— Zio… per favore, prenditi mia sorella. Ha tanta fame…
Quella voce, appena udibile nel trambusto della città, colse di sorpresa Carlo Lombardi. Camminava veloce, quasi di corsa, con lo sguardo fisso avanti, assorbito dai pensieri della trattativa imminente. Quel giorno si sarebbe deciso tutto — milioni di euro, contratti, la fiducia degli investitori. Dopo la morte di Laura, sua moglie, il suo mondo, il lavoro era diventato l’unica cosa che lo teneva a galla.
Ma quella voce…
Si fermò e si voltò.
Davanti a lui c’era un bambino di circa sette anni. Magro, vestito di stracci, con gli occhi gonfi di pianto. Tra le braccia stringeva un fagotto — una bambina minuscola, avvolta in una coperta sbiadita. La piccola piagnucolava piano, e suo fratello la stringeva a sé come se da quell’abbraccio dipendesse tutto.
— Dov’è vostra madre? — chiese Carlo, accovacciandosi accanto a lui.
— Ha detto che sarebbe tornata presto… ma sono già passati due giorni — sussurrò il bambino. — Io l’aspetto qui…
Il bambino si chiamava Luca, la bambina — Sofia. E non avevano nessun altro. Nessun biglietto, nessun indirizzo, solo un’attesa infinita e la fame. Carlo propose di chiamare la polizia, di avvisare i servizi sociali, di comprare del cibo. Ma alla parola “polizia”, Luca trasalì.
— Per favore, non ci portate via… Prenderanno Sofia…
In quel momento, Carlo capì che non poteva andarsene. Qualcosa dentro di lui, indurito dal dolore, si incrinò.
Andarono in una piccola trattoria lì vicino. Luca mangiò di fretta, come se avesse paura che gli portassero via il cibo. Carlo nutrì la piccola Sofia con il latte che aveva comprato. Per la prima volta dopo tanto tempo, sentiva di essere necessario. Non come imprenditore. Come uomo.
— Annulla tutti gli appuntamenti — disse brevemente al telefono alla sua assistente.
La polizia arrivò in fretta. Tutto sembrava procedere come al solito: domande, protocolli. Ma quando Luca gli afferrò la mano con forza e sussurrò: «Non ci lascerete, vero?», Carlo rispose senza pensarci:
— No. Te lo prometto.
L’affido temporaneo venne concesso. Lo aiutò un’amica di vecchia data, Margherita Rossi, un’assistente sociale. Il suo intervento accelerò le cose. Carlo si ripeteva: «Solo per un po’, finché non trovano la madre».
Portò i bambini nel suo grande appartamento. Luca taceva, stringendo Sofia tra le braccia. Nei loro occhi c’era paura — non di lui, ma della vita. Quella casa, prima così silenziosa, sembrò improvvisamente ancora più vuota. Eppure ora c’erano respiri, movimenti, pianti infantili, la voce dolce di Luca che canticchiava una ninna nanna alla sorellina.
Carlo sbagliava a cambiare i pannolini, dimenticava le poppate, non sapeva come tenere il biberon. Ma Luca lo aiutava. Era lì, serio e maturo per la sua età. Faceva tutto in silenzio, senza lamenti. Una volta soltanto disse:
— Voglio solo che lei non abbia paura.
Una notte Sofia piangeva. Luca la prese in braccio e cominciò a canticchiare. La bambina si calmò. Carlo la osservò con un nodo alla gola.
— Sei bravissimo — gli disse.
— Ho imparato — rispose il bambino, senza lamentarsi, semplicemente constatando.
Poi squillò il telefono. Era Margherita Rossi.
— Abbiamo trovato la madre. È viva, ma è in riabilitazione. Dipendenze, condizioni gravi. Se completa il trattamento, potrebbe riavere la custodia. Altrimenti, sarà lo Stato a occuparsene. Oppure… tu.
Carlo rimase in silenzio.
— Puoi chiedere l’affido. O l’adozione. Dipende da te.
Quella sera Luca disegnava in un angolo. Non giocava, non guardava cartoni — disegnava. Poi, a un tratto, chiese piano:
— Ci porteranno via di nuovo?
Carlo si accucciò accanto a lui.
— Non lo so… Ma farò in modo che siate al sicuro.
— E se lo fanno davvero? — nella voce del bambino tremava qualcosa di fragile, indifeso.
Carlo lo abbracciò.
— Non vi lascerò. Promesso. Mai.
Il giorno dopo chiamò Margherita Rossi:
— Voglio chiedere l’affido. Per sempre.
Iniziarono i controlli, i colloqui, le visite. Ma ora lui aveva un obiettivo: proteggere quei bambini. Comprou na casa in campagna — con un giardino, silenzio, un luogo sicuro. Luca riprese vita. Correva sull’erba, leggeva ad alta voce, disegnava, preparava biscotti. Carlo imparò di nuovo a ridere.
E una sera, mentre lo copriva con la coperta, sentì:
— Buonanotte, papà…
— Buonanotte, figlio mio — rispose, con la gola stretta dalle lacrime.
In primavera l’adozione divenne ufficiale. Sul documento c’era una firma. Ma nel cuore di Carlo tutto era già chiaro, anche senza.
La prima parola di Sofia — «Papà» — divenne per lui il suono più prezioso della vita.
Non aveva mai pensato di diventare padre. Ma ora non riusciva a immaginarsi senza di loro. E se qualcuno gli avesse chiesto quando fosse iniziata la sua nuova vita, avrebbe risposto senza esitazione:
— Da quel «Zio, per favore…».