Ora ho 70 anni: sola e un peso per mia figlia.

Adesso ho settant’anni. Sono sola come un cane randagio. Sono diventata un peso per mia figlia.

“Tesoro, vieni a trovarmi stasera… Ti prego, senza di te non ce la faccio.”

“Mamma, sono sommersa di lavoro! Sono stanca delle tue lamentele. Va bene, passo…”

Non ho resistito e ho pianto. Fa male, così tanto male. E subito mi sono tornate in mente le notti insonni, gli anni interi in cui ho sopportato tutto da sola per crescerla, la mia Simona. Le ho dedicato tutta la mia vita. E questa è la gratitudine?

Forse è colpa mia. L’ho viziata troppo, le ho permesso troppo. E quando aveva undici anni, ho conosciuto un uomo… dopo tanto tempo mi sentivo di nuovo donna, amata, desiderata. Ma Simona ha fatto una scenata tale che ho dovuto lasciarlo, anche se il cuore mi si spezzava.

Ora ho settant’anni. E sono sola. Completamente sola. Ho un sacco di acciacchi, faccio fatica a camminare. E la mia unica figlia… è sposata da vent’anni e sembra che per lei sia più semplice fare finta che io non esista. Sì, ha tre figli – i miei nipotini. Ma li vedo solo in foto. Perché? Non lo so nemmeno io…

“Che c’è stavolta?” ha sbuffato Simona, entrando in casa con aria stizzita.

“Mi hanno prescritto delle iniezioni. Tu sei infermiera, potresti aiutarmi…”

“Eh, adesso devo venire qui ogni giorno? Ma mi prendi in giro, mamma?!”

“Simonina, non posso uscire – c’è ghiaccio ovunque sui marciapiedi…”

“E mi paghi almeno? Non lavoro per beneficenza, sai! Non ho intenzione di fare avanti e indietro gratis!”

“Non ho soldi…”

“Beh, allora ciao, mamma. Rivolgiti a qualcun altro!”

La mattina dopo sono uscita due ore prima dell’appuntamento per riuscire ad arrivare in ambulatorio. Camminavo lentamente lungo la strada, respirando affannosamente e asciugandomi le lacrime. Non avrei mai pensato di arrivare a questo…

“Signora, passi pure senza fare la fila, prego… Sta male? Perché piange?”

Era una ragazza giovane con degli occhi dolci. Si è fermata vicino a me nel corridoio, mi ha messo una mano sulla spalla.

“No, cara, piango per un’altra ragione…”

Così abbiamo cominciato a parlare. Mi sono aperta con lei come in confessione. Semplicemente perché non avevo più nessuno con cui confidarmi. Si chiamava Giulia. Abitava a due case dalla mia. Dopo quel giorno ha cominciato a venirmi a trovare spesso, mi portava la spesa, mi aiutava in casa.

E per il mio compleanno è venuta solo lei. Solo Giulia.

“Non potevo non farle gli auguri in un giorno così. Mi ricorda tanto mia madre… Mi scalda il cuore stare vicino a lei,” mi ha detto abbracciandomi.

Ed è stato allora che ho capito – era diventata più vicina di mia figlia. Facevamo passeggiate, andavamo fuori città insieme, passavamo le feste assieme. Si prendeva cura di me come fosse mia figlia.

Ci ho pensato a lungo, ma alla fine ho deciso – le ho intestato la casa. All’inizio non voleva nemmeno accettare, cercava di rifiutare. Ma ho insistito. Era il mio modo per ringraziarla del calore che mi aveva dato. Sapevo che non era il tipo che fa del bene per interesse.

Col tempo mi ha portata a vivere con lei – ormai era troppo difficile stare da sola. Abbiamo venduto il mio appartamento, così Simona non avrebbe potuto fare cause legali a Giulia.

E sa una cosa? Mia figlia si è ricordata di me solo un anno dopo. È venuta con accuse e minacce. Urlava che ero una traditrice, che mi augurava la morte. Voleva l’appartamento, e io l’avevo delusa. Allora il marito di Giulia si è messo sulla porta e, con tono calmo ma fermo, ha detto:

“Vada via. E non torni più qui. Non è benvenuta.”

Ecco… delle persone sconosciute si sono rivelate più famiglia di mia figlia. Fa male, fa vergogna, fa paura vedere quanto velocemente si perde l’umanità. Ma se dovessi scegliere di nuovo, sceglierei ancora Giulia. Perché lei è la mia famiglia. Quella vera.

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