**La Nuova Suocera, una Nuova Vita – e Niente Più Preoccupazioni**
*— Enrico, ricordati di comprare la torta millefoglie e della frutta per il weekend,* disse Lucia, dando un’occhiata veloce al frigorifero.
*— Ma perché? Festeggiamo qualcosa?* chiese Enrico, mentre giocherellava con la confezione del caffè.
*— Hai dimenticato di nuovo? Sabato arriva mia madre! Con il suo nuovo marito. Ora vivranno qui, nella nostra città!* rispose Lucia con un tono deciso.
*— Cosa vuoi dire con «vivranno qui»? Abbiamo un appartamento con due stanze,* esclamò Enrico, lasciando da parte il caffè.
*— Certo non da noi,* rispose lei, alzando le mani. *Solo che mamma è andata in pensione, si è risposata e ha deciso di trasferirsi vicino a noi. Per vedere il nipote, per aiutare.*
Enrico annuì e promise di comprare tutto, ma dentro di lui cresceva una strana inquietudine. Sua suocera, Elisabetta Romano, gli aveva sempre fatto venire i brividi. Non una donna, ma un monumento—rigida, impeccabile, con un tono da capo. Aveva lavorato per anni nelle ferrovie, tenendo i suoi sottoposti sotto strettissimo controllo. E ogni volta che raccontava come puniva chi sbagliava, Enrico ringraziava il cielo di non essere un suo dipendente.
E adesso sarebbe stata qui, vicina. La sua energia travolgente si sarebbe riversata sulla loro famiglia? Avrebbe interferito con l’educazione di Davide, dando ordini su come fare le cose?
Lucia invece era entusiasta. Con l’aiuto per Davide, i compiti, la scuola—non avrebbe più dovuto correre dal lavoro in preda al panico. *— Mamma si occuperà di tutto,* ripeteva. Ma Enrico sentiva che la loro vita tranquilla era finita.
E così arrivò il sabato. Un suono di campanello risuonò nell’ingresso.
*— Enrico, è arrivata mamma!* gridò Lucia, correndo verso la porta.
La aprì di scatto… e si bloccò. Sulla soglia c’erano due persone. Accanto a un uomo robusto e bonario—una donna minuta, elegante, con un sorriso dolce e una chioma bionda corta. Enrico rimase a bocca aperta. Questa non era l’Elisabetta Romano che conosceva!
Ma allora la donna, con una voce familiare ma insolitamente calda, disse:
*— Figli miei, quanto vi ho mancato! Enrico, Lucia, Davide… salve, miei tesori!*
Enrico scambiò un’occhiata con la moglie. L’uomo intanto gli strinse la mano con vigore:
*— Eccoti, genero! Io sono Vittorio Esposito. Spero che diventeremo amici!* E con un sorriso largo trascinò una pesante borsa verso la cucina.
Elisabetta abbracciò la figlia, poi il nipote, e persino Enrico ebbe la sua dose di affetto. Lui rimase lì, incredulo.
Intanto, in cucina, Vittorio tirava fuori dalla borsa barattoli di conserve, salumi e, come da tradizione, una bottiglia di grappa. Notando lo sguardo di Enrico, rise:
*— Ma certo! Ora siamo famiglia. Vuoi che ti racconto come ho conosciuto la tua Elisabetta?*
Vittorio era caposquadra di un vicino deposito ferroviario. Un giorno arrivò un’ispezione—e tra gli ispettori c’era lei. Severa, inflessibile. Non si fece intimidire, disse la verità. Lei provò a imporre la sua autorità, ma senza successo. E quando lui, con ironia, la chiamò *«donna affascinante»*, lei arrossì per la prima volta dopo anni.
E così iniziò tutto. Poi un appuntamento, caffè, una gita in barca, funghi… e l’amore. Vittorio aveva ridestato in Elisabetta non solo la donna, ma anche la nonna affettuosa. Ora andavano insieme a prendere Davide a scuola, lo portavano in campagna, lei si era appassionata alla pesca e ultimamente cercavano una barchetta su internet.
*— Venite anche voi in campagna, Enrico,* disse un giorno Elisabetta. *— Sempre a lavorare, lavorare… ma quando si vive?*
Quando il suo amico Luca seppe del cambiamento della suocera, sospirò:
*— Che fortuna che hai. La mia suocera ha quasi distrutto il nostro matrimonio, ma la tua… è un tesoro!*
E Enrico era d’accordo. Ora guardava Elisabetta Romano con occhi completamente diversi. Perché a volte, un cuore di ferro aspetta solo qualcuno di abbastanza forte da scioglierlo.