Nell’ufficio del notaio, l’aria era pesante e odorava di vecchie carte. Anna sedeva su una scomoda sedia, con i palmi delle mani umidi per la tensione. Accanto a lei cera sua sorella maggiore, Elena, vestita con un costoso tailleur e una manicure perfetta. Sembrava fosse venuta lì non per lapertura del testamento, ma per un importante incontro di lavoro.
Elena scorreva distrattamente lo schermo del telefono, lanciando di tanto in tanto sguardi indifferenti al notaio, come se non vedesse lora di andarsene. Anna, invece, torceva nervosamente il laccio della sua borsa logora. A trentaquattro anni, si sentiva ancora la sorellina timida e insicura accanto a Elena, sicura di sé e di successo. Lavorare nella biblioteca locale non le dava grandi guadagni, ma ad Anna piaceva il suo lavoro e lo viveva con passione.
Per gli altri, però, quellimpiego era poco più che un hobby, specie per Elena, che ricopriva una posizione importante in unazienda e guadagnava in un mese quello che Anna metteva insieme in un anno. Il notaio, un uomo anziano con gli occhiali, schiarì la voce e aprì una cartella piena di documenti. Lufficio divenne ancora più silenzioso. Da qualche parte sul muro, un vecchio orologio ticchettava, marcando latmosfera tesa.
Il tempo sembrò rallentare. Ad Anna tornarono in mente le parole del nonno: *”Le cose più importanti della vita accadono nel silenzio.”*
Il testamento di Antonio Rossi cominciò il notaio con voce monotona, che risuonò nel piccolo studio.
Lascio lappartamento di due stanze in via Roma, numero 27, interno 43, con tutti i mobili e gli oggetti domestici, a mia nipote Elena Vittoria Rossi.
Elena non alzò nemmeno lo sguardo dal telefono, come se già sapesse che avrebbe ricevuto il bene più prezioso. Il suo viso rimase impassibile. Anna sentì un dolore familiare al petto. Era successo di nuovo. Ancora una volta, era arrivata seconda.
Elena era sempre stata la prima, aveva sempre ricevuto il meglio. A scuola aveva voti altissimi, poi si era iscritta a ununiversità prestigiosa, aveva sposato un ricco imprenditore. Aveva un appartamento elegante, una macchina costosa, vestiti alla moda. E Anna? Era sempre rimasta nellombra della sorella maggiore.
Inoltre, la casa nel borgo di Monteluce, con tutte le sue pertinenze e un terreno di milleduecento metri quadrati, lascio a mia nipote Anna Vittoria Rossi continuò il notaio, sfogliando unaltra pagina.
Anna trasalì. Una casa in campagna? Quella stessa, quasi cadente, dove il nonno aveva vissuto da solo negli ultimi anni? La ricordava appena, laveva vista solo poche volte da bambina. Allora le pareva già sul punto di crollare: la vernice scrostata sulle pareti, il tetto che perdeva, il cortile invaso dalle erbacce.
Elena finalmente distolse lo sguardo dal telefono e lanciò alla sorella un sorrisetto:
Beh, almeno hai avuto qualcosa. Anche se, sinceramente, non so cosa te ne farai di quella baracca. Magari la demolirai e venderai il terreno.
Anna rimase in silenzio. Le parole le si bloccarono in gola. Perché il nonno aveva deciso così? Forse anche lui la considerava una fallita, indegna di una casa dignitosa? Avrebbe voluto piangere, ma si trattennenon lì, non davanti a Elena e a quel notaio severo che la guardava con appena un velo di compassione.
Il notaio continuò a leggere le formalità, elencando i dettagli del testamento. Anna ascoltò distrattamente, senza cogliere appieno ciò che stava accadendo. Il nonno era sempre stato un uomo giusto. Perché allora aveva diviso leredità in modo così ingiusto?
Una volta terminate le formalità, il notaio consegnò a ciascuna delle sorelle i documenti necessari e le chiavi. Elena firmò in fretta, infilò le chiavi nella sua borsa firmata e si alzò.
Devo andare, devo incontrare dei clienti disse senza neanche guardare Anna. Ci sentiamo. Non prendertela troppo, almeno hai avuto qualcosa.
E se ne andò, lasciando dietro di sé una scia di profumo francese.
Anna rimase a lungo nello studio, stringendo le chiavi della casa in campagna. Erano pesanti, di ferro, arrugginite ai bordi, vecchio stile, con i denti lunghi. Niente a che vedere con le eleganti chiavi che aveva ricevuto Elena. Fuori laspettava suo marito, Marco, in piedi accanto alla sua auto malconcia, che fumava e guardava lorologio con impazienza.
Non appena Anna uscì, lui gettò la sigaretta a terra e la schiacciò con il piede.
Allora, coshai avuto? chiese senza nemmeno salutarla. Spero almeno qualcosa di decente?
Anna gli raccontò lentamente il contenuto del testamento. A ogni parola, il viso di Marco si faceva più scuro. Quando ebbe finito, lui rimase in silenzio, poi allimprovviso sbatté un pugno sul cofano della macchina.
Una casa in campagna?! Ma sei seria? Hai rovinato tutto di nuovo! Tua sorella ha un appartamento in centro che vale almeno trecentomila euro, e tu hai una catapecchia!
Anna sussultò per la sua brutalità. Una volta Marco non alzava mai la voce, ma ultimamente era diventato sempre più irritabile, soprattutto quando si parlava di soldi.
Non ho scelto io cercò di difendersi, con la voce tremante. È stata la decisione del nonno.
Ma avresti potuto influenzarlo! Fargli capire che meriti di più! Parlare, spiegare la situazione!
No tu sei sempre stata troppo remissiva.
Sempre in disparte, incapace di lottare per qualcosa. Non riesci nemmeno a ottenere uneredità decente.
Le sue parole la ferirono come coltelli. Anna sentì gli occhi riempirsi di lacrime. Sette anni di matrimonio, e lui le parlava come se fossero estranei.
Marco, per favore, non urlare. La gente ci guarda.
Possiamo pensare a qualcosa con quella casa? suggerì piano, guardandosi intorno.
Pensa a che cosa? A una rovina in mezzo al nulla? Nessuno ti darà neanche centomila euro.
Marco salì in macchina, sbatté la portiera, avviò il motore e rimase in silenzio per tutto il viaggio, borbottando ogni tanto qualcosa. Anna guardò fuori dal finestrino e pensò al nonno. Antonio era stato un uomo buono, taciturno. Aveva lavorato come meccanico, poi come macchinista ferroviario, e dopo la pensione si era trasferito a Monteluce. Diceva che la città era soffocante, mentre in campagna laria era pulita e finalmente si poteva vivere per sé.
Anna ricordava di averlo visitato da bambina destate. Il nonno le aveva insegnato a distinguere i funghi commestibili da quelli velenosi, le aveva mostrato dove crescevano le fragole e i lamponi, le aveva parlato degli uccelli e degli animali. Non aveva mai alzato la voce, non laveva mai forzata a fare qualcosa che non le piaceva. Era semplicemente lìgentile, calmo. Grazie a lui, Anna si era sentita importante.
Il nonno spesso le ripeteva:
Sei speciale, nipotina. Non come gli altri. Hai unanima sensibile, vedi la bellezza dove gli altri non la notano. È un dono raro.
Allora Anna non aveva capito. Ora quelle parole le sembravano quasi una beffa crudele






