Nonna mette alla prova i nostri nervi: simulazione di malattia o grido d’aiuto?
Mi chiamo Francesca. Ho 37 anni, sono sposata, ho una mamma di 56 anni e una nonna, nonna Rosa, che ne ha 85. Viviamo in un paesino della campagna toscana, dove le colline sembrano infinite e le strade sterrate si perdono tra gli uliveti, specialmente quando le percorri di notte sotto la pioggia battente.
Nonna Rosa, nonostante l’età, insiste a vivere da sola in una vecchia casa di pietra ai margini del paese. Si rifiuta categoricamente di trasferirsi da mia mamma, anche se lei le ha offerto più volte conforto e compagnia. Nonna sostiene che la sua casa è il suo castello e che nessuno la convincerà ad abbandonare quelle mura piene di ricordi. Ma ultimamente la sua solitudine sembra diventata insostenibile, e ha trovato un modo per tenerci sempre in apprensione.
Nonna ha iniziato a chiamarci quasi ogni giorno, lamentandosi con voce tremante che sta “malissimo”. Si mette a gemere, dice che “il cuore le fa male” o che “le gambe non la reggono più”. Io e mamma, lasciando tutto, corriamo da lei con il cuore in gola. Eppure, quando arriviamo, la scena è sempre la stessa: nonna, come per magia, è già in piedi. Sta facendo le pulizie, ci offre un caffè con i suoi biscotti fatti in casa e cerca persino di scherzare. E noi restiamo lì, confuse, con il cuore che batte all’impazzata, senza sapere se ridere o piangere.
Io e mamma siamo stremate da questo gioco. Ogni chiamata è come una scossa elettrica, ma non possiamo permetterci di ignorarla. E se questa volta fosse davvero grave? E se non andassimo e accadesse l’irreparabile? Questo dubbio ci divora, non ci dà tregua. Temiamo che, se non rispondessimo al suo richiamo, non ci perdoneremmo mai se le succedesse qualcosa.
Tutto è iniziato un anno fa. Ricordo quando io e mamma siamo arrivate da nonna alle quattro del mattino, sotto un temporale, senza neanche vestirci bene. Io ero in pigiama, mamma aveva solo un cappotto sopra la camicia da notte. Pensavamo di trovarla in fin di vita, invece ci ha accolto con un sorriso e ha detto che le era “solo salita la pressione”. Mezz’ora dopo stava già tirando fuori la sua famosa crostata e ci invitava a tavola. Eravamo sconvolte, ma allora abbiamo pensato a un caso isolato.
Abbiamo provato a capire cosa non andasse. La convincevamo a farsi visitare in ospedale, ma lei scrollava le spalle, dicendo che “quei dottori vogliono solo soldi”. Allora le abbiamo portato un medico a casa. L’ha visitata, le ha misurato la pressione, ascoltato il cuore e ha concluso che, per la sua età, sta benissimo. “Ha bisogno di più compagnia,” ci ha detto, guardandoci. “Visitatela più spesso, e le chiamate cesseranno.” Ma come si sbagliava!
Noi cerchiamo già di starle vicino. Abito a un’ora di macchina da lei, mamma un po’ più vicina, ma dopo il lavoro, tra il traffico e la stanchezza, è impossibile andarci ogni giorno. Nel weekend ci alterniamo: io le porto la spesa e stiamo a chiacchierare, mamma va a pulirle casa. Alle feste siamo sempre insieme, con regali e fiori per farla felice. Ma sembra non bastarle. Vuole di più: la nostra attenzione, i nostri nervi, il nostro tempo.
Mamma le ha proposto più volte di trasferirsi da lei. Le offrirebbe la stanza migliore, la coccolerebbe, ma nonna è irremovibile. “Non voglio esservi di peso,” dice, e poi ci chiama nel cuore della notte con le sue lamentele. “Meglio morire nella mia casa.” Queste parole ci feriscono, ma cosa possiamo fare?
Le abbiamo chiesto decine di volte di non chiamarci se non sta davvero male. Le abbiamo spiegato che ogni chiamata è stress, paura, ore di sonno perse. Ma sembra non ascoltare. O non vuole. Le sue chiamate continuano, e ogni volta io e mamma siamo nella stessa trappola: andare o no? Ignorarla o crederle? Abbiamo paura di sbagliare, di non capire quando avrà davvero bisogno.
A volte penso che nonna sia semplicemente sola. Le manca il calore, le chiacchiere, le risate. Forse queste chiamate sono il suo modo disperato di tenerci vicine. Ma perché ha scelto un metodo così crudele? Perché ci costringe a vivere nella paura? Non so come uscirne. Amiamo nonna, ma questo gioco ci prosciuga. Eppure, finché chiamerà, noi andremo. Perché se non andassimo e le succedesse qualcosa, il peso della colpa ci schiaccerebbe per sempre.
La vita ci insegna che l’amore a volte è anche pazienza, anche quando il cuore trema e la mente si stanca.