Nonna, sono io, tua nipote!

“È tua mamma, preparati.”

Si dice che ogni bambino in orfanotrofio aspetti con ansia queste parole. Ma Beatrice trasalì come se avesse preso uno schiaffo.

“Dai, preparati, cosa aspetti?”

Elena Vittoria la fissava senza capire perché la ragazzina non fosse felice. Dopotutto, la vita in orfanotrofio non è proprio una passeggiata. Molti scappavano per strada pur di andarsene. Eppure, qui stavano riportando Beatrice a casa sua, e lei non sembrava affatto contenta.

“Non voglio,” disse voltandosi verso la finestra. La sua amica Giulia la guardò di sottecchi ma non disse nulla. Anche per lei quella reazione era incomprensibile. Giulia avrebbe dato qualsiasi cosa per tornare a casa, ma nessuno la voleva.

“Bea, ma che ti prende?” chiese Elena Vittoria. “Là cè tua mamma che ti aspetta.”

“Non voglio vederla. E non voglio tornare da lei.”

Le altre ragazze ascoltavano la conversazione con interesse, ed Elena Vittoria capì che era meglio continuare in privato.

“Vieni con me.”

La portò in un ufficio e la osservò con compassione.

“Tua madre ha commesso molti errori, è vero. Ma sta cercando di cambiare. Altrimenti non le avrebbero permesso di riprenderti.”

“Pensa che sia la prima volta?” Beatrice sbuffò e scosse la testa. “È già la seconda volta che finisco in orfanotrofio. La prima volta, mia mamma ha fatto finta di essere cambiata: ha nascosto le bottiglie, pulito casa, comprato del cibo, trovato un lavoro. Quando sono venuti a controllare, sembrava tutto perfetto. Poi mi hanno riportata indietro, e lei è ricaduta. Mi vuole solo per gli assegni familiari.”

“Bea, io non posso farci nulla. E poi, a casa sarà comunque meglio”

“Meglio?! Sa cosa vuol dire patire la fame? O andare a scuola con scarpe rotte mentre fuori ci sono meno cinque gradi? O nascondersi in camera pregando che gli amici ubriachi di mia mamma non entrino? Perché non le tolgono la patria potestà, una volta per tutte?!”

Le lacrime le rigavano il viso. Sì, lorfanotrofio non era il massimo, ma almeno lì era al sicuro, sapeva che avrebbe mangiato e avuto vestiti decenti. A casa, invece, era tutto diverso.

“Non posso aiutarti,” sospirò leducatrice.

Le dispiaceva davvero per Beatrice. Era una ragazza sveglia, intelligentecosa rara in un orfanotrofio. Forse anche sua madre, prima di affogare nellalcol, era una persona interessante. E dopo sette anni di lavoro, era la prima volta che Elena Vittoria incontrava un bambino che non volesse tornare a casa.

“Posso vivere da sola?” chiese Beatrice. “Potrei lavorare, affittarmi una stanza.”

“Solo quando sarai maggiorenne,” rispose Elena Vittoria scuotendo la testa.

“Ho quasi sedici anni! Sono già adulta!”

Leducatrice sapeva che Beatrice era più matura della sua età, ma non poteva fare nulla.

“Purtroppo, devi essere sotto la tutela di un adulto. Cè qualcun altro che potrebbe prendersi cura di te?” chiese. “E magari avviare le pratiche per togliere la patria potestà a tua madre.”

“Non ho nessuno Finché cera nonna, andava ancora bene, ma ora è insopportabile.”

“E tuo padre?”

“Ubriacone Morto.”

Lo disse con una calma spaventosa, come se fosse la cosa più normale del mondo. E per lei, lo era.

“Non aveva parenti?”

Beatrice ci pensò su.

“Cera sua madre, ma non la conosco. Non parlava con suo figlio. E la capisco,” aggiunse con una risatina amara. “Neanchio ci parlerei.”

Elena Vittoria sospirò.

“Ascolta, prova a vivere ancora con tua madre, e io cercherò di rintracciare tua nonna. Daccordo?”

Beatrice annuì. Che altro poteva fare?

Naturalmente, la madre inscenò uno spettacolo. Si gettò su di lei piangendo, chiedendo perdono, abbracciandola.

Ma Beatrice non reagì. Sapeva che, una volta a casa, sarebbe tornata la solita vita.

E così fu. Il primo giorno, la madre resistette. Il secondo, tornò dal supermercato con una bottiglia.

Tutto tornò come prima. La madre beveva, perse il lavoro, e Beatrice ricadde nellinferno.

Quando, due mesi dopo, un ubriaco entrò nella sua stanza di notte e lei riuscì a malapena a cacciarlo, ne ebbe abbastanza.

Fortunatamente, Elena Vittoria le aveva lasciato il suo numero. Beatrice la chiamò.

“Ho trovato tua nonna,” disse leducatrice. “Proverò a parlarle. Se accetta e ha i requisiti, potrebbe ottenere la tutela.”

Beatrice insistette per andare con lei. Non conosceva sua nonna, ma sperava che non lavrebbe cacciata. Le bastavano due anni, poi sarebbe stata libera.

Ad aprirle la porta era una donna sulla sessantina, elegante e austera.

“Cosa volete?” chiese.

“Antonietta Marchesi?” chiese Elena Vittoria.

“Sì, sono io.”

“Sono tua nipote,” intervenne Beatrice. Tanto valeva andare dritti al punto.

“Cosa?”

“Sono la figlia di tuo figlio.”

“Capisco. E in che posso esservi utile?” Antonietta rimaneva impassibile.

“Possiamo parlare?” intervenne Elena Vittoria, prima che Beatrice potesse dire altro.

“Va bene. Ma non a lungo. Devo prepararmi per il lavoro.”

Antonietta servì loro del tè. Ogni tanto osservava Beatrice come se fosse un alieno, ma non le rivolgeva la parola.

Nel frattempo, Elena Vittoria spiegò la situazione.

“Vede, sua nipote verrà probabilmente riportata in orfanotrofio. Ma lei potrebbe ottenere la tutela.”

“E perché dovrei farlo?”

“Be è sua nipote.”

“Non la conosco. E, francamente, non ho alcun desiderio di farlo. Mio figlio mi ha già fatto passare abbastanza guai. Vorrei dimenticare tutto ciò che lo riguarda.”

“Capisco, ma Beatrice vive in condizioni terribili, potrebbe”

“Antonietta,” la interruppe Beatrice, “non mi conosce, io non conosco lei. E, onestamente, non ho nemmeno voglia di farlo. Anchio vorrei dimenticare i miei genitori. Ma la legge non me lo permette. Però posso assicurarle che non le chiedo nulla. Solo due anni, finché non sarò maggiorenne. Sto finendo la terza media, poi cercherò un lavoro. Certo, vorrei continuare a studiare, ma prima devo sistemarmi. Mi comprerò tutto da sola, anche il cibo. I soldi che riceverà per la tutela saranno suoi. Non voglio niente. Se avessi altri parenti, non sarei qui.”

Elena Vittoria le lanciò unocchiata di rimprovero. Ma Antonietta, a quanto pareva, era colpita.

“Dicono che i figli degli alcolisti siano ritardati, ma questo non è il tuo caso. Quindi, vivresti con me due anni e poi te ne andresti?”

“Lo prometto.”

“Va bene. Accetto. Ma ci sono delle regole: non chiamarmi nonna, non toccare le mie cose, non portare amici a casa. Chiaro?”

“Chiaro.”

Elena Vittoria fece il necessario, e la madre di Beatrice fu denunciata per la revoca della patria potestà. Antonietta, compilati i documenti, divenne la sua tutrice.

Nonostante la sua aria spavalda, Beatrice aveva paura. Mancavano due mesi alla fine della

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