Ombre del Passato: Un Dramma nel Bosco

**Ombre degli anni passati: un dramma a Casalpusterlengo**

«Com’è volata via la vita, tutti questi anni. E come siamo diventati inutili ai nostri figli adulti», la voce di Elena tremava, gli occhi si riempirono di lacrime. Non voleva ascoltare oltre, il cuore le si stringeva dal dolore.

Elena aveva cresciuto tre figli che ormai da tempo avevano lasciato la casa natale a Casalpusterlengo. Il maggiore, Luca, era partito per l’estero con la famiglia già da giovane. Da allora, non aveva mai fatto visita alla madre. Solo fotografie, rare lettere e auguri per le feste ricordavano di lui. Elena conservava con cura ogni cartolina, ogni immagine. Nelle sere d’inverno, le sfogliava, rileggendo le sue lettere: «Figliolo, io e tuo padre ci manchi tanto, vieni almeno una volta, facci conoscere tua moglie e i nipoti…» Ma Luca non aveva mai tempo – la sua vita, le sue preoccupazioni.

La figlia di mezzo, Giulia, aveva sposato un militare. Si trasferivano spesso e avevano solo un figlio. A volte Giulia tornava a Casalpusterlengo, ma le visite erano rare e brevi. Il marito di Elena, Luigi, stimava molto il genero, Antonio, e si rallegrava per la figlia, che, a giudicare dai suoi occhi splendenti, era felice. Anche Elena era tranquilla per Giulia – la sua vita si era sistemata.

Ma la più piccola, Serena, era rimasta sola. Dopo il matrimonio in campagna, aveva avuto un figlio, ma il matrimonio era finito. Elena allora le aveva consigliato: «Vai in città, Serena. Cosa ti aspetta qui? Sei giovane, bella, ti rifarai una vita». Serena l’aveva ascoltata, lasciando il piccolo Matteo con la madre, aveva frequentato un corso da sarta e trovato rapidamente lavoro in città. Più tardi aveva portato con sé il figlio. «In città sta meglio», diceva. «La scuola è vicina, ci sono tante attività, non si annoierà». Matteo, aggrappato alla gonna della nonna, piangeva, ma chi osava contraddire una madre?

«Resterai una settimana senza di me», disse Elena al marito. «Non ce la faccio più, il cuore mi duole, devo andare a trovare Serena». Luigi avrebbe voluto accompagnarla, ma con l’arrivo dell’autunno si sentì male. Elena preparò le valigie, riempiendole di prodotti della campagna. Luigi l’accompagnò alla stazione prima dell’alba. Erano passati tre anni dall’ultima volta – Matteo doveva essere cresciuto tanto.

«Mamma, perché non mi hai avvisato che venivi?», la accolse Serena, a stento nascondendo l’irritazione. «Potevi chiamare! Ho dovuto chiedere permesso al lavoro, andare a prendere Matteo a scuola, fare la spesa. Tutta la giornata in piedi dopo il tuo messaggio!»
«Scusami, piccola, volevo farti una sorpresa», si giustificò Elena, camminando dalla stazione degli autobus. «Sai com’è la connessione da noi in campagna…»
«È successo qualcosa? Hai qualcosa da dirmi? Come sta papà?»
«Tutto bene, solo un po’ di malessere, è l’autunno. Ma ce la caviamo».

La porta dell’appartamento fu aperta da Matteo. Dio, quanto era cresciuto! Spalle larghe come quelle del nonno, e mani altrettanto forti.
«Ciao, nipotino!», esclamò Elena felice, abbracciandolo.
«Ciao, nonna», Matteo si liberò in fretta dall’abbraccio e la osservò attentamente.
«Perché non siete venuti a prendermi? Ho faticato a portare le valigie», disse Elena con rimprovero, guardando la figlia.
«Stavamo preparando tutto per il tuo arrivo», rispose Serena. «Ho cucinato, devi mangiare dopo il viaggio».

Elena sospirò – va bene, così sia. Pochi minuti dopo, gridava al telefono con il marito:
«Tutto bene, Gigi! Mi hanno aiutata! Non preoccuparti, stiamo per cenare, Serena ha cucinato, è buono. Ti abbracciano tutti!»

A tavola, Serena servì la minestra e chiese:
«Una cotoletta o due, mamma?»
Elena, affamata dopo il viaggio, avrebbe mangiato tutte e cinque, ma, guardando la figlia, rispose:
«Mettile sul tavolo, ne prenderò da sola».

Nel piatto c’erano cinque piccole cotolette. Ognuno ne prese una. Elena allungò la mano per la seconda, ma si trattenne dalla terza – si sentì a disagio. Ricordò quando preparava montagne di cibo per i figli, specialmente per le feste, perché tutti mangiassero a sazietà. E qui… Forse Serena aveva difficoltà? Doveva offrirle dei soldi, loro avevano dei risparmi, e il raccolto quell’anno era stato buono.

Elena fece il giro dell’appartamento. C’era stato un recente restauro, mobili nuovi, un televisore a parete in salotto. La stanza di Matteo era piccola ma accogliente, con tutto il necessario.
«Per quanto resti con noi?», chiese Serena, lavando i piatti.
«Cos’è, non sei contenta? Appena arrivata e già mi chiedi quando parto?»
«No, è che i biglietti vanno presi in anticipo. Domani posso andare in stazione a comprarti quello di ritorno, per non perdere tempo».

Elena alzò le spalle – se era necessario, fosse così. La sera la passò con Matteo, guardando foto e video delle feste scolastiche. Era felice di quanto fosse intelligente il nipote. Peccato che Luigi non potesse vederlo. Avrebbe chiesto a Matteo di firmare dei biglietti per il nonno.

Passarono alcuni giorni. Con ogni sera, l’atmosfera si faceva più fredda. Matteo si chiudeva sempre più spesso in camera sua, studiava o scappava dai vicini per giocare ai videogiochi. Serena restava al lavoro o usciva con le amiche, tornava tardi, toglieva le scarpe e andava subito a dormire. Elena sentiva la mancanza di un semplice affetto umano. Non così aveva immaginato l’incontro con la figlia.

Telefonò a Luigi e iniziò a preparare le valigie. Passando davanti alla stanza del nipote, sentì per caso la conversazione tra Serena e Matteo:
«Mamma, quando viene zio Marco? Aveva promesso di portarmi a vedere la partita».
«Presto, tesoro, appena la nonna se ne va…», rispose Serena.
«E quando se ne va la nonna?»

Elena si bloccò. Le lacrime scesero a fiotti. Tenendosi al muro e stringendosi il cuore, raggiunse la camera, preparò in fretta le valigie, indossò il cappotto e già era sulla porta quando Serena uscì.
«Dove vai a quest’ora? Il treno è domani sera!»
«Non importa, cambio il biglietto. Eh, figlia mia, non è questo che io e tuo padre ti abbiamo insegnato. Non dirò nulla a tuo padre, si preoccuperebbe. Grazie per le foto, le voleva tanto, desiderava vedere il nipote. Addio!»

Elena salì sul treno. Il posto era buono, il viaggio tranquillo. Dovette passare la notte in stazione, avvolta in una vecchia sciarpa, ma che importava? Sul treno notturno, guardò fuori dal finestrino buio e pensò a quanto era volata via la vita. Quanto amore, calore e cura lei e Luigi avevano dato ai figli. E come ora, adulti e presi dalle loro vite, non avevano più bisogno di loro.

«Ciao, Elena! Com’è andato il viaggio?», la accolse Luigi in stazione. «Ero in pensiero, miElena gli strinse la mano e sorrise, trovando conforto nel fatto che, nonostante tutto, qualcuno la aspettava ancora a casa.

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