Nonna: viene, gioca con il bambino, se ne va. Io: cucino, pulisco, intrattengo.
Sono al limite. Ogni fine settimana si trasforma in una maratona infinita dove devo essere la padrona di casa perfetta, la madre ideale e l’interlocutrice impeccabile. Tutto per colpa delle visite di mia suocera, che si definisce la “nonna affettuosa”. Arriva, gioca con il nipotino, e io devo cucinare, pulire e sorridere come se non avessi altro a cui pensare. Questa storia non è solo mia, ma è così vicina a tante che scatena tempeste di emozioni. La gente discute, si scontra, e io capisco una cosa: non tutti vogliono questo tipo di “aiuto” nel weekend.
Nostro figlio ha solo una nonna: la madre di mio marito, Luisa Maurizi. È la classica nonna di un paesino vicino a Verona. Un tempo attrice in un teatro locale, adora essere al centro dell’attenzione. Non fa che ripetere quanto ami nostro figlio, quanto le manchi e quanto sia pronta ad aiutare. Ma il suo “aiuto” si riduce a visite che sembrano più uno spettacolo teatrale.
Luisa è andata in pensione prima del tempo e ora non sa cosa fare. Vive da sola, le giornate le sembrano infinite, e la nostra casa è diventata il suo passatempo contro la noia. No, non viene per badare al nipotino o per darmi un po’ di respiro. Viene “in visita”. E come posso dire di no all’unica nonna, vero? Non fa niente di male. Ha tutto il diritto di vedere il nipote. Ogni volta gli porta un giocattolo, lo tiene in braccio, magari fa un giretto con il passeggino per una mezz’oretta nel cortile — e questo è tutto il suo “aiuto”. I vicini ne sono entusiasti: “Che nonna meravigliosa, viene sempre a trovare il nipotino!” Ma nessuno vede cosa succede a porte chiuse.
Io non voglio questo tipo di “visite” e di “aiuto”, anche se è gratuito. Mia suocera arriva ogni weekend, quando mio marito, Marco, è a casa. A lei piace quando la famiglia è riunita, così può brillare. A volte porta anche mio suocero, Antonio, ma lui raramente accetta — ha la sua vita, i suoi hobby, e dorme persino in una stanza separata dalla moglie.
Ora immaginate: sono una giovane mamma, nostro figlio non ha neanche un anno. È capriccioso, gli stanno spuntando i dentini, ha il mal di pancia, io non dormo la notte. Ma devo “approfittare” dell’aiuto della nonna perché sta già arrivando. Significa: pulire, cucinare, apparecchiare e chiacchiere infinite. Ho provato a chiedere a Marco di aiutare con le pulizie, ma brontola: “Ho lavorato tutta la settimana, lasciami riposare!” E così corro tra la cucina, il bambino e la suocera, seduta nella sua poltrona preferita a fare le smorfie con il nipotino.
Luisa arriva, gioca con il bambino, beve il caffè e io mi faccio in quattro. Preparo il pranzo, sparecchio, pulisco dietro al piccolo che ha versato il succo o si è sporcato di pappa. Devo essere cordiale, intrattenere, sorridere mentre lei racconta storie del teatro. E poi, quando si stanca, si alza e se ne va. A volte sono tre ore, altre solo mezz’ora. Se ne va con la sensazione di aver fatto il suo dovere, io invece crollo dalla stanchezza davanti a una pila di piatti e giochi sparsi ovunque.
Capisco le nonne che si prendono i nipoti per il weekend. Quello è un aiuto vero. Ma io? Io ho uno spettacolo dove sono cuoca, donna delle pulizie e intrattenitrice. Ho provato a parlarne con mio marito, ma lui alza le spalle: “Be’, è mia mamma, non possiamo non farla entrare!” Mi dicono di non cucinare, di non pulire, ma come si fa quando è già sulla soglia di casa? Mi sento egoista, come se fossi ingrata e pigra. Ma chiedo davvero troppo? Vorrei solo poter respirare in casa mia.
Questa storia è un grido disperato. Non so come trovare un equilibrio, come spiegare che questo “aiuto” mi sfianca. Forse pretendo troppo? Ma ogni volta che la vedo andarsene lasciando il caos dietro di sé, sogno un weekend in cui posso essere solo una mamma, non una serva. Grazie per avermi ascoltato.