Mio figlio, Matteo, si è sposato dieci anni fa. Lui, sua moglie Giulia e la loro bambina vivono ammassati in un piccolo bilocale a Catania. Sette anni fa, Matteo ha comprato un terreno e ha iniziato a costruire la casa dei suoi sogni. Il primo anno, i lavori sono rimasti fermi. L’anno dopo hanno messo la recinzione e gettato le fondamenta. Poi, ancora silenzio: i soldi non bastavano. Ma mio figlio non ha mai perso la speranza, risparmiando centesimo dopo centesimo.
In tutti questi anni sono riusciti a costruire solo il piano terra. Il loro sogno, però, è una grande casa su due livelli, con spazio per tutti, me compresa. Matteo è sempre stato un uomo di famiglia, voleva che vivessimo insieme. Il piano terra è stato possibile solo perché Giulia lo ha convinto a scambiare il loro trilocale con uno più piccolo, investendo la differenza nella costruzione. Ma ora anche loro stanno stretti.
Quando vengono a trovarmi, si parla solo del cantiere. Parlano entusiasti della carta da parati, dell’impianto elettrico, dell’isolamento delle pareti. Nessuno mi chiede come sto, come vanno le mie cose. Io non mi lamento, ascolto i loro progetti, ma dentro di me cresce l’ansia.
Da tempo sospettavo che Matteo e Giulia volessero vendere il mio bilocale per finire la casa. Una volta mio figlio ha accennato: «Vivremo tutti insieme, mamma, sotto lo stesso tetto!». Non ho resistito e gli ho chiesto chiaro: «Quindi devo vendere casa mia?».
Si sono illuminati, hanno annuito, descrivendo quanto sarebbe stato bello vivere tutti insieme. Ma ho guardato Giulia e ho capito che con lei sotto lo stesso tetto non ci voglio stare. Non le piaccio, e sono stanca di fingere di non accorgermene. I suoi sguardi freddi, i commenti taglienti… parlano da soli.
D’altra parte, mi dispiace per Matteo. Si impegna tanto, ma a questo ritmo la costruzione durerà altri dieci anni. Vorrei aiutarlo a sistemarsi, dare a sua figlia una casa spaziosa. Ma poi mi sono chiesta: «E io dove vivo?». Non posso certo trasferirmi nel loro microscopico appartamento o in una casa senza comfort.
Giulia, naturalmente, ha avuto subito una risposta: «Mamma, starai benissimo nella nostra casetta al mare!». Sì, abbiamo un piccolo rustico vicino a Sampieri. Ma è una costruzione vecchia, senza riscaldamento, adatta solo al weekend d’estate. D’estate è bello: fiori, aria fresca, ci si può fermare un paio di giorni. Ma d’inverno? E io che già ho problemi di salute?
«In campagna la gente vive così!», ha detto Giulia con una risatina. Sì, ma nei paesini hanno il riscaldamento, l’acqua corrente, i servizi. La nostra casetta è poco più di un garage. Ma i soldi servono, e sento che mi stanno spingendo a fare un sacrificio.
Ultimamente passo più tempo con il mio vicino, Claudio. È solo come me. Beviamo il caffè, chiacchieriamo, a volte gli porto dei biscotti fatti in casa. E l’altro giorno ho sentito per caso Giulia al telefono con sua madre. Diceva che potevano «trasferirmi da Claudio» e vendere il mio bilocale.
Sono rimasta sconvolta. Cosa devo aspettarmi da lei? Sapevo già che nella loro «casa grande» non ci sarebbe stato posto per me. Ma pianificare di cacciarmi così senza pudore? Il cuore mi si stringe. Penso a Matteo: forse potrei davvero aiutarlo? È pur sempre il mio ragazzo, voglio che riesca. Ma la paura non mi lascia: sarà possibile che alla mia età mi ritrovi senza un tetto, senza un angolo tutto mio, abbandonata come una senza tetto?