Non una semplice babysitter – La storia di Alice, studentessa universitaria e dei Morozov: tra sfide, amore e una nuova famiglia italiana

Non solo una tata

Mi chiamo Lorenzo Conti e oggi ho deciso di mettere nero su bianco una delle tappe più importanti della mia vita; una storia che, iniziata quasi per caso, mi ha insegnato molto.

Tutto è cominciato in una tranquilla mattina alla Biblioteca dellUniversità degli Studi di Firenze. Ero immerso nei libri, assediato da appunti sparsi e manuali di pedagogia, perché la verifica di psicologia dello sviluppo incombeva e il professore, il temuto professor Salvati, era famoso per essere inflessibile: chi sbagliava, era destinato al recupero, senza scappatoie. Non potevo permettermi errori, non con tutte le fatiche fatte durante il semestre.

Proprio mentre stavo cercando di memorizzare lennesima tabella, mi si avvicinò la mia amica e collega di studi, Martina Vanni. Si sedette di sbieco e appoggiò il gomito al tavolo, avvicinandosi con discrezione:

Ti serve ancora trovare un lavoretto, vero?

Sollevai lo sguardo solo per un attimo, annuendo e tornando subito sui miei appunti. Il tempo era poco, e la testa mi scoppiava.

Mmmh, mi limitai a rispondere, giusto per non sembrare sgarbato, ma il problema è sempre lo stesso: il tempo. Lo sai che abbiamo lezione fino alle due ogni giorno e non posso saltare.

Martina sorrise comprensiva. Sapeva che non scherzavo con gli studi. Dopo un attimo di silenzio, riprese con voce più vivace:

Ho trovato qualcosa che fa per te. Il mio vicino, Andrea Rinaldi, è rimasto vedovo da qualche tempo almeno credo, comunque non importa. Sta lavorando tantissimo e ha bisogno di una mano con le figlie gemelle, tutte le sere dalle quattro alle otto.

Questa volta lasciai gli appunti e la guardai con più attenzione. Martina colse subito il mio interesse e continuò:

Adori i bambini, studi per fare linsegnante e hai già esperienza: quattro fratelli minori a casa, mica pizza e fichi!

Pensai per un attimo. I bambini erano sempre stati la mia debolezza, aiutavo mamma con i piccoli di casa più per piacere che per dovere. Ma prendersi cura di figli altrui era unaltra storia.

Che età hanno? chiesi, la voce più calda e partecipe.

Martina mi osservò con una luce negli occhi, come se sapesse già la mia risposta.

Le gemelle, sei anni. E Andrea ha anche un figlio più grande, diciassettenne, impegnato costantemente tra basket e allenamenti: praticamente sempre fuori.

Sospirai. Mi sentivo attratto ma preoccupato. Avrei neppure il titolo, solo quarto anno e tanta esperienza familiare ma poca ufficiale. Chissà se avrebbero voluto comunque affidarmi due bambine così piccole.

Martina sbuffò e agitò la mano come a scacciare dubbi.

Ti prendono di sicuro! Andrea mi ha proprio chiesto ieri se conoscessi qualcuno affidabile. Gli do il tuo numero?

Guardai i miei libri, poi lorologio. Una mezza ora prima della prossima lezione Fu un lampo: il lavoro era vicino alluniversità, bambini piccoli, orari flessibili. Forse poteva funzionare, forse era la svolta che aspettavo.

Sentendo il cuore accelerare, feci un bel respiro e dissi deciso:

Vai, dagli pure il mio numero.

********************

Oggi era il gran giorno, il primo da tata ufficiale. Ero più agitato che in qualsiasi esame universitario. Avevo controllato mille volte la borsa: portafoglio, telefono, taccuino di appunti, qualche snack per le bambine. Tutto in ordine.

Il giorno prima avevo incontrato Andrea e le figlie: tramite Martina ci eravamo conosciuti in un lampo. Andrea, uomo alto, sincero, con uno sguardo buono e un sorriso tiepido. Aveva impostato subito un tono sereno, spiegandomi regole e abitudini. Le gemelle, Caterina e Giulia, mi scrutavano da dietro il papà, ma dopo dieci minuti mi mostravano già i disegni e raccontavano storielle a ruota libera. Mi pareva di piacere loro e anchio non riuscivo a nascondere il sorriso davanti alle loro birichinate.

Devo dire che quello che mi aveva spiazzato davvero, però, era stato proprio Andrea. Martina non mi aveva certo parlato della sua eleganza semplice, della delicatezza di modi. Sbottai mentalmente contro la mia amica per avermi nascosto un particolare del genere, capendo allistante che avrei dovuto lottare contro la mia naturale timidezza ogni volta che incrociavo lo sguardo di papà Andrea.

“Non perdere la testa, Lorenzo. È un lavoro, solo un lavoro”, mi ripetevo con forza mentre raggiungevo lasilo comunale Le Coccinelle, poco distante. Andrea aveva già avvertito le maestre, mi aveva lasciato anche una delega scritta per ritiro delle bambine. Salutai, respirai fondo e varcai il cancello.

Il cortile ribolliva di bambini intenti a rincorrersi, lanciarsi palle di foglie e costruire castelli di sabbia. Individuai subito Caterina e Giulia: ferme vicino allaltalena, parlottavano tra loro. Quando mi videro, si fermarono, poi sorriserò timide.

Mi avvicinai senza fretta, mi abbassai allaltezza dei loro occhi e dissi:

Siete pronte a tornare a casa? Oggi posso prepararvi una merenda speciale

Caterina mi squadrò come a pesare ogni parola.

Che cosa prepari? domandò circospetta.

Uhm, pensiamo Pancake con marmellata o, forse, biscottini con le gocce di cioccolato?

Giulia esplose:

I biscotti! Quelli con le gocce! Sono i miei preferiti!

Annuii, stendendo le mani verso di loro.

Allora è deciso. Andiamo?

Le bimbe si guardarono, poi posero le loro piccole mani nelle mie. Ed è stato lì che, quasi per magia, lagitazione è svanita lasciando posto a un tepore nuovo. Forse ce lavrei fatta.

Mi persi per un attimo a osservare i loro gesti da gemelle: stessi movimenti, stessi sguardi, stessi passi scanditi all’unisono, ma negli occhi una serietà inaspettata per letà.

Il giorno prima, Riccardo, il fratellone, mi aveva detto in disparte, quasi sottovoce:

Prima erano solari, sempre sorridenti. Dopo dopo la mamma Non sanno capire che non hanno colpa. Piangevano, mi chiedevano cosa avessero fatto di male perché la mamma se nè andata… si era bloccato, ma poi aveva stretto i pugni e aggiunto Abbiamo cercato di spiegare che lei le amava tantissimo, che non è colpa loro Ma si sono chiuse, non sorridono quasi più, si fidano solo di pochi ormai. Prima ci aiutava la nonna, ma da quando si è ammalata papà ha dovuto cercare una tata.

Aveva lo sguardo carico di stanchezza e responsabilità non da ragazzino, ma fece un sorriso e concluse:

Però con te si sono già sciolte. Le hai fatte ridere. Papà lha visto subito che potevi essere quella giusta. Ma non ci deludere, ok?

Mi colpì dritto al cuore. Gli promisi, convinto:

Ce la metterò tutta. Voglio solo vedere di nuovo il loro sorriso.

Riccardo si rilassò e, come tornato bambino, concluse:

Ogni tanto starò con loro anchio, tra un allenamento e laltro. Racconto storie bellissime, sai?

Ne sono sicuro, risposi col sorriso.

****************

Sono passati ormai due mesi da quando lavoro dalla famiglia Rinaldi. Tante cose sono cambiate: Caterina e Giulia sono diventate più affettuose. Mi accolgono con unenergia contagiosa, mi raccontano ogni cosa, non vorrebbero mai lasciarmi andare via la sera.

Quella sera stavo per andarmene. Stavo rimettendo a posto i giochi, canticchiando piano la canzone che avevamo imparato, mentre le bimbe mi guardavano dal divano con occhi un po tristi.

Rimani qui da noi! esclama di scatto Caterina, correndo ad abbracciarmi con tutta la sua forza e nascondendo il viso nella mia camicia. Che ci torni a fare a casa tua?

Rimango stupito, poi scoppio in una risata, abbracciandola a mia volta, una mano tra i suoi riccioli biondi.

Devo studiare, spiego piano. Domani ho lezione, devo prepararmi. Ma domani torno, promesso: quasi non farete in tempo a sentire la mia mancanza!

Ma Giulia era già dietro di lei, ad abbracciarci entrambe.

Già ci manchi! esclama con la solita spontaneità Resta qui!

Le guardo, mi inginocchio e, per scherzare, chiedo:

Ma dove dormo? La vostra cameretta è piccola!

Caterina mi pensa un attimo, poi esclama soddisfatta:

Cè il letto grande di papà! Lì sei comodissimo!

Giulia annuisce tutta felice:

Sì, papà spesso lavora fino tardi, non si accorge neanche!

Mi viene da ridere, ma mi trattengo. Capivo che volevano solo tenermi vicino, ma quellimmagine mi creava una strana confusione nella testa Però era evidente: per loro non cerano malizie, solo affetto.

Grazie, siete dolcissime, mormorai. Ma stasera proprio non posso, domani però torno prima e cuciniamo ancora biscotti, daccordo?

Le bimbe si arrendono, ma senza più tristezza. Aiutate da me, mettono via i giochi e si preparano per la nanna. Vedo quanto sto diventando importante per loro, e il loro affetto mi scalda il cuore ogni giorno di più.

A dire il vero, una parte di me, sentendo Caterina proporre il letto di Andrea, si era sentita imbarazzata. Sapevo bene che era solo innocenza, ma nella mia testa, complice la stanchezza della giornata, avevo cominciato a immaginare qualcosa di diverso: una serata tranquilla in casa Rinaldi, due chiacchiere con Andrea davanti a una tazza di tè, il tepore di restare insieme. Ero subito tornato alla realtà: È solo lavoro, Lorenzo, ricordalo bene! Quasi fuggii dallappartamento, agitato come un delinquente scoperto.

Per strada, respirando laria fresca di una sera fiorentina, cercai di calmare il rossore sulle mie guance, aggiustandomi i capelli come un ragazzino imbranato, mentre tutt’intorno la città brillava delle sue luci.

Non mi accorsi che Riccardo mi stava osservando dalla porta, appoggiato allo stipite, sorridendo soddisfatto. Credo che avesse già capito molto più di quanto io sperassi si vedesse dallesterno.

Mi sa che mio padre ha trovato la persona giusta, pensò, ma perché nessuno dei due trova il coraggio di compiere il primo passo? Gli adulti sono davvero complicati

Quando Andrea tornò quella sera, Riccardo si sedette davanti a lui senza tanti preamboli.

Papà, ma che aspetti ancora? lo incalza, con aria da adulto.

Andrea, allinizio sorpreso, mugugnò:

Eh? In che senso?

Dai, lhai capito benissimo Riccardo non mollava. Ti piace Lorenzo, si vede! Invitalo fuori una volta, che ci vuole?

Andrea arrossì leggermente, e si massaggiò la fronte in imbarazzo.

Ric, Lorenzo è la tata delle gemelle, è importante che ci sia equilibrio

Dai papà, replica il ragazzo, se continui così, non si sblocca niente! Si capisce che vi piacete, tutti e due. Invitalo a mangiare una pizza, almeno!

Andrea si lasciò andare, sospirando.

Non è facile come credi, ragazzo mio. Non voglio rischiare di perdere un aiuto così prezioso, solo perché

Sei innamorato, interviene Riccardo, e lo è anche Lorenzo. Fidati, basta muovere un passo: invitalo a fare una passeggiata o a una cena di famiglia, anche con noi.

Andrea sembrò finalmente tentato non del tutto convinto, ma più sereno. I pensieri correvano veloce: una pizza in centro, un pomeriggio ai giardini pubblici

Forse hai ragione, Riccardo. Sarà meglio provarci piano piano.

Fidati, papà. Se va male, non dico nulla, promesso.

Si sorrisero. Proprio in quel momento scoppiarono le risa delle bimbe dalla stanza accanto, intento a giocare con me: Andrea sorrise teneramente. Forse era davvero il momento di rischiare.

***********************

Quella settimana le parole di Riccardo mi continuavano a ronzare in testa. Quando guardavo Lorenzo, notavo che i suoi gesti erano sempre un po impacciati se gli ero accanto, che arrossiva se lo ringraziavo. E mi chiedevo: possibile che non me ne sia mai accorto?

Rientrando a casa, sentivo le bambine ridevano a crepapelle in soggiorno.

Lorenzo, vero che il nostro papà è il migliore del mondo? urlava Caterina, incitata da Riccardo e Giulia.

Ma certo! rispondeva Lorenzo, intento a pettinare una delle bimbe. Attento, affidabile

Giulia non mollava:

E anche bello?

Molto, rispose Lorenzo, che subito arrossì di colpo non appena se ne rese conto.

Nel tentativo di camuffare limbarazzo, si alzò e propose:

È tardi, bambine! Andiamo a preparare la cena, chi mi aiuta?

Le bimbe accorsero saltellando, mentre Andrea varcava la soglia.

Che ne dite, stasera tutti insieme in pizzeria? propose, sorridendo.

Le bambine esultarono: gelato, pizza, parco giochi?

Lorenzo mi guardava intenerito; quando incrociai il suo sguardo, il mio cuore fece un balzo.

Se le bimbe sono contente sussurrò, arrossendo ancora.

Mi colse la voglia di iniziare quella che sarebbe stata, forse, la nostra piccola rivoluzione: frequentarci senza pressioni, passare più tempo tutti insieme.

************************

Passarono i mesi e la routine della famiglia Rinaldi cambiò. Le uscite a quattro tra gelati, passeggiate, risate e compiti divennero come respirare. Lorenzo ogni settimana restava di più anche dopo che le piccole dormivano: si parlava del futuro, si rideva, ci si confidava tra una camomilla e laltra.

Ormai era chiaro che il nostro rapporto era molto più che quello tra una famiglia e la propria tata. Riccardo, soddisfatto, si godeva la trasformazione: io più rilassato e felice, Lorenzo ormai sicuro di sé.

Una sera, dopo aver messo a letto le gemelle, io e Lorenzo eravamo soli sul divano. Nella semioscurità della sala, tra le lucine appese dalle bimbe e le tazze di tisana ormai fredde, capii che non potevo più tacere.

Lo sai, Lorenzo dissi piano, guardando le lucine a intermittenza negli ultimi mesi ho capito una cosa importante.

Lui mi fissò, impeccabile, quasi emozionato.

Non posso più immaginare la mia vita senza di te senza i tuoi sorrisi e la tua presenza calma. Ti amo, davvero. Vorrei che tu diventassi parte della nostra famiglia in tutto e per tutto. Vuoi sposarmi?

Rimase alcuni secondi in silenzio, cedendo allemozione, poi sussurrò deciso:

Ti amo anchio. E voglio esserci, con voi, per sempre.

*************************

Organizzare il matrimonio non fu complicato: niente pompa magna, solo una piccola cerimonia in un casale tra le colline del Chianti, con parenti e amici veri. Le gemelle erano le nostre damigelle, in abiti rosa con nastri di tulle. Distribuivano petali a tutti e reggevano i cuscini per le fedi con la solennità di chi sente grandi cose accadere.

Papà, sei bellissimo, mi sussurrò Caterina mentre mi abbassavo per baciarla.

Lorenzo è proprio una fata! aggiunse Giulia, rapita dal bianco dellabito e dai suoi occhi luminosi.

Riccardo, accanto a me, con aria fiera e rilassata come mai lo avevo visto prima, mi sussurrò allorecchio:

Te lavevo detto, papà. Dovevi solo provarci.

Applaudimmo, poi mi girai verso Lorenzo che mi guardava pieno damore.

Siamo una famiglia, finalmente, gli dissi intrecciando le dita alle sue.

Fra torte, balli e brindisi, le gemelle ballavano ovunque, mentre Riccardo mi abbracciava forte: non serviva altro.

Usciti sulla terrazza, la sera ormai inoltrata, ci abbracciammo guardando Firenze brillare allorizzonte.

Credo sia il giorno più bello della mia vita, sussurrò Lorenzo.

Anche per me, risposi stringendolo ma la cosa più importante è che ne arriveranno tanti altri, insieme.

Ecco la mia lezione: a volte la felicità arriva proprio quando si ha il coraggio di accogliere chi bussa alla nostra porta, anche se sembra solo un aiuto occasionale. Ho imparato che lamore si costruisce nella fiducia, nella cura reciproca, nella forza di rischiare per sé e per gli altri. E che nulla, davvero, succede soltanto per caso.

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