**Diario di un marito**
Era un pomeriggio come tanti, la luce del sole filtrava attraverso le tende di pizzo mentre Giulia strofinava i residui di sugo bruciato sulla stufa. Mia madre, la signora Anna, aveva cucinato e, come al solito, aveva lasciato tutto in disordine. Il latte era straripato, il riso si era attaccato alla pentola, e ora toccava a Giulia ripulire.
“Giulietta!” chiamò mia madre dalla sala. “Hai quasi finito? Mi viene sete, potresti prepararmi un caffè?”
Giulia sospirò, risciacquò la spugna e accese il bollitore. Erano già le nove di sera, lei era appena tornata dal lavoro, e mia madre, che era stata a casa tutto il giorno, non aveva nemmeno la forza di farsi un caffè da sola.
“Arrivo, signora Anna!” rispose, cercando di nascondere l’irritazione nella voce.
Io, intanto, ero seduto in salotto a guardare la partita, senza alzare nemmeno lo sguardo quando mia moglie mi passò accanto con il vassoio. Così ogni giorno. Io tornavo dal lavoro, cenavo e mi piazzavo davanti alla televisione. La casa, mia madre, le faccende… tutto ricadeva su Giulia.
“Hai dimenticato lo zucchero!” borbottò mia madre quando Giulia le porse la tazzina. “E i biscotti? Non c’è neanche un amaretto. Come faccio a bere il caffè senza niente da sgranocchiare?”
“I biscotti sono finiti ieri,” rispose Giulia a bassa voce. “Li comprerò domani.”
“Vedi? Non tieni mai sotto controllo la spesa! Ai miei tempi una brava massaia sapeva sempre cosa c’era in dispensa. Io ho cresciuto Matteo da sola, tenevo la casa in ordine e lavoravo. Voi giovani, invece, pensate solo a fare shopping e a chiacchierare al telefono!”
Giulia non replicò. Ormai sapeva che discutere era inutile. La signora Anna trovava sempre qualcosa da criticare: la minestra troppo salata, la polvere sui mobili, la televisione troppo alta o troppo bassa. A volte, Giulia sospettava che mia madre cercasse apposta pretesti per lamentarsi.
“E la piccola Sofia? Ancora una volta non l’hai presa all’asilo!” continuò mia madre, sorseggiando il caffè. “La maestra ha chiamato, chiedendo dove fosse la mamma. Che figura, ti dico!”
“Le avevo chiesto di andare lei, avevo una riunione fino alle sette,” cercò di spiegare Giulia.
“E io cosa sono, una babysitter? Ho i miei impegni! Una volta le donne lavoravano e crescevano i figli da sole, senza tate e nonne sempre pronte!”
Giulia tornò in cucina e iniziò a lavare i piatti. Le mani le tremavano dalla rabbia. Sofia era rimasta al doposcuola fino alle sette e mezza, piangendo perché tutte le altre bambine erano già andate via. E la signora Anna? Era stata a casa tutto il giorno, a guardare la televisione, ma non aveva avuto tempo per la nipote.
In camera, sul tavolo, c’era una pila di disegni. Sofia ne portava uno nuovo ogni giorno dall’asilo, orgogliosa di mostrarli alla mamma, raccontando come li aveva fatti. Poi chiedeva:
“Mamma, perché la nonna non mi guarda mai? Le faccio vedere il disegno e lei gira la testa.”
Come spiegare a una bambina di sei anni che sua nonna la considerava un fastidio? Da quando ci eravamo trasferiti a casa di mia madre, la signora Anna si lamentava sempre del rumore, di come Sofia toccasse tutto, di come fosse irrequieta.
Eppure, all’inizio era stato diverso. Quando presentai Giulia a mia madre, lei era stata gentile, le aveva chiesto del lavoro, della famiglia. Aveva persino detto:
“Brava ragazza, Matteo. Si vede che è educata. Sposala, è ora.”
Il matrimonio era stato semplice ma allegro. Mia madre aveva aiutato con il pranzo, si era affaccendata, sembrava felice. Giulia pensava che fossimo fortunati, che la suocera sarebbe stata come una seconda madre.
Quando nacque Sofia, mia madre all’inizio era euforica. Una nipotina, bella e intelligente! Aiutava con la bambina, preparava le minestre, stirava i vestitini. Giulia lavorava part-time e riusciva a conciliare casa e figlia.
Ma poi, qualcosa cambiò. Prima furono piccole critiche: il pannolino messo male, la pappa troppo liquida. Poi i rimproveri divennero più seri.
“Ma tu non capisci niente di bambini?” si indignava mia madre. “Matteo alla sua età già mangiava da solo, mentre la tua non riesce nemmeno a tenere il cucchiaio!”
“Ha solo un anno e tre mesi,” rispondeva timidamente Giulia.
“Ecco, appunto! La vizi troppo! Io ho cresciuto Matteo con disciplina, e guarda com’è diventato.”
Io, di solito, non intervenivo in queste discussioni. Tornavo dal lavoro stanco, cenavo e mi accasciavo davanti alla TV. Alle osservazioni di mia madre limitavo ad annuire o a fare un gesto vago.
“Mamma, non essere così severa,” dicevo ogni tanto. “Giulia fa del suo meglio.”
Ma più spesso tacevo. E quando Giulia cercava di parlarmi, di lamentarsi delle continue critiche, io mi stringevo nelle spalle.
“Non farci caso. È il suo carattere, è abituata a controllare tutto. Aspetta, si abituerà.”
Ma mia madre non si abituava. Anzi, con gli anni diventava sempre più esigente e capricciosa. Soprattutto dopo che ci eravamo trasferiti nel suo appartamento. Il nostro monolocale era troppo piccolo per una famiglia, e lei aveva un bilocale in un buon quartiere.
“Venite a vivere qui,” propose. “Perché spendere per un affitto? E poi mi farà compagnia.”
All’inizio sembrava una soluzione perfetta. Sofia ebbe la sua cameretta, non dovevamo pagare l’affitto. Ma Giulia capì presto di essere caduta in una trappola.
“Questa è casa mia,” ripeteva mia madre a ogni occasione. “E qui si fa come dico io. Se non vi piace, potete andarvene.”
Ma andare dove? Non avevamo i soldi per un altro affitto, e comprare casa era un sogno lontano. Quando Giulia parlava di trasferirsi, rispondevo:
“Ma che dici? Perché spendere inutilmente? Mamma ha ragione, qui stiamo bene.”
Bene, sì. Solo io. Continuavo a vivere come prima del matrimonio, con mia madre che cucinava, lavava e puliva. Solo che ora toccava a Giulia.
“Signora Anna, potrebbe andare lei a comprare il pane?” chiese un giorno Giulia. “Sofia ha la febbre, non voglio portarla fuori.”
“E io cosa sono, la serva?” si offese. “Il pane è compito tuo. Io ho già fatto il mio dovere.”
Eppure trovava sempre il tempo per andare a chiacchierare con la vicina, la signora Rosina. Poteva stare da lei per ore, a spettegolare sui vicini. Ma portare la nipotina all’asilo o fare la spesa? No, quello non era affar suo.
Le cose peggiorarono quando Sofia iniziò la scuola. La bambina aveva bisogno di aiuto con i compiti, di attenzioni. E mia madre non faceva che lamentarsi:
“Quella tua figlia sbatte sempre le porte! Mi viene il mal di testa!”
“È una bambina,” la difendeva Giulia.
“Bambina, bambina! Allora perché non è educata? Io insegnavo a Matteo a rispettare i grandi, a stare tranquillo in casa. La tua invece cammina come un elefante!”
Giulia cercava di proteggere Sofia, ma era difficile. La