«Nonna, dovrebbe andare in un altro reparto», ridacchiano i giovani colleghi vedendo la nuova collega. Non sanno che ho comprato la loro azienda.
«A chi appartieni?», chiede il ragazzo alla reception, senza distogliere lo sguardo dallo smartphone.
Il suo taglio di capelli alla moda e la felpa di marca gridano con voce alta la sua importanza e il suo totale disinteresse per il mondo esterno.
Ginevra Andreoli aggiusta la sua borsa semplice ma di buona fattura sulla spalla. Si è vestita intenzionalmente per non attirare l’attenzione: una blusa sobria, una gonna che arriva al ginocchio, scarpe comode con suola piatta.
Il vecchio amministratore, l’affaticato e bianco capelluto Giorgio, con cui ho gestito la compravendita, sorride quando ascolta il mio piano.
«Trojan horse, Ginevra», commenta con ammirazione. «Ingonorano l’amo, non notano l’esca. Non scopriranno mai chi sei davvero, finché non sarà troppo tardi».
«Sono la nuova risorsa, vengo al reparto documentazione», risponde a voce bassa, evitando deliberatamente qualsiasi tono autoritario.
Il ragazzo finalmente alza gli occhi verso di lei, la scruta dalla testa ai piedi: dalle scarpe consumate ai capelli bianchi pettinati con cura, e nei suoi occhi lampeggia un ghigno spregiudicato.
«Ah sì, mi hanno detto che arriva qualcuno di nuovo. Hai preso il badge dalla sicurezza?»
«Sì, ecco», risponde, colpendo l’accesso rotante come se indicasse la strada a un insetto smarrito.
«Da qualche parte nella parte posteriore c’è la sua postazione. Si orienterà».
Ginevra annuisce. «Mi orienterò», ripete tra sé, entrando nell’open‑space ronzante come un’alveare.
Quarant’anni ha già navigato nei labirinti della vita. Dopo la morte improvvisa del marito, ha salvato un’impresa quasi fallita, gestendo investimenti complessi che hanno moltiplicato il suo patrimonio. Ora, a sessantacinque anni, ha scoperto come non impazzire nella solitudine di una casa vuota.
Questa azienda IT, fiorente ma interiormente marcita – almeno così la sente – è la sfida più intrigante degli ultimi tempi.
La sua scrivania si trova nell’angolo più remoto, accanto alla porta dell’archivio. È vecchia, con il tavolino graffi, e la sedia cigola – è come un’isola di un tempo passato in mezzo all’oceano scintillante della tecnologia.
«Stai già prendendo confidenza?», sussurra una voce dolciastro alle sue spalle. È Olga, capo del marketing, in completo di pantalone crema perfettamente stirato, avvolta da un profumo costoso e dall’aria del successo.
«Sto provando», risponde Ginevra con un sorriso gentile.
«Dovrai rivedere i contratti dell’anno scorso relativi al progetto “Altair”. Sono nell’archivio».
«Non credo sia difficile», aggiunge Olga, con un tono di superiorità discendente, come se stesse affidando un compito semplice a qualcuno con capacità limitate.
Olga la guarda come se fosse un fossile strano e desolato. Quando se ne va con passo militare, Ginevra sente un fruscio di risatine dietro di sé.
«Al reparto risorse umane hanno messo dei farmaci, presto assumeranno persino i dinosauri».
Finge di non aver sentito, ma deve comunque girarsi.
Si dirige verso il reparto sviluppo e si ferma davanti a una sala riunioni con pareti di vetro, dove alcuni giovani discutono animatamente.
«Signora, sta cercando qualcosa?», le chiede un ragazzo alto uscendo dalla sua scrivania.
È Stefano, capo sviluppatore, la stella futura dell’azienda – almeno così recita la sua descrizione, probabilmente autogestita.
«Sì, sto cercando l’archivio».
Stefano sorride, poi torna verso i colleghi, che osservano la scena come se fosse uno spettacolo di circo gratuito.
«Nonna, credo sia nel reparto archivio, lì vicino», indica vagamente verso la scrivania di Ginevra.
«Qui facciamo lavoro serio, qualcosa su cui nemmeno lei oserebbe sognare».
Il gruppo dietro di loro ride sommessamente. Ginevra sente un freddo, calmo ardore crescere dentro di sé.
Guarda i volti compiacenti, il costoso orologio al polso di Stefano. Tutto è stato comprato con i suoi soldi.
«Grazie», risponde con tono uniforme. «Ora so esattamente dove devo andare».
L’archivio è una piccola stanza senza finestre, opprimente. Ginevra entra e il fascicolo “Altair” appare subito.
Con metodo esamina i documenti: contratti, allegati, certificati di esecuzione. Su carta tutto sembra perfetto. Ma i suoi occhi esperti scorgono subito alcune anomalie.
Nelle pratiche del subappaltatore “Sistemi Cibernetici”, gli importi sono arrotondati a migliaia di euro – potrebbe essere negligenza, ma può anche celare una contabilità fraudolenta.
Le descrizioni dei lavori sono vaghe: “servizi di consulenza”, “supporto analitico”, “ottimizzazione dei processi”. Tecniche classiche di riciclaggio di denaro, note fin dagli anni ’90.
Qualche ora dopo la porta cigola. Una giovane donna dagli occhi spaventati entra.
«Buongiorno, sono Lena, dal reparto contabilità. Olga mi ha detto che è qui… Senza accesso elettronico deve essere difficile, posso aiutarla».
Lena parla senza alcun accenno di condiscendenza.
«Grazie, Lena cara, sarebbe molto gentile da parte tua».
«Non è nulla, è solo che… loro non capiscono sempre che non tutti nascono con il tablet in mano», commenta, arrossendo.
Mentre Lena spiega l’interfaccia del programma, Ginevra pensa che anche nella palude più malsana si trovi una sorgente pura.
Appena Lena esce, Stefano riappare nella porta.
«Ho bisogno urgentemente di una copia del contratto “Sistemi Cibernetici”».
Parla come se stesse impartendo un ordine a un servo.
«Buongiorno», risponde Ginevra con calma. «Sto proprio rivedendo quei documenti, mi conceda un minuto».
«Un minuto? Non ho tempo. Tra cinque minuti ho una chiamata. Perché non è ancora digitalizzato? Che cosa fate qui dentro?».
L’arroganza è il suo punto debole. È convinta che nessuno – e soprattutto una vecchia signora – possa verificare il suo operato.
«Oggi è il mio primo il mio primo giorno di lavoro», dice con voce ferma. «E sto cercando di sistemare ciò che gli altri non hanno fatto».
«Non mi interessa!», interrompe, avvicinandosi al tavolo, strappando via la cartella senza alcuna cortesia. «Voi, vecchi, avete sempre solo problemi!».
Poi sbatte la porta alle sue spalle. Ginevra non perde tempo, ha già visto tutto ciò che le serve.
Prende il cellulare e chiama il suo avvocato privato.
«Buongiorno, avvocato Rossini, può indagare su un’azienda chiamata “Sistemi Cibernetici”? Ho la sensazione che ci siano interessi proprietari molto particolari».
La mattina seguente il telefono squilla.
«Ginevra Andreoli, ha ragione. “Sistemi Cibernetici” è una società fantasma. È intestata a un certo Pietro Rossi, cugino del capo sviluppatore Stefano. Classico trucco».
«Grazie, avvocato. Era proprio quello che cercavo».
Il culmine si verifica dopo il pranzo, quando tutti i dipendenti si radunano per la riunione settimanale. Olga brilla parlando dei successi.
«Oh, ho dimenticato di stampare il report di conversione. Ginevra, per favore, porta dall’archivio il fascicolo del quarto trimestre. E questa volta non perderti».
Un leggero riso si diffonde nella stanza. Ginevra si alza in silenzio, attraversa la stanza già percorsa.
Torna pochi minuti dopo, accompagnata da Stefano, sussurrando qualcosa a Olga.
«E ora arriva il nostro salvatore!», annuncia Stefano a voce alta. «Potrebbe essere più rapido. Il tempo è denaro, soprattutto il nostro denaro».
Quella parola – “nostro” – è l’ultima goccia nel bicchiere.
Ginevra si raddrizza, la postura curva sparisce. Il suo sguardo diventa di acciaio.
«Ha ragione, Stefano. Il tempo è davvero denaro. Specialmente quello che è stato guadagnato attraverso “Sistemi Cibernetici”. Non crede che questo progetto le sia stato più profitte, personalmente, che all’azienda?».
Il volto di Stefano si incrina, il sorriso svanisce.
«Io… non capisco di cosa parla».
«Davvero? Allora forse può spiegare a tutti noi quale legame di parentela ha con quel certo Pietro Rossi».
Il silenzio cala nella sala. Olga tenta di salvare la faccia.
«Scusi, ma con che diritto questo… collega interferisce nei nostri affari finanziari?».
Ginevra non lo guarda più. Cammina intorno al tavolo e si ferma al capo della stanza.
«Il mio diritto è il più diretto. Mi presento: Ginevra Andreoli, nuova proprietaria dell’azienda».
Se una bomba fosse esplosa, sarebbe stato meno scioccante.
«Stefano», prosegue con voce glaciale, «è licenziato. I miei avvocati lo contatteranno, così come suo fratello. Consiglio di non lasciare la città».
Stefano si sprofonda in una sedia, silenzioso.
«Anche lei, Olga, è licenziata per inadeguatezza professionale e per averna l’ambiente di lavoro».
Il volto di Olga si incendia. «Come osa!».
«Lo faccio», replica Ginevra, «ha un’ora per fare le valigie. La sicurezza la scorterà fuori».
Questo vale per chiunque pensi che l’età sia una scusa per essere derisi. Il giovane addetto alla reception e alcuni sviluppatori possono andare via.
Nella stanza si diffonde il terrore.
«Nei prossimi giorni inizia un audit completo dell’azienda».
Il suo sguardo si posa su Lena, impaurita in un angolo della stanza.
«Lena, per favore, avvicinati».
Lena, tremante, si avvicina al tavolo.
«In due giorni è stata l’unica a dimostrare professionalità e umanità».
Sto creando un nuovo dipartimento di controlli interni e vorrei che lei ne facesse parte. Domani discuteremo del suo ruolo e della formazione.
Lena apre la bocca, ma nessuna parola esce.
«Andrà tutto bene», dice fermamente Ginevra. «Ora tutti tornate al lavoro, tranne i licenziati. La giornata di lavoro riprende».
Si volta e esce, lasciando dietro di sé un mondo crollato, costruito su vapore e arroganza.
Non sente alcuna trionfo. Solo un freddo, silenzioso senso di soddisfazione – quello che si prova dopo un lavoro ben fatto.
Per costruire una casa su fondamenta solide, prima bisogna spazzare via la muffa. E lei sta appena iniziando la grande pulizia.