello con verdure, le ragazze presero un gelato.

Ricordi Valerio? chiese Nika a Isabella, lanciando uno sguardo a Marco. Il ragazzo che mi inseguiva.

Lo ricordo, ma non era il contrario, vero? Mi sembrava ti nascondessi in spogliatoio.

Esatto! Non sai nulla. È stato con me per due anni, ora vive a Torino, ha parenti lì, si è sistemato bene. Chi lavrebbe detto un tipo così!

Sì, ho visto le foto sul gruppo, sembrava solo unescursione. E Zaira Varlamova? Non la vedo più.

Non ne ho notizie, è complicato. Ha avuto un figlio e lui è sparito. I ragazzi la corteggiavano sempre. Ti ricordi Vova Pahomov, che al diploma mi invitava a ballare? continuò Nika, osservando Marco. Si è sposato, divorziato. Mi manda cuoricini sotto le foto, non è il mio stile. E il tuo Gennaro? È diventato agricoltore!

Da dove esce questa storia? rise Marco.

Non correvi dietro a lui? replicò Nika, ridendo.

Marco continuava a infilare la cotoletta, ignaro dei pettegolezzi femminili. Isabella, però, cominciò a scaldarsi.

Non correvo dietro a Gennaro, ti confondi, tirò fuori dallo zaino uno specchietto e del rossetto, ridipingendo le labbra. Marco, hai finito? È ora.

Si alzarono, si salutarono, ma Nika non voleva andare via.

Salite in macchina? Potete darmi un passaggio? Non voglio trascinare le valigie sui mezzi.

Si sistemò sul sedile anteriore accanto a Marco, appoggiando le borse sulle ginocchia, aggiustandosi i capelli in modo civettuolo.

Pensavo foste ricchi, ma la vostra auto è una barzelletta. Il credito non vi dà nulla di decente? Aiuterei mio marito a comprarne una migliore.

Ascolta, cara, si girò Marco verso Isabella, ridendo. Che cosa dicono gli uomini intelligenti. Volevo fare, ma è costoso, non reggeremo

No, no, devi prendere unauto più affidabile, insisteva Nika, gonfiando le labbra a forma di papera. Su quella strada è pericoloso. Mio fratello ha portato una macchina dallEuropa, è un altro mondo! Ti passo il numero, ti troverà qualcosa di valido.

Una donna daffari si riconosce subito, rise Isabella. Aiuti tuo fratello in affari? Va bene, dammi il numero, potrebbe servirmi un giorno.

Isabella, seduta dietro Nika, tremava di rabbia, cercando di sembrare calma e persino allegra, trasformando la discussione in una barzelletta. Appena entrarono a casa, scoppiò:

Sono la cattiva, tu la buona? si lanciò su Marco. Non ti ho dato lauto al ragazzo? Hai risparmiato? Allora vai dalla bocca grossa!

Sei impazzita? sbigottì Marco. Non capisci le battute, sei gelosa

Come chi? Vieni, voglio sentire tutto. Non hai visto come ci scambiavamo gli sguardi? Se non fossi nella macchina ora, ti avresti già messo a fare il giro di quel divano! Mi umilia, e tu lo approvi.

Basta, è stufo. Una lite senza ragione, basta.

Ah, sei stanco di me? Ti ho capito. Basta, non ti voglio più vedere. Divorzio! Non ho più dubbi.

Allora perché ti sei arrabbiata?

Ho detto tutto.

Sai, se per queste sciocchezze facciamo le cause, forse è davvero meglio così.

Proprio così!

Isabella, che voleva solo farlo ragionare, lo aveva spaventato, pensando che chiedesse scusa, non immaginava che la discussione potesse degenerare così. Ma non aveva intenzione di tirarsi indietro.

Divorzio, quindi divorzio, disse Marco, fermandosi al centro della stanza, osservando il caos. Divideremo i beni come la legge prevede.

Io lho sempre saputo, sei un tirchio.

Se chiedo giustizia, sono un tirchio? Non sono uno sciocco da regalare tutto a una bambola viziata. Prendo i mobili, ti resta solo la casa.

Non è così. Abbiamo comprato i mobili insieme. Dividiamoli a metà: per me larmadio, per te il comò, per me il divano, per te il tavolo

Stop! Il tuo a metà è strano. Il divano lo prendo comunque, lho pagato di tasca mia.

Vedo che negoziare è inutile. Non ti darò il divano. Chiamo i genitori.

Vai pure, la tua artiglieria è pronta. Io chiamerò anche io.

I genitori arrivarono subito. Prima cercarono di riconciliarsi, ma capendo che i due erano determinati, presentarono i loro conti:

Voi giovani avete una casa, anche se piccola, disse la suocera, una signora di Firenze. Ma noi abbiamo pagato il matrimonio, la mobilia, la macchina, la ristrutturazione. Lo stipendio di Marco è dieci volte quello di Isabella, lha sostenuta per un anno. Se si fa giustizia, è Isabella a lasciarci tutto.

Il suocero, un uomo taciturno con un fazzoletto largo, asciugava il sudore dalla fronte, rosso e pallido a seconda dei discorsi della moglie.

La suocera, con il respiro rapito dallaudacia, aprì la bocca per parlare, ma il suocero le mise una mano sulla spalla:

Non serve, Mariella. Dobbiamo andare in tribunale. La separazione sarà legale, non perdiamo tempo né nervi.

Uscì dalla stanza, indicando la fine della discussione.

Isabella, vieni con noi? chiese la madre.

No, rispose Isabella, assumendo una posa da guerriera. Difenderò la casa, nessuno potrà portare via nulla di nascosto.

In tribunale, dunque, proclamò la suocera a gran voce. Raccoglieremo tutte le ricevute, estratti bancari, e otterremo tutto. Tu, Marco, resta qui a controllare che non manchi né un cucchiaio né un piatto. Andiamo, Carlo, raccogli i documenti.

Sì, mormorò Isabella, guardando gli altri andarsene. Che madre hai, davvero

E allora? Non è colpa sua?

Dio, a chi ho chiesto aiuto! Potete impiccarvi con le vostre scartoffie, ma la casa è mia, e il divano non lo darò mai. È mio! Portate via tutto il resto, se volete.

Abbiamo scelto quel divano insieme, è anche tuo, come il mio. E il mio stipendio è più alto, è per quello che abbiamo comprato tutto. Basta con le sceneggiate!

Io ho lavorato per un anno come cuoca, domestica, lavanderia, piatti! E tu non mi lasciavo dormire!

E questo si paga? rise Marco, divertito.

Hai pensato di aver trovato una schiava gratis? Hai comprato tutto, benefattore!

E vero, i miei genitori hanno sempre aiutato con i soldi. La mamma ha ragione. Il divano è mio, non me ne andrò senza. Ho comprato anche larmadio, il tappeto, il computer, anche la tua borsa.

Ti ho preso un maglione, i guanti, persino gli slip! Toglili!

Marco inciampò al centro della stanza, alzò le sopracciglia e si avvicinò a Isabella con un sorriso astuto:

Ti tengo, ti tolgo

Il divano era così comodo, così elastico

Al mattino Isabella si svegliò sotto gli occhi beffardi di Marco.

Perché ridi?

Non voglio separarmi da questo divano fantastico.

Ah, il divano!

Con chi altro, allora?

Giura che non farai più locchiolino a nessuno di quelli con la bocca grossa! le afferrò le orecchie, fissandola dritto negli occhi.

Giuro, più occhiolini a bocche grandi, rise lui. Farei di tutto per questo divano

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