Ogni notte, il cane ringhiava al loro bambino—ma quando i genitori scoprirono il motivo, tutto cambiò per sempre.

Per tre mesi, tutto sembrò perfetto.
Marco e Francesca Rossi avevano appena accolto il loro primo figlio, il piccolo Luca, nella loro accogliente casa tra le colline toscane. Avevano preparato ogni dettaglio per mesi: dipinto la cameretta di un verde salvia tenue, divorato libri sullessere genitori e persino portato il loro amato pastore tedesco, Leone, a un corso di obbedienza.
Leone, un cane di cinque anni salvato da un rifugio, era sempre stato dolce e protettivo. Non abbaiava mai senza motivo e adorava Francesca, seguendola per casa come unombra pelosa. I Rossi si aspettavano che sarebbe stato il compagno perfetto per il neonato.
E durante il giorno, lo era.
Leone si sdraiava accanto alla culla, vigile ma calmo. Accarezzava il piedino di Luca con il muso e guaiva appena il bambino si agitava. Ma quando calava la notte, qualcosa cambiava.
Iniziarono i ringhi.
Tutto cominciò un martedì notte. Verso le due, un basso e minaccioso ringhio risuonò dal baby monitor. Allinizio, Marco pensò a uninterferenza. Ma guardando meglio lo schermo, vide Leone, rigido accanto alla culla, orecchie basse e denti scopertima non verso il bambino.
Verso il muro.
Langolo più lontano della cameretta.
Marco corse dentro. La stanza era silenziosa, a parte il respiro tranquillo di Luca e il ringhio costante di Leone. “Tutto bene, amico,” sussurrò, tirandolo indietro delicatamente. Il cane smise di ringhiare, ma continuò a fissare lo stesso punto.
Francesca il mattino dopo liquidò tutto come un brutto sogno.
Ma la notte seguente, accadde di nuovo.
E poi ancora.
Alla quinta notte, i ringhi si fecero più intensi. Leone tentò persino di grattare il muro. “Sente qualcosa,” disse Francesca, la voce tesa dallansia. “Gli animali percepiscono cose che noi non possiamo.”
Marco rise nervosamente. “Non starai davvero pensando che sia qualcosa di paranormale?”
Francesca non rispose.
Provarono di tutto: dormire nella cameretta, installare una telecamera, bruciare olio di lavanda. Ma il comportamento di Leone non cambiò. Rimaneva silenzioso fino alle due di nottepoi iniziava a ringhiare, basso e minaccioso, sempre verso lo stesso angolo.
E Luca?
Cominciò a svegliarsi urlando.
Alla settima notte, Marco ne ebbe abbastanza.
“Questo è ridicolo,” borbottò, con una torcia in mano. “Forse cè una corrente daria o un topo nel muro.”
Francesca teneva Luca stretto a sé, cullandolo dolcemente mentre lui piagnucolava.
Marco bussò sul muro dove Leone aveva ringhiato. Sembrava vuoto. Curioso, prese un cacciavite e rimosse la griglia di ventilazione lì vicino. Una folata daria muffosa uscì.
Fu allora che lo vide.
Un piccolo pannello di cartongesso dietro la griglia era stato tagliato e riattaccato. Un lavoro mal fatto, tenuto insieme da stucco scadente. Con qualche tirata, Marco lo rimosse.
Dietro, cera una cavità stretta tra le traviuno spazio antico che non avrebbe dovuto essere accessibile.
Dentro cera una scatoletta.
La tirò fuori con cautela.
“Cosè?” chiese Francesca, stringendo Luca più forte.
Marco si sedette sul pavimento della cameretta e aprì la scatola.
Conteneva lettere ingiallite. Una collana ossidata. Una foto sbiadita di una donna con un bambino in braccio. E sotto tutto questo
Un diario.
Era datato 1982. La prima pagina diceva:
“Non mi crederanno. Ma qualcosa passa attraverso il muro. Ogni notte. Il mio bambino piange, e nessun altro lo vede tranne me. Ma il cane sì. Il cane lo sa sempre.”
Le mani di Marco tremarono.
Sfogliò le pagine. La grafia diventava sempre più confusa, disperata. La donna descriveva unombra che appariva nella cameretta di notte. Una figura scura che si chinava sulla cullaper poi svanire quando venivano accese le luci. Suo marito pensava che avesse allucinazioni. I dottori le dissero che era esausta.
Poi, le annotazioni si interruppero bruscamente.
Lultima riga diceva:
“Se trovate questovegliate sul bambino. Ascoltate il cane.”
Francesca impallidì.
“Non ce lo stiamo immaginando,” sussurrò. “Qualcosa è già successo qui. Proprio in questa stanza.”
E Leone lo sapeva. Da sempre.
Non stava ringhiando contro Luca.
Lo stava proteggendo.
Francesca non dormì quella notte. Né Leone.
Mentre Marco studiava ogni pagina del diario, Francesca cullava Luca in salotto, incapace di tornare nella cameretta. Leone rimase vicino a lei, posizionandosi tra lei e il corridoio, ogni muscolo teso.
“Ho sempre sentito che questa casa era troppo silenziosa,” mormorò. “Ora so perché.”
Marco entrò, stringendo le ultime pagine del diario. “Non era pazza, Fra. Tutto quello che ha descrittocorrisponde a quello che abbiamo visto. Il bambino che si svegliava urlando, il cane che ringhiava al muro, lo stesso angolo della stanza.”
Francesca sbatté le palpebre lentamente. “Che fine hanno fatto?”
“Non ci sono registri. Nessun articolo di giornale. Nessuna denuncia di scomparsa. Chi viveva qui prima è svanito.”
Il giorno dopo, Marco invitò una storica locale, la signora Bianchi, cresciuta in zona. Quando le mostrò il diario e la foto, sussultò.
“Quella è Elena Marini,” disse, gli occhi sgranati. “Viveva qui negli anni 80. Il suo bambinoDavideaveva pochi mesi quando scomparve. Dissero che era scappata. Lasciò tutto indietro.”
“Ma il diario suggerisce altro,” disse Marco.
La signora Bianchi annuì lentamente. “La casa ha cambiato molti proprietari dopo. Alcuni dicevano che fosse infestata. Altri se ne andarono in silenzio.”
Quella notte, non tornarono nella cameretta. Spostarono Luca nella loro stanza, culla e tutto. Leone si accucciò accanto a essa, orecchie dritte, occhi sempre aperti.
Ma alle 2:03, accadde di nuovo.
Leone si alzò di scatto con un ringhio secco.
Francesca si sedette sul letto. “Lo senti?”
Non era solo Leone. Il baby monitor lasciato nella camerettaancora accesoera pieno di un strano fruscio. Poi, un sussurro.
Marco afferrò il monitor, ascoltando attentamente.
Un suono fioco, come legno che scricchiola. Poi qualcosa che si trascinava. Seguito da un lieve tamburellare.
Poi una voce. Così flebile che si stentava a distinguerla.
“Davide”
Francesca sussultò.
Marco lasciò cadere il monitor.
Leone ringhiò più forte, avanzando verso il corridoio, i denti scoperti. Fissava il buio come se qualcosa di invisibile fosse lì.
Poi Luca iniziò a piangere. Forte. Acuto. Terrorizzato.
Marco corse alla culla. La temperatura nella stanza era calata allimprovvisovedeva il proprio respiro.
“Qualcosa è qui,” borbottò. “Dobbiamo farla finita.”
Il giorno dopo, Marco contattò un ispettore edico e una medium localepiù per disperazione che per convinzione.

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