Dopo il matrimonio di mio figlio, cercavo di andare a casa loro il più possibile. Non mi presentavo mai a mani vuote: preparavo sempre qualcosa di buono, portavo dolcetti, sfornavo focacce. Mia nuora elogiava i miei piatti, assaggiava tutto con piacere per prima. Mi sembrava che tra noi ci fosse un rapporto affettuoso e sincero. Ero felice di poter essere utile, di esserci per loro. Soprattutto, mi riempiva di gioia sentirmi parte della loro famiglia, non come un’estranea, ma come una persona cara.
Ma un giorno tutto cambiò. Andai a trovarli e trovai solo mia nuora. Bevemmo un caffè insieme, come sempre. Ma avvertii subito qualcosa di strano nel suo sguardo, come se volesse dirmi qualcosa ma non osasse. E quando finalmente parlò, le parole mi colpirono al cuore.
«Sarebbe meglio se venissi meno spesso… Magari se Paolo venisse a trovarti da solo», disse, abbassando gli occhi.
Non me l’aspettavo. Nella sua voce c’era freddezza, e nei suoi occhi… fastidio? Non lo so. Da quel giorno, smisi di andare da loro. Sparii dalla loro vita quotidiana, per non intralciare, per non disturbare. Mio figlio iniziò a farci visita da solo. Mia nuora non si fece più vedere da noi, neppure una volta.
Tacqui. Non mi lamentai con nessuno. Dentro di me, però, il rancore mi stringeva il cuore. Non capivo: che colpa avevo? Io volevo solo aiutare… Per tutta la vita ho cercato di mantenere l’armonia in famiglia. E ora la mia presenza era diventata un peso per qualcuno. Faceva male rendersi conto di non essere più benvenuta.
Passò il tempo. Nacque il loro bambino, il nostro tanto atteso nipotino. Io e mio marito eravamo al settimo cielo dalla gioia. Ma anche questa volta cercammo di non imporci: andavamo solo su invito, portavamo il piccolo a fare due passi per non intralciare. Facevamo di tutto per non essere di troppo.
Poi, un giorno, squillò il telefono. Era mia nuora. Con una voce flebile, quasi formale, mi disse:
«Potreste venire a casa nostra a badare al bambino oggi? Devo uscire per un’urgenza».
Non chiese: diede per scontato. Come se avessimo bisogno noi più di lei. Come se avessimo supplicato per quell’occasione. Eppure, non molto tempo prima, mi aveva chiesto di non presentarmi più…
Rimasi a lungo in dubbio sul da farsi. L’orgoglio mi spingeva a dire di no. Ma la ragione mi sussurrava: è un’opportunità. Non per lei, ma per mio nipote. Per Paolo. Per la pace in famiglia. Tuttavia, risposi diversamente:
«Meglio se ci porti il bambino qui. Avevi chiesto che non venissimo senza motivo. Non voglio invadere il vostro spazio».
Mia nuora tacque. Ma dopo qualche secondo accettò. Portò il piccolo da noi. E per me e mio marito fu come una festa. Giocavamo, ridevamo, passeggiavamo: la giornata volò in un attimo. Che gioia essere nonni! Eppure, dentro di me restava un fondo di amarezza. Non sapevo più come comportarmi.
Dovevo mantenere la stessa distanza? Aspettare che fosse lei a fare il primo passo? O essere più saggia e lasciar andare il risentimento? Per mio nipote ero disposta a tanto. A perdonare, a sorvolare sulle parole dolorose. A provare ancora a riavvicinarmi.
Ma avevo ancora un posto nella loro vita? Lei mi voleva ancora?
Non so se capirà mai quanto sia facile distruggere ciò che si è costruito negli anni. E quanto sia difficile, poi, ricomporre ogni pezzo…