Ombra della Decisione

**Ombra del Calcolo**

Fin dal primo incontro tra Beatrice e sua suocera, Livia De Rossi, un gelo sottile si insinuò tra loro. Era come se un muro invisibile separasse Beatrice dal calore che sperava di trovare nella nuova famiglia. Livia la osservava con distacco, come un’ospite indesiderata entrata nel loro mondo perfetto. Nella sua ampia villa ai margini di Portofino, tutto parlava di ricchezza: pavimenti in marmo, quadri in cornici dorate, lampadari di cristallo. Ma dietro quella sontuosità si nascondeva un vuoto—freddo, calcolato, come il vento di gennaio sul mare.

Beatrice cercava di evitare gli incontri. Suo marito, Matteo, la spingeva a migliorare i rapporti, sostenendo che sua madre era solo “lenta ad abituarsi alle persone”. Ma ogni visita era una prova. I discorsi cadevano sempre sui soldi: quanto costava il restauro della casa, come investire il capitale, chi doveva cosa a chi. Per Livia, tutto nel mondo aveva un prezzo, persino i legami di sangue. Beatrice si sentiva una merce valutata ma non accettata.

Passarono anni. Una sera tardi, squillò il telefono. La voce di Livia, di solito tagliente e sicura, tremava: era gravemente malata. Chiedeva a Beatrice di aiutarla. Beatrice restò immobile, stringendo il telefono. Le tornarono alla mente anni di indifferenza, commenti pungenti, sguardi di superiorità. Andare o no? Il cuore le si spezzava tra rancore e dovere. Alla fine, vinse il dovere. Preparò una borsa e raggiunse la villa affacciata sul mare.

Trovò Livia nella camera da letto. Avvolta in una coperta leggera, il viso scavato, lo sguardo spento. Si lamentava del dolore, della debolezza, della solitudine. Beatrice la osservava, domandandosi se quella fragilità fosse sincera o solo un altro gesto calcolato. Ma ogni dubbio svanì quando la suocera le afferrò la mano, supplicandola di non andarsene. Beatrice chiamò i medici, organizzò il ricovero, passò ore al letto d’ospedale, parlò con le infermiere.

La terapia durò settimane. Livia si riprese lentamente. Una volta dimessa, Beatrice la aiutò a rientrare a casa, pulì, cucinò. Aspettava almeno un grazie, un segno che i suoi sforzi valessero qualcosa. Invece, seduta nella sua poltrona di pelle, Livia le chiese con freddezza:

«Quanto ti devo per tutto questo?»

Beatrice si bloccò, sentendo qualcosa spezzarsi dentro.

«Come può dirlo? L’ho aiutata perché… perché era giusto!» La sua voce tremava di rabbia.

«Non fare la ingenua,» sorrise Livia, ma il sorriso era vuoto come le sue parole. «Io pago sempre per i servizi. È il mio modo di ringraziare. I soldi sono la miglior prova che apprezzo.»

«Crede davvero che si possa comprare tutto?» Beatrice serrò i pugni. «Se fosse una vera madre, Matteo si prenderebbe cura di lei. Non avrebbe bisogno di pregarmi di nascosto da lui.»

Livia corrugò la fronte. Le labbra tremarono, ma non rispose. Nei suoi occhi passò qualcosa—forse dolore, forse stupore. «Perché mi odia così?» pensò. «Io solo seguo le mie regole. È forse un crimine?»

Beatrice se ne andò senza aggiungere altro. Il giorno dopo, ricevette un bonifico. La notifica della banca le bruciava gli occhi. La cifra era generosa, ma per lei era uno schiaffo. Non restituì i soldi—non per avidità, ma per stanchezza. Discutere con Livia era come sbattere contro un muro di pietra.

Matteo non seppe mai la verità. Continuava a vedere sua madre come una donna dal cuore buono, incapace di meschinità. Beatrice non volle distruggere quell’illusione. Tacque, tenendo la verità nascosta, sapendo che a volte il silenzio costa più di qualsiasi confessione. Ma ogni volta che guardava suo marito, sentiva crescere tra loro un’ombra—l’ombra del calcolo, gettata da sua madre.

**Lezione appresa:**
A volte, l’amore più difficile da dare è quello che non verrà mai ripagato. Eppure, anche davanti al gelo del calcolo, rimanere umani è l’unica scelta che non tradisce noi stessi.

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