Giulia rincasò a tarda sera. Le luci di Roma scintillavano già dietro le finestre. Si fermò sulla soglia, una borsa in mano, e annunciò con una fermezza inaspettata:
Chiedo il divorzio. Puoi tenerti lappartamento, ma mi restituirai la mia parte. Non mi serve più. Me ne vado.
Luca, suo marito, si lasciò cadere sulla poltrona, sbalordito.
Dove vai? chiese, strizzando gli occhi per la confusione.
Non è più affare tuo, rispose lei con calma, tirando fuori una valigia dallarmadio. Starò un po dalla mia amica in campagna. Poi si vedrà.
Lui non capiva cosa stesse succedendo. Ma lei, ormai, aveva già deciso tutto.
Tre giorni prima, il medico, esaminando i suoi risultati, le aveva detto con tono gentile:
Nel suo caso, la prognosi non è favorevole. Otto mesi, al massimo Con le cure, forse un anno.
Era uscita dallo studio come in una nebbia. La città brulicava di vita, il sole splendeva. Nella sua mente, una frase continuava a ripetersi: «Otto mesi neanche il mio compleanno»
Su una panchina di Villa Borghese, un anziano si sedette accanto a lei. Rimase in silenzio un momento, godendosi il sole autunnale, poi le parlò senza preamboli:
Voglio che il mio ultimo giorno sia soleggiato. Non aspetto più molto, ma un raggio di sole è un regno. Non crede?
Lo crederei se sapessi che fosse il mio ultimo anno, sussurrò lei.
Allora non rimandare più nulla. Ho avuto così tanti “dopodomani” che avrebbero riempito unaltra vita. Ma non è andata così.
Giulia ascoltò e capì: tutta la sua vita era stata per gli altri. Un lavoro che odiava, ma che teneva per la stabilità. Un marito diventato un estraneo da dieci anni tradimenti, freddezza, indifferenza. Una figlia che chiamava solo per chiedere soldi o favori. E per sé stessa, nulla. Niente scarpe, niente vacanze, neanche un caffè in piazza, da sola.
Aveva messo tutto da parte per “domani”. E ora quel “domani” rischiava di non arrivare mai. Qualcosa dentro di lei si ruppe. Tornò a casa e, per la prima volta, disse “no” a tutto, in un colpo solo.
Il giorno dopo, Giulia chiese una pausa dal lavoro, ritirò i suoi risparmi e partì. Suo marito cercava di capire, sua figlia chiamava per protestare lei rispose a tutti con calma e fermezza: «No.»
Nella casa di campagna dellamica, tutto era tranquillo. Avvolta in una coperta, rifletteva: era davvero così che sarebbe finita? Non aveva vissuto. Era sopravvissuta. Per gli altri. E ora, sarebbe stato per sé.
Una settimana dopo, Giulia volò verso la Costa Smeralda. Lì, in un caffè sul mare, incontrò Matteo. Scrittore. Intelligente, dolce. Parlarono di libri, di persone, del senso della vita. Per la prima volta da anni, rise di gusto, senza preoccuparsi del giudizio altrui.
E se vivessimo qui? propose lui un giorno. Posso scrivere ovunque. E tu, sarai la mia musa. Ti amo, Giulia.
Lei annuì. Perché no? Le restava così poco tempo. Almeno che ci fosse un po di felicità fosse pure fugace.
Passarono due mesi. Si sentiva meravigliosamente bene. Rideva, passeggiava, preparava il caffè al mattino, inventava storie per i vicini del bar. Sua figlia protestò allinizio, poi lasciò perdere. Suo marito le versò la sua parte. Tutto si calmò.
Una mattina, il telefono squillò.
Giulia Mancini? una voce preoccupata chiese. Mi perdoni, cè stato un errore quelle analisi non erano le sue. Sta bene. È solo stanchezza.
Rimase in silenzio un attimo, poi scoppiò a ridere forte, davvero.
Grazie, dottore. Mi ha appena ridato la vita.
Guardò Matteo che dormiva e andò in cucina a preparare il caffè. Perché non aveva più davanti otto mesi ma tutta una vita.