Ospiti Inaspettati: La Nuora Che Ha Messo In Riga La Suocera

25 marzo 2024

La cucina si riempiva dell’odore pungente del minestrone che bolliva vigorosamente, mentre Raffaella Bonetti lo mescolava con energia, ansimando e sbuffando. Dominava quello spazio angusto come se ne fosse la regina, impartendo ordini con un gesto del cucchiaio di legno. Fuori, il grigio dell’inizio primavera avvolgeva tutto, ma Ginevra, la nuora di Raffaella, non aveva tempo per godersi la quiete. La sua vita tranquilla era stata sconvolta dall’arrivo dell’ospite eternamente scontenta, che non solo aveva stravolto l’ordine domestico, ma sembrava essersi autoproclamata capofamiglia con il motto: «Qui comando io».

Raffaella era una donna imponente. Le guance paffute le davano un’aria di autorità, e i suoi occhi freddi, sotto folte sopracciglia ancora non ingrigite, scrutavano con una perspicacia così giudicante che veniva voglia di scusarsi anche solo per uno starnuto. Parlava con un tono tagliente, come se le sue parole fossero verità assolute e non opinioni. Aveva iniziato dei lavori in casa sua ed era venuta a stare dai giovani «temporaneamente»— parola che già sapeva di eternità.

«La camera da letto è davvero piccola», borbottò la suocera la prima sera, guardandosi intorno. «Va beh, può andare. Stendimi delle lenzuola pulite, però, non quelle che usate voi. Non sono in un albergo, sono dai miei figli».

Ginevra si irrigidì. «Ma questa è la nostra camera», replicò timidamente, senza nascondere l’irritazione. «Io e Riccardo dormiamo qui!».

Raffaella sbuffò. «E allora? Avete un divano largo in salotto. Siete giovani, potete adattarvi. Tanto delicata, eh? Io invece ho la schiena da curare! Per qualche giorno farete spazio. Poi, tranquilla, non resterò a lungo».

«A lungo» suonava rassicurante, ma Ginevra già capiva che quel soggiorno «temporaneo» sarebbe durato un’eternità.

Appena si era abituata all’ospite indesiderata, suonò il campanello. Sulla soglia c’era Viola, la figlia minore di Raffaella: una ventenne allegra, spensierata e disoccupata, che entrò senza cerimonie con una borsa enorme.

«Ciao, resto un paio di giorni», annunciò, lasciando le scarpe sotto la porta. «Sono al verde e non ho da mangiare. Poi, visto che mamma è qui… Ginevra, preparami un tè, sono stanca morta».

Ginevra si sentì come colpita da un macigno. Quell’appartamento era suo, il suo rifugio, ma con ogni intruso si sentiva sempre più un’estranea.

«Riccardo!», esclamò più tardi, quando furono soli in cucina. «Ma cosa sta succedendo? Perché devo servire tutti? Si comportano come se fosse casa loro! Quando tua madre se ne va? E perché c’è anche Viola?».

Riccardo scrollò le spalle. «Lo sai com’è mamma», disse pacato. «Fai finta di niente. Andranno via presto».

«Presto quando? Tra una settimana o un mese?», ribatté Ginevra, la voce strozzata dalla rabbia. «Non chiedono neanche il permesso! E poi, quella “regina” si è presa la NOSTRA camera!».

«Non iniziare, va bene?», la interruppe lui, irritato. «Mamma è anziana, dobbiamo aiutarla».

Ginevra tacque, ma la rabbia le ribolliva dentro.

Ogni giorno che passava era una tortura. Raffaella continuava a ordinare, mandava Ginevra a fare la spesa, insegnava come «cucinare decentemente» e criticava tutto: dai suoi capelli alle sue «scarse doti culinarie». Ginevra serrava i denti e preparava minestrone e cavolo stufato, i piatti preferiti della suocera.

Poi, Raffaella annunciò: «Tra un paio di giorni arriva Marco, tuo cognato. Spero non abbiate obiezioni? Dopo il divorzio si annoia da solo in campagna. Resterà una settimana. Siete famiglia, e qui c’è spazio. Poi, ha iniziato a bere, meglio che stia con noi».

Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso.

«No». La voce di Ginevra fu ferma, persino per lei stessa.

«Cosa?», fece Raffaella, aggrottando la fronte.

«Ho detto no. Basta. Né Marco, né Viola, né lei. È una settimana che siete qui, e ne ho abbastanza».

Raffaella la fissò con occhi glaciali. «Che tono è questo? L’hai chiesto a tuo marito?».

«Mio marito non c’entra. Questa casa è mia. Non permetterò che impongate le vostre regole. A casa vostra fate come vi pare, ma qui no».

Il viso di Raffaella diventò paonazzo. Sembrava sul punto di esplodere, ma qualcosa nel tono di Ginevra la fermò.

«Ah sì?», borbottò dopo un minuto. «Allora è meglio che torni a casa mia. Non si può vivere con questa accoglienza».

Entro sera, Raffaella e Viola erano pronte a partire, guardando Ginevra con disprezzo. Riccardo tentò di difendere la madre, ma Ginevra lo fulminò con lo sguardo.

«Se vuoi che questa famiglia funzioni, Riccardo, è meglio che stia dalla mia parte».

Sei mesi dopo, Raffaella chiamò per gli auguri del loro anniversario. Nel suo tono c’era una cordialità mai sentita prima. Non dormì più da loro, non pretese la camera e, quando faceva visita, a volte lodava persino le torte di Ginevra. Non era più la regina, ma un’ospite. E Ginevra, finalmente, si sentì rispettata.

Oggi ripenso a quel giorno e mi chiedo: ho fatto bene a mettere dei limiti? La risposta è sì. A volte, il rispetto si guadagna mostrando i denti. Meglio un “no” chiaro che un “sì” pieno di risentimento.

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