Nutrendo Ospiti Ogni Sera per Quindici Anni — Fino a

Caro diario,

per quindici anni, ogni sera alle diciotto, ho sistemato un piatto fumante sulla stessa panchina verde del Parco Sempione a Milano. Non ho mai chiesto chi lo prendesse, né ho lasciato biglietti; era un gesto silenzioso, nato dal vuoto che mi lasciò la scomparsa di mia moglie. Col tempo è diventato un piccolo rito, conosciuto solo da me e da quei passanti affamati che trovavano conforto nella mia offerta.

Pioggia o sole, caldo estivo o gelo invernale, il pasto era sempre lì: a volte una minestra, a volte un ragù, altre volte un panino avvolto in carta cerata e riposto in una sacchetta di carta marrone. Nessuno mi conosceva per nome; la gente del quartiere mi chiamava semplicemente la Signora della panchina.

Martedì scorso, il cielo era carico di nubi minacciose. A settantatré anni, con il cappotto stretto e le ginocchia che pulsavano, ho attraversato il parco, le mani ancora ferme attorno al piatto ancora caldo. Lho posato con cura, ma prima di voltarmi, i fari di unauto nera di classe hanno strappato loscurità: un SUV si è fermato al margine del marciapiede.

Per la prima volta in tutti questi anni, qualcuno mi ha aspettato. Dal retro del veicolo è scesa una donna in completo blu scuro, con un ombrello nero e una busta sigillata con cera dorata. I tacchi affondavano leggermente nellerba bagnata mentre si avvicinava.

Signor Bianchi? ha chiesto con voce tremante.

Ho battuto le palpebre. Sì mi conosci?

Mi ha regalato un sorriso flebile, ma gli occhi le brillavano di lacrime. Mi hai dato da mangiare quando non avevo nulla. Il mio nome è Ginevra. Quindici anni fa ero una delle ragazze che si rifugiavano accanto ai giochi. Quei pasti ci hanno salvato la vita quellinverno.

Il cuore mi si è stretto. Tu eri una di quelle

Eravamo tre rispose Ginevra. Lidia e Fiorenza. Fuggivamo, ci nascondemmo vicino ai dondoli. Le tue pietanze ci hanno dato speranza.

Mi ha porto la busta tra le mani tremanti. Dentro cerano una lettera e un assegno da 5.000, firmati da Ginevra, Lidia e Fiorenza.

> Gentile Signor Bianchi,
>
> ci ha donato cibo quando eravamo al limite. Oggi vogliamo restituire qualcosa a chi è in difficoltà. Abbiamo creato il Fondo Borse di Studio Carlo Bianchi per i giovani senza tetto. I primi tre beneficiari inizieranno luniversità questo autunno. Abbiamo usato il soprannome Signor Bianchi che avevi scritto sul sacchetto di carta. È ora che tutti sappiano chi sei.
>
> Con affetto,
>
> Ginevra, Lidia e Fiorenza

Le lacrime mi hanno tracciato solchi sul viso mentre leggevo. Voi ragazze lavete fatto?

Sì. Lidia dirige ora un rifugio a Bologna, Fiorenza è assistente sociale a Roma, e io sono avvocato.

Ho riso, mescolando il suono di una risata al chiacchiericcio della pioggia. Avvocato, eh? Mai lo avrei immaginato.

Ci siamo seduti insieme sulla panchina bagnata, senza più ombrelli. Per un attimo, il parco sembrò rinascere: le risate si mescolavano al fruscio della pioggia, i ricordi si levavano in aria.

Quando Ginevra se ne è andata, il SUV è svanito nella foschia grigia, lasciando solo lodore di terra umida. Ho rimasto qualche istante, la mano ancora appoggiata al piatto tiepido, sapendo che quella sera, per la prima volta in quindici anni, non avrei più messo cibo sulla panchina.

Il mattino dopo, però, la panchina non era vuota. Un unico fiore di rosa bianca era poggiato sul bordo, con un biglietto scritto in una calligrafia elegante:

> Grazie per aver seminato gentilezza. È fiorita.

Ho capito, ora più che mai, che un piccolo gesto di cuore può germogliare in grandi cambiamenti. La generosità, anche la più semplice, non muore mai; torna sempre a chi lha donata.

Carlo Bianchi.

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