Non vi lascerò mai: un estraneo diventa padre per amore

“Non vi lascerò mai. Te lo prometto”: come uno sconosciuto è diventato padre per amore

— Zio… per favore, prenditi cura di mia sorella. Ha tanta fame…

Quella vocina, quasi soffocata dal rumore della città, colse Niccolò Lazzari di sorpresa. Camminava veloce, quasi di corsa, con la mente piena di cifre e contratti. Quel giorno era decisivo: milioni di euro, accordi, investitori. Dopo la morte di Elena, sua moglie, il suo mondo, il lavoro era l’unica cosa che lo teneva a galla.

Ma quella voce…

Si fermò e si voltò.

Davanti a lui c’era un bambino di circa sette anni. Magrolino, vestito di strappi, con gli occhi lucidi. Tra le braccia stringeva un fagotto: una bimba piccolissima, avvolta in una coperta sbiadita. La piccola piagnucolava, mentre suo fratello la teneva stretta, come se da quell’abbraccio dipendesse tutto.

— Dov’è vostra mamma? — chiese Niccolò, accucciandosi accanto a lui.

— Ha detto che sarebbe tornata presto… ma sono già passati due giorni — sussurrò il bambino. — Io l’aspetto qui…

Il bambino si chiamava Matteo, la bambina Viola. Non avevano nessun altro. Niente biglietti, niente indirizzi, solo fame e attesa. Niccolò propose di chiamare la polizia, i servizi sociali, di comprare del cibo. Ma alla parola “polizia”, Matteo sussultò.

— Per favore, non ci portate via… a Viola la prendono…

In quel momento, Niccolò capì che non poteva andarsene. Qualcosa dentro di lui, pietrificato dal dolore, si spezzò.

Andarono in una caffetteria lì vicino. Matteo mangiava di fretta, come se temesse che qualcuno gli rubasse il pane. Niccolò dava il biberon alla piccola. Era la prima volta, dopo tanto tempo, che si sentiva necessario. Non come imprenditore. Come persona.

— Cancella tutti gli appuntamenti — disse all’assistente al telefono.

Arrivarono i carabinieri in fretta. Domande, moduli, procedure. Ma quando Matteo gli strinse la mano e sussurrò: «Lei non ci manderà via, vero?», Niccolò rispose senza pensarci:

— No. Te lo prometto.

L’affidamento fu temporaneo. Lo aiutò una vecchia conoscenza, Margherita Romano, assistente sociale. Grazie a lei, tutto andò più veloce. Niccolò si ripeteva: «È solo per un po’, finché non trovano la madre».

Portò i bambini nel suo grande appartamento. Matteo taceva, stringendo solo Viola più forte. Nei loro occhi c’era paura—non di lui, ma della vita. La casa, silenziosa, sembrava ancora più vuota di prima. Ma ora c’erano respiri, movimenti, il pianto di una bambina, la voce dolce di Matteo che cantava una ninna nanna.

Niccolò sbagliava i pannolini, dimenticava le poppate, non sapeva come tenere il biberon. Ma Matteo lo aiutava. Era lì, serio, troppo maturo per la sua età. Non si lamentava mai. Una volta disse solo:

— Non voglio che abbia paura.

Una notte, Viola piangeva. Matteo la prese in braccio e cominciò a canticchiare. La piccola si calmò. Niccolò la osservò con un’emozione che gli stringeva la gola.

— Sei bravissimo — disse.

— Ho dovuto imparare — rispose Matteo, senza lamentarsi.

Poi squillò il telefono. Era Margherita Romano.

— Abbiamo trovato la madre. È viva, ma in riabilitazione. Dipendenze, una situazione difficile. Se si riprenderà, potrà riaverli. Altrimenti… sarà lo Stato a occuparsene. Oppure… tu.

Niccolò tacque.

— Puoi chiedere l’affidamento permanente. O l’adozione. Dipende da te.

Quella sera, Matteo disegnava in un angolo. Non giocava, non guardava cartoni—disegnava. Poi, a un tratto, chiese:

— Ci porteranno via di nuovo?

Niccolò si accucciò accanto a lui.

— Non lo so… Ma farò di tutto perché stiate al sicuro.

— E se invece ci portano via davvero? — nella voce di Matteo tremava qualcosa di fragile.

Niccolò lo abbracciò.

— Non vi lascerò mai. Te lo prometto. Mai.

Il giorno dopo, chiamò Margherita Romano:

— Voglio l’affidamento. Definitivo.

Iniziarono visite, controlli, colloqui. Ma ora aveva un obiettivo: tenere quei bambini con sé. Compra una casa in campagna—con un giardino, silenzio, spazio per loro. Matteo rifiorì. Correva sull’erba, leggeva ad alta voce, disegnava, cucinava biscotti. Niccolò imparò di nuovo a ridere.

Una sera, mentre lo copriva con la coperta, sentì:

— Buonanotte, papà…

— Buonanotte, figlio mio — rispose, con un nodo alla gola.

In primavera l’adozione diventò ufficiale. C’era una firma sul documento. Ma nel cuore di Niccolò, era già tutto chiaro da tempo.

La prima parola di Viola, “Papà”, fu il suono più bello del mondo.

Non aveva mai pensato di diventare padre. Ma ora non poteva immaginare la vita senza di loro. E se qualcuno gli avesse chiesto quando fosse rinato, avrebbe risposto senza esitare:

— Da quel “Zio, per favore…”

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