Era una mattina di sabato, fresca e luminosa, quando Lucia si preparava per uscire. “Marco, puoi badare a Matteo?” chiamò verso la stanza del marito, aggiustandosi la sciarpa davanti allo specchio. “Tornerò per le sei. Ricordati di dargli il pranzo, tutto è già pronto in frigo, basta riscaldarlo.”
La giornata prometteva di essere pesanteun’emergenza al lavoro, e il capo aveva chiesto proprio a lei. Nessun altro avrebbe potuto sistemare le cose. Lucia accettò senza esitare. Il lavoro le dava non solo i soldi, ma anche un senso di importanza.
Matteo, di cinque anni, giocava tranquillo nella sua cameretta con le macchinine. Lucia lo sentiva canticchiare, imitando il rombo dei motori. Una normale mattina di riposo. Stava già controllando la borsa, trovando le chiavi, quando Marco apparve sulla soglia.
“No,” disse lui, con tono distaccato.
Lucia si bloccò, la mano ancora sulla maniglia. Si voltò, guardandolo perplessa.
“Che cosa?”
“Non mi occupo io del bambino oggi,” ripeté Marco, passandole accanto per prendere il cappotto. “Ho altri impegni.”
Lucia lo fissò, incredula. Sei anni di matrimonio, e maimai una voltaMarco si era rifiutato di stare con Matteo. Era sempre stato un padre presente, o almeno così pareva. Rimase immobile, cercando di capire, mentre lui infilava la giacca, le scarpe, e si dirigeva verso luscita.
“Marco, non capisco. Cosa succede?” fece un passo verso di lui, ma lui la evitò, come se fosse un oggetto in mezzo alla strada.
“Non succede niente,” buttò lì Marco, uscendo senza voltarsi.
La porta si chiuse davanti a Lucia. Rimase in piedi nel corridoio, stringendo la tracolla della borsa. Dentro di lei, tutto si era stretto in un nodo duro. Doveva essere al lavoro tra unora. Unora sola! Afferrò il telefono, le dita tremanti mentre componeva il numero della madre.
“Mamma, scusa, ho bisogno del tuo aiuto. Subito. Puoi venire a stare con Matteo?”
Per fortuna, la madre non fece domande.
Lucia calcolò freneticamente il tempo: sarebbe arrivata troppo tardi. Corse dalla vicina, la signora Elena, unanziana donna del piano di sopra che aiutava sempre nelle emergenze. Bussò alla porta, lo sguardo supplichevole.
“Signora Elena, per favore, può stare con Matteo solo mezzora, finché arriva mia madre? Cè un problema al lavoro, e Marco Marco è uscito.”
La signora Elena scosse la testa, ma accettò. Lucia tornò di corsa in casa, spiegò al figlio che sarebbe stato con la vicina per poco, e corse via. Per tutta la strada verso lufficio, le rimase addosso un senso di irrealtà. Cosera successo? Perché Marco si era comportato così? Avevano litigato senza che se ne accorgesse? Rivangò gli ultimi giorni, ma nulla le venne in mente. La sera prima avevano cenato tranquilli, guardato un film. Parlato persino dei piani per la settimana.
Al lavoro, non riuscì a concentrarsi. Faceva tutto in automatico, mentre la mente tornava allincidente di quella mattina.
Provò a scrivere a Marco più volte.
“Dove sei?”
“Cosa è successo?”
“Perché hai fatto così?”
Ma i messaggi rimasero senza risposta. Il telefono muto. Controllava lo schermo ogni cinque minuti, ma nessuna notifica arrivò.
Quella sera, lasciò andare la madre il prima possibile.
“Grazie mille, mamma. Non so cosa avrei fatto senza di te.”
La madre le accarezzò i capelli, come quando era piccola.
“Non è niente, tesoro. Ma dimmi, cosa è successo? Dovè Marco?”
“Non lo so. È uscito stamattina e non è ancora tornato.”
Lucia la accompagnò alla porta. Nella casa, il silenzio pesava sulle orecchie. Andò nella stanza di Matteo, osservò il figlio che dormiva. Il bambino russava leggermente, abbracciato al suo orsacchiotto. Così piccolo, indifeso. Gli accarezzò i capelli, lo baciò sulla fronte, e uscì in punta di piedi.
Marco riapparve solo due ore dopo. Lucia si era già fatta la doccia, cambiata, bevuto una tisana calmante. Sentì girare la chiave nella serratura e si irrigidì. Lui entrò con la stessa calma con cui era uscito. Si tolse la giacca, le scarpe, andò in salotto.
Lucia lo osservò dalla porta. Dentro di lei ribolliva tutto. Marco fissava lo schermo del telefono, ignorandola. Lei si mise davanti a lui.
“Che cosa è stato tutto questo?”
Marco alzò lo sguardo, freddo, come quello di un estraneo. Non di un marito. Non del padre di Matteo.
“Mi sono stancato di fingere,” disse.
Lucia si gelò. Il sangue le pulsò alle tempie. Si sedette lentamente sul bordo della poltrona, senza staccargli gli occhi di dosso.
“Di cosa ti sei stancato?”
“Di questa famiglia. Del matrimonio. Di te. Di nostro figlio.”
Lucia lo scrutò, cercando un segno di scherzo. Ma Marco era serio. Il volto glaciale, distante.
“Cosa vuoi dire?” chiese, stringendo i braccioli.
“Esattamente quello che ho detto,” scrollò le spalle Marco. “Non volevo sposarti, Lucia. È stata mia madre a costringermi. Diceva che eri buona, dolce, la sposa perfetta. Che donne come te sono rare. Che sarei stato felice. Ho resistito sei anni. Ma ora basta. Questo matrimonio mi soffoca. Mi trascina giù.”
Lucia lo guardò senza crederci. Le lacrime le bruciavano gli occhi, ma non le permise di scendere. Non ora. Non davanti a lui.
“Allora perché hai resistito così a lungo? Se stavi così male, perché non te ne sei andato prima?”
Sul volto di Marco passò unombra di fastidio.
“Per te. Il bambino è cresciuto. Ora puoi cavartela da sola. Se fossi scappato prima, sarebbe stato più difficile per te. Ho aspettato.”
Lucia rise. Una risata amara, isterica. Lo guardò come se fosse un estraneo.
“Grazie per questo regalo,” disse con sarcasmo, asciugandosi le lacrime. “Che generosità.”
“Dovresti ringraziarmi!” sbottò Marco, alzando la voce. “Non ti ho mai tradita. Sono stato un marito fedele. Hai idea di quanto sia stato difficile?”
“Ringraziarti? Per cosa? Per non avermi tradito? Non sono stata io a trascinarti allaltare, Marco! Non sono stata io a chiederti di sposarmi. Sei stato tu a inginocchiarti, tu a mettermi lanello al dito, tu a dirmi che mi amavi. O anche quello è colpa di tua madre?”
Marco balzò in piedi. Urlò:
“Mi ha pressato! Non capisci! Diceva che stavo perdendo loccasione. Che donne come te se le prendono subito. Che mi sarei pentito.”
“E ti sei pentito?” chiese Lucia, avvicinandosi. “Ti sei pentito di aver sposato me? La brava, dolce ragazza perfetta?”
“Mi sono pentito di questo matrimonio!” gesticolò verso la stanza dove dormiva Matteo. “Volevo altro. Sognavo altro. E invece ho avuto te, le tue pretese, e un figlio che neanche volevo.”
“Matteo non era voluto?” ripeté Lucia, la voce gelida. “Stai dicendo che nostro figlio è un errore?”
“Non è quello che intendevo,” cercò di rim






