Ombre del passato: un viaggio verso il calore familiare

**Ombre del Passato: Un Viaggio Verso il Calore della Famiglia**

Marco e Giulia si preparavano per il viaggio dai suoi genitori in un paesino sulle rive dell’Adige. Marco era cupo, il viso segnato dalla malinconia, i movimenti tesi. Il loro figlio di sei anni, Matteo, correva per la casa, elettrizzato all’idea del treno. Finalmente, dopo un viaggio estenuante, scesero alla stazioncina locale, dove l’aria profumava di fiume e pino. I genitori di Giulia li aspettavano. «Siete stanchi e affamati, vero?» disse sua madre abbracciando la figlia. «Mangiamo qualcosa, poi vi faccio vedere il paese!» – «Signora Rossi, temo non sarà possibile», rispose secco Marco, lanciando un’occhiata a Giulia. «Matteo tra poco dorme.» La signora Rossi alzò le sopracciglia. «Ma noi restiamo con il nipotino! Che c’è di male?» replicò, senza capire la tensione del genero. Marco aggrottò la fronte, mentre Giulia gli stringeva la mano per calmarlo.

Una settimana prima, Giulia aveva ricevuto la chiamata di sua madre. «Venite la prossima settimana, vi prego! Ci mancate tantissimo, soprattutto Matteo!» Marco, sentendo la notizia, era diventato subito scuro in volto. «Non voglio andare da nessuna parte!» aveva sbuffato, evitando il suo sguardo. Giulia, sconcertata, si era seduta accanto a lui. «Marco, che succede? Abbiamo le ferie, non possiamo far visita ai miei genitori? Hanno visto Matteo solo al nostro matrimonio! È giusto così?» Marco sospirò. Sapeva che aveva ragione, ma l’idea di quella visita gli stringeva il cuore. I suoi stessi genitori, che vivevano a pochi chilometri, lo avevano già stremato con i loro sermoni. «Giulia, è proprio necessario? L’anno prossimo, magari…» mormorò. Lei scosse la testa. «Sì, è necessario! Il treno è mercoledì, i biglietti sono già presi. E tu avevi detto di essere d’accordo! Che ti prende?» – «Niente», borbottò lui, voltandosi verso la finestra. «Solo una settimana», aggiunse Giulia per rassicurarlo. «Poi andiamo al mare. Ho già iniziato a preparare le valigie.» Marco sospirò, perdendosi nei suoi pensieri.

I suoi genitori erano persone severe. Sua madre lo controllava ancora, nonostante fosse adulto e padre di famiglia. Si immischiava nella sua vita, dicendogli come crescere Matteo. Suo padre, Vittorio, non era da meno: il suo motto era «Devi essere il migliore!» A scuola, se Marco tornava con meno di un dieci, a casa lo aspettava una ramanzina su come «non avrebbe mai combinato nulla nella vita». Le punizioni, come il divieto di uscire o la confisca del computer, erano all’ordine del giorno. Quelle continue lezioni avevano distrutto ogni legame affettivo. Ancora oggi, Marco evitava di andare a trovarli e non li chiamava mai per primo.

Credeva che tutti i genitori fossero così: persone da sopportare. Ma Giulia era diversa. Poteva parlare per ore con sua madre, condividendo gioie e preoccupazioni, raccontando di Matteo. Marco pensava fosse solo un’abitudine che sarebbe passata. Non chiedeva mai dei suoi suoceri, limitandosi a un freddo «salutameli». «Marco, sono così felice di andare da loro!» gli aveva detto Giulia quella sera, raggiante. «Mi mancano tantissimo!» Lui aveva scrollato le spalle. Lui sarebbe stato felice di non vedere i suoi per anni. «Sei strana», aveva commentato. «Io dei miei potrei fare a meno per sempre!»

Giulia lo guardò con compassione. Conosceva i suoi suoceri e non poteva dire che le piacessero. Si sentiva a disagio nella loro casa, dove il suocero rimproverava Marco o Matteo, e la suocera dava ordini a tutti. Capiva i sentimenti di Marco, ma i suoi genitori erano diversi. «Marco, non offenderti, ma la mia mamma e il mio papà non sono come i tuoi», disse dolcemente. «Loro mi amano.» Lui fece una smorfia. «Eh sì, anche i miei lo dicevano quando ero piccolo», borbottò, imitando suo padre: «Lo facciamo per il tuo bene, ti vogliamo bene.» Peccato che non ci fosse nemmeno un briciolo di affetto.» Giulia lo abbracciò, accarezzandogli la spalla, ma tacque. Sapeva che ora non era pronto ad ascoltare.

I giorni volarono. Giulia preparava le valigie, ansiosa di rivedere la famiglia. Marco era cupo, mentre Matteo, contagiato dall’entusiasmo della madre, correva per casa sognando il treno. Finalmente scesero alla stazione. «Prendiamo un taxi», disse Marco preoccupato, reggendo le borse. «Perché? Ci viene a prendere papà!» rispose Giulia sorpresa. Marco serrò le labbra. Suo padre non si sarebbe mai sognato di venirlo a prendere.

«Papà! Eccolo, andiamo!» Giulia agitò la mano verso un uomo che si faceva largo tra la folla. Poco dopo si abbracciavano, e poi il signor Rossi strinse la mano a Marco e si chinò verso Matteo. «Ciao Matteo, sono il tuo nonno. Come va?» Il bambino si nascuse dietro la mamma, imbarazzato. Giulia rise. «Si abituerà!» – «Andiamo alla macchina, Marco, ti aiuto con le valigie», disse il signor Rossi, prendendone un paio. Marco, sorpreso da tanta spontaneità, lo seguì in silenzio.

La signora Rossi li accolse con un sorriso e un abbraccio. Matteo si ambientò presto, anche se ricordava l’altra nonna e l’altro nonno—burberi e severi. Questi nuovi nonni erano gentili. Il bambino correva per casa, esplorando, e giocava con la macchinina regalatagli dal signor Rossi. «Ragazzi, avete fame? Venite a prendere un caffè!» chiamò la signora Rossi. Marco guardò l’orologio. Ricordava come sua madre lo obbligasse a mangiare sempre all’ora precisa. Ritardare un minuto da bambino significava saltare la cena. Giulia, ridendo, sussurrò: «La regola di mamma è che nessuno deve restare affamato.»

«Siete stanchi dal viaggio», continuò la signora Rossi. «Mangiate qualcosa, poi fate un giro. Giulia, mostra a Marco il paese, è la sua prima volta qui!» Marco fece una smorfia. «Signora Rossi, non credo sia possibile. Matteo è stanco, tra poco dorme.» Lei sorrise, leggermente stupita. «Prima di tutto, chiamami Elena, o zia Elena. Secondo, perché pensi che io e Matteo non ce la possiamo fare? Abbiamo spesso i nipotini, si trovano benissimo.» – «Voi resterete con lui?» Marco guardò Giulia, ma lei fece finta di nulla. «Che c’è di strano? Non ti fidi?»

Marco rimase un attimo in silenzio. «No, non è quello», disse alla fine. «È che i miei genitori non hanno mai tenuto Matteo, per me è strano.» – «Marco, te l’ho detto», sussurrò Giulia, mentre Elena aggiunse: «Marco, stai tranquillo, noi adoriamo i bambini e Matteo starà benissimo. Siete qui per riposarvi, e lo farete meglio da soli. Noi intanto conosciamo il nipotino.»

Il signor Rossi annuì: «A proposito, Marco, è un peccato che veniate così di rado. Siete sempre i benvenuti. La casa è grande, i biglietti non costano una cifra. CapiscoIl signor Rossi concluse con un sorriso: “Qui sarete sempre a casa vostra.”

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