Ombra di una Lettera Dimenticata: Come un Invito Ha Spezzato Vent’anni di Silenzio

**L’ombra di una lettera dimenticata: come un invito ha spezzato vent’anni di silenzio**

Lucia aveva lavorato alle poste per più di trent’anni. In tutto quel tempo, aveva maneggiato migliaia di lettere: dai biglietti di auguri alle buste stropicciate con annunci di lutti. Ma quella lettera, trovata per caso una mattina di novembre, la sconvolse al primo sguardo.

La busta era semplice, grigia, senza indirizzo del mittente. Ma la calligrafia… quella era straziantemente familiare. La stessa che non vedeva da vent’anni.

«Possibile?» sussurrò, sedendosi di colpo su uno sgabello nel magazzino.

Dentro, solo poche righe:

«Mamma, ti invito. Domani è il mio giorno. Il matrimonio. Ti aspetto ancora. Se verrai, sarò felice. Se no, capirò. Caterina.»

La mano le tremò. Caterina. Sua figlia. Quella con cui non parlava da due decenni. Lucia ricordava benissimo quel giorno: Caterina, ancora universitaria, piena di sogni e amore, era venuta da lei dicendo:

«Mamma, sposo Marco.»

Lucia aveva quasi lasciato cadere la tazza. Quel Marco non le era mai piaciuto. Fragile, senza un lavoro stabile, senza casa. Soprattutto, non era l’uomo che avrebbe voluto per sua figlia.

«O lui o io!» tagliò corto, dura.

«Va bene, mamma» rispose Caterina, a bassa voce. «Allora lui.»

E se ne andò. Senza scene, senza lacrime. Solo la porta che si chiuse.

All’inizio Lucia pensò che sarebbe tornata. Poi che l’avrebbe chiamata per la nascita di un figlio. Seppe da un’amica che Caterina aveva avuto un maschietto. Un nipote. Ma l’orgoglio, pesante come una lastra di pietra, le opprimeva il petto. Nessuna lettera, nessuna chiamata. Solo silenzio. Lucia si convinceva: sua figlia l’aveva tradita. E dentro, un vuoto lancinante che nulla poteva riempire.

E ora, quell’invito. Dopo vent’anni. Una sola lettera. Come un urlo nel vuoto.

Tutta la notte, Lucia non chiuse occhio. Il cuore le batteva forte. Andare? E se l’avessero cacciata? E se Caterina avesse scritto solo per gentilezza? O per pietà?

Ma all’alba, mentre il vento ululava fuori dalla finestra, Lucia si sedette sul letto, si avvolse in una vecchia sciarpa e mormorò:

«Perdonami, piccola mia.»

Il treno per la città dove viveva Caterina partiva alle nove. Sul marciapiede c’era una donna giovane, con un cappotto bianco e un bouquet tra le mani. Quando Lucia si avvicinò, quella alzò lo sguardo e rimase immobile. Aveva gli occhi della madre. Stesso grigio-azzurro, con quegli angoli testardi.

«Mamma…»

E Lucia pianse. Per la prima volta dopo tanto tempo, davvero. Non per rancore, ma per sollievo.

Il matrimonio si svolse in un’atmosfera calda, quasi familiare. Lo sposo teneva Caterina per mano e ringraziava Lucia per essere venuta. Un bimbo con gli occhi grandi le si avvicinò e chiese piano:

«Tu sei la mia nonna?»

«Sì, piccolino. Sono la nonna. E sarò sempre con te.»

A volte, basta una lettera per spezzare il silenzio. Anche quello di vent’anni.

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