**Diario personale**
Sabato mattina, e il caos è già iniziato. “Luca, puoi occuparti di Matteo?” ho gridato verso la camera da letto, sistemandomi la sciarpa allo specchio. “Tornerò entro sera, verso le sei. Non dimenticare di dargli da mangiare a pranzo. Nel frigo cè tutto pronto, basta solo riscaldarlo.”
La giornata si è rivelata più pesante del previsto: unemergenza al lavoro e il capo mi ha chiesto di andare. Nessun altro poteva gestirlo. Ho accettato senza pensarci due volte. Il lavoro non mi dà solo lo stipendio, ma anche un senso di valore.
Matteo, cinque anni, era immerso nei suoi giochi con le macchinine. Lo sentivo mormorare, imitando il rumore dei motori. Una normale mattina di weekend. Avevo già controllato la borsa e trovato le chiavi quando Luca è uscito dalla stanza.
“No,” ha detto con tono indifferente.
Mi sono bloccata, la mano ancora sulla maniglia. Mi sono girata, guardandolo senza capire.
“Cosa?”
“Non mi occupo io del bambino oggi,” ha ripetuto, passandomi accanto per prendere la giacca. “Ho altri piani.”
Lho fissato, incredula. Sei anni di matrimonio, e maimai una voltasi era rifiutato di stare con nostro figlio. Luca era sempre stato un padre presente, almeno così credevo. Lui intanto ha infilato le scarpe e si è diretto alla porta.
“Luca, non capisco. Cosa sta succedendo?” Gli ho sbarrato la strada, ma mi ha superato come se fossi un ostacolo qualunque.
“Non succede niente,” ha borbottato, uscendo senza voltarsi.
La porta si è chiusa davanti a me. Sono rimasta immobile nel corridoio, stringendo la tracolla della borsa. Un nodo mi serrava lo stomaco. Dovevo essere in ufficio tra unora. Unora! Ho afferrato il telefono, le dita tremanti mentre componevo il numero di mia madre.
“Mamma, scusa, ho bisogno di te. È urgente. Puoi venire a stare con Matteo?”
Per fortuna, non ha fatto domande. Ho calcolato il tempo e ho capito che sarebbe arrivata troppo tardi. Allora sono corsa dalla vicina, la signora Elisabetta, una donna anziana che abita di fronte e ci aiuta sempre.
“Signora Elisa, mi salvi, per favore. Può tenere Matteo mezzora, finché non arriva mia madre? Cè unemergenza al lavoro, e Luca Luca è uscito.”
Ha scrollato la testa, ma ha accettato. Tornata a casa, ho spiegato a Matteo che sarebbe rimasto con la signora Elisa per un po e sono scappata. Per tutta la strada verso lufficio, mi sentivo come in un incubo. Cosera successo? Perché Luca si era comportato così? Ci avevamo litigato e non me ne ero accorta? Ho ripensato agli ultimi giorni, ma niente. La sera prima avevamo cenato tranquilli, guardato un film e discusso dei piani per la settimana.
Al lavoro, non riuscivo a concentrarmi. Facevo tutto meccanicamente, mentre la mente tornava a quellincidente mattutino.
Ho provato a scrivergli più volte.
“Dove sei?”
“Cosa cè che non va?”
“Perché hai fatto così?”
Nessuna risposta. Il telefono era muto. Controllavo lo schermo ogni cinque minuti, ma niente.
A sera, ho ringraziato mia madre e lho salutata.
“Grazie, mamma. Non so cosa avrei fatto senza di te.”
Mi ha accarezzato i capelli, come quando ero piccola.
“Tutto bene, tesoro. Ma dimmi, dovè Luca?”
“Non lo so. È uscito stamattina e non è ancora tornato.”
Lho accompagnata alla porta. Il silenzio in casa era opprimente. Sono entrata nella stanza di Matteo, guardandolo dormire. Respirava piano, abbracciato al suo orsacchiotto. Così piccolo, così indifeso. Gli ho accarezzato i capelli, baciato la fronte e sono uscita in punta di piedi.
Luca è riapparso due ore dopo. Avevo già fatto la doccia, indossato il pigiama e bevuto una camomilla. Al rumore della chiave nella serratura, ho trattenuto il fiato. È entrato tranquillo come se niente fosse. Ha appeso la giacca, si è tolto le scarpe ed è sparito in camera.
Lho seguito, fermandomi sulla soglia. Dentro di me ribolliva. Lui fissava il telefono, ignorandomi. Gli sono andata davanti.
“Che diavolo è successo oggi?”
Mi ha guardato con uno sguardo vuoto, come quello di un estraneo. Non di mio marito. Non del padre di Matteo.
“Non ce la faccio più a fingere,” ha detto.
Il sangue mi ha martellato le tempie. Mi sono seduta lentamente sul bordo della poltrona, senza staccargli gli occhi di dosso.
“Fingere cosa?”
“Questa famiglia. Questo matrimonio. Tu. Matteo.”
Lho scrutato, cercando un segno che stesse scherzando. Ma era serio. Freddo. Distante.
“Cosa vuoi dire?” ho chiesto, stringendo i braccioli.
“Esattamente quello che ho detto.” Ha alzato le spalle. “Non volevo sposarti, Giulia. È stata mia madre a costringermi. Diceva che eri una brava ragazza, gentile, la moglie perfetta. Che dovevo essere grato. Ho resistito sei anni. Ma ora basta. Questo matrimonio mi soffoca.”
Non credevo alle mie orecchie. Le lacrime mi bruciavano gli occhi, ma non le avrei lasciate scendere. Non davanti a lui.
“Allora perché hai aspettato così tanto? Se eri così infelice, perché non te ne sei andato prima?”
Una smorfia di fastidio gli ha attraversato il viso.
“Per te. Il bambino è cresciuto. Ora puoi gestirlo da sola. Se me ne fossi andato prima, sarebbe stato più difficile. Così ho aspettato.”
Ho riso. Una risata amara, isterica. Lo guardavo come se non lo avessi mai visto prima.
“Che generosità,” ho detto, asciugandomi una lacrima con sarcasmo. “Quanto sei magnanimo.”
“Dovresti ringraziarmi!” ha esploso, alzando la voce. “Non ti ho mai tradita. Sono stato un marito fedele. Hai idea di quanto sia stato difficile?”
“Ringraziarti? Per cosa? Per non avermi tradito? Non sono stata io a trascinarti allaltare, Luca! Non sono stata io a chiederti di sposarmi. Sei stato tu a inginocchiarti. Tu a mettermi lanello al dito. Tu a dirmi che mi amavi. O anche quello è colpa di tua madre?”
È balzato in piedi, gridando:
“Mi ha pressato! Non capisci! Diceva che stavo perdendo loccasione. Che ragazze come te se le prendono subito. Che me ne sarei pentito.”
“E ti sei pentito?” gli ho chiesto, avvicinandomi. “Ti sei pentito di aver sposato me? La brava, gentile, perfetta ragazza?”
“Mi sono pentito di questo matrimonio!” Ha indicato la stanza di Matteo. “Volevo altro. Sognavo altro. E invece ho avuto te, le tue pretese e un figlio neanche voluto.”
“Matteo non era voluto?” La mia voce si è gelata. “Stai dicendo che nostro figlio è un errore?”
“Non è quello che intendevo,” ha tentato di rimediare, ma non gli ho dato scampo.
“Invece sì. Credi che la tua vita sia rovinata per colpa nostra. Mia e di Matteo. Allora dimmi la verità: perché sei rimasto? Per






