Mi sono ritrovata orfana a sei anni. Mamma aveva già due figlie quando nacque la terza. Ricordo tutto, i grida di mamma, le vicine radunate, piangenti, poi il silenzio della voce di mamma…
Perché non hanno chiamato i medici o portato mamma in ospedale? Non riesco ancora a capire. La città era troppo lontana? Le strade impraticabili? Qualcosa deve essere successo, vero? Mamma è morta durante il parto, lasciando me, mia sorella e la piccola neonata Olivetta.
Dopo la morte di mamma, papà era disorientato e non avevamo alcun parente lì, nel Sud Italia, tutti erano nel Nord. Non c’era nessuno ad aiutare papà a gestirci. Le vicine gli consigliarono di risposarsi in fretta. Non passò nemmeno una settimana dai funerali di mamma che papà era già pronto.
Gli suggerirono di prendere in moglie una maestra, dicevano fosse una donna gentile. Così papà andò. Si fece avanti e ottenne il suo consenso. Forse gli piacque? Di certo era giovane e bello. Alto, snello, con occhi neri che sembravano zingareschi. Era impossibile non notarlo.
Comunque sia, papà tornò a casa quella sera con la sua fidanzata.
– Vi ho portato una nuova mamma!
Provai una grande amarezza, un senso di ingiustizia, capivo con il cuore che c’era qualcosa di sbagliato. La casa sapeva ancora di mamma. Indossavamo abiti cuciti e lavati da lei, e lui già ci presentava un’altra madre. Adesso, con il tempo, lo capisco, ma all’epoca li odiai entrambi. Non so cosa abbia raccontato di noi quella donna, ma entrò in casa abbracciata a papà.
Erano entrambi un po’ brilli, e lei ci disse:
– Se mi chiamerete mamma, rimarrò.
Dissi alla più piccola:
– Lei non è la nostra mamma. La nostra mamma è morta. Non chiamarla così!
La sorellina iniziò a piangere, e io, più grande, mi feci avanti.
– No, non lo faremo! Tu non sei nostra madre. Sei un’estranea!
– Guardate come parla! Allora non rimarrò con voi.
La maestra uscì, e papà sembrò volerla seguire, ma si fermò sulla soglia. Rimase lì un momento, poi venne da noi, ci abbracciò e scoppiò in lacrime, e noi ci unimmo al suo pianto. Anche la piccola Olivetta nel lettino iniziò a piagnucolare. Stavamo piangendo la nostra mamma, e papà sua moglie, ma le nostre lacrime erano più amare delle sue. Le lacrime degli orfani sono uguali in tutto il mondo e la nostalgia per la mamma è la stessa in ogni lingua. Fu la prima e ultima volta che vidi papà piangere.
Papà visse con noi altre due settimane, lavorava nel settore forestale e la sua squadra doveva andare nei boschi. Cosa poteva fare? Non c’era altro lavoro nel villaggio. Si mise d’accordo con una vicina, le lasciò dei soldi per il nostro cibo, e portò Olivetta da un’altra vicina prima di partire.
E così rimanemmo sole. La vicina veniva, cucinava, accendeva il fuoco e poi tornava ai suoi impegni. Eravamo sole tutto il giorno: avevamo freddo, fame e paura. Il villaggio iniziò a pensare a come aiutarci. Serviva una donna speciale, che accettasse bambini non suoi come fossero propri. Ma dove trovarne una così?
Parlando, scoprirono che una lontana parente di una nostra vicina era stata abbandonata dal marito perché considerata sterile. O aveva avuto un figlio che era morto e non ne ebbe altri, nessuno lo sapeva chiaramente. Comunque, trovarono il suo indirizzo e, tramite la zia Marisa, invitarono Zina a venire da noi.
Papà era ancora nei boschi quando Zina arrivò una mattina presto. Entrò nel nostro silenzio che non la sentimmo nemmeno. Mi svegliai e in casa c’erano passi. Qualcuno si muoveva in cucina proprio come mamma, e in casa c’era un profumo! Stava cuocendo le frittelle!
Io e mia sorella spiavamo da una fessura. Si muoveva silenziosa per la casa: lavava i piatti, puliva i pavimenti. Infine, capendo dai nostri rumori che ci eravamo svegliate, disse:
– Venite a fare colazione, bianchetti!
Ci sorprese essere chiamate bianchetti. Siamo entrambe bionde e con occhi azzurri come mamma.
Raccogliemmo coraggio e uscimmo dalla stanza.
– Sedetevi a tavola!
Non c’era bisogno di dirlo due volte. Mangiammo frittelle e iniziammo a fidarci di quella donna.
– Chiamatemi zia Zina. Così dovete fare.
Dopo zia Zina ci lavò, lavò i panni e andò via. Il giorno dopo l’aspettammo; e venne! La casa sembrava rinascere tra le sue mani. Era di nuovo pulita e ordinata, come quando c’era mamma. Passarono tre settimane e papà era nei boschi. Zia Zina si prendeva cura di noi come meglio non si poteva desiderare, ma sembrava preoccupata, senza lasciarci affezionare. Soprattutto Vera si legò a lei. Aveva solo tre anni, era naturale. Io ero cauta. Zia Zina era severa. Non sorrideva mai. La nostra mamma era allegra, cantava, ballava, chiamava papà “Carlo”.
– Quando tornerà tuo padre dai boschi, non mi accetterà. Com’è, tuo padre?
Cominciai a lodarlo goffamente rischiando di rovinare tutto! Dissi:
– Nostro padre è buono! Tranquillo! Beve e si addormenta!
Zia Zina si allarmò:
– Beve spesso?
– Spesso! – rispose la piccola e io la colpìi sotto il tavolo dicendo:
– No, solo nei giorni di festa.
Zia Zina se ne andò rassicurata quella sera e papà tornò quella sera dai boschi. Entrò, guardò la casa e si stupì:
– Pensavo soffriste, invece vivete come principesse.
Raccontammo tutto come meglio potevamo. Papà si sedette a riflettere e disse:
– Bene, andrò a conoscere la nuova donna di casa. Com’è, almeno?
– Bellissima, – disse in fretta Vera, – cucina frittelle e racconta fiabe.
Ora, pensando a tutto questo, non posso che sorridere. Non la si poteva definire bella secondo nessun canone. Magra, piccola, un po’ scialba, ma i bambini sanno vedere la vera bellezza, forse?
Papà rise, si vestì e andò da zia Marisa, che viveva vicino. Il giorno successivo papà portò Zina da noi. Si alzò presto e andò a prenderla, e Zina entrò di nuovo timidamente in casa, come se avesse paura.
Dissi a Vera:
– Chiamiamola mamma, lei è buona!
E noi insieme gridammo:
– Mamma, mamma è qui!
Papà e Zina andarono a prendere Olivetta. Per lei Zina divenne una vera madre. Le dedicava infinite cure. Olivetta non ricordava mamma. Vera se ne dimenticò, ma io la ricorderò sempre, e anche papà. Una volta lo sentii sottovoce guardare una foto di mamma:
– Perché te ne sei andata così presto? Con te te ne sei portata via tutta la mia gioia.
Non vissi molto con papà e la matrigna. Dalla quarta classe frequentai il collegio, perché nel nostro paese non c’era la scuola grande. Dopo la settima classe andai all’istituto tecnico. Cercavo sempre di andarmene via presto, ma perché? Zinaida non mi offese mai né a parole né con i gesti, mi trattò come una figlia, e io mi comportai da ingrata?
Probabilmente ho scelto di fare l’ostetrica per un motivo. Non posso tornare indietro nel tempo per salvare mia mamma, ma posso salvarne un’altra…