Era l’ora di punta e le macchine erano bloccate in colonna, una dietro l’altra, senza possibilità di muoversi in nessuna direzione da almeno mezz’ora. I finestrini erano tutti chiusi, i condizionatori attaccati a palla. Fuori c’era un caldo insopportabile, oltre i trenta gradi, proprio come avevano annunciato al telegiornale.
L’aria tremolava sopra l’asfalto, reso rovente dal sole e dagli pneumatici. Dentro la Fiat faceva fresco, ma stare lì fermi a fissare quel fermo immagine di auto bloccate stava diventando insopportabile.
Martina svitò il tappo della bottiglietta di plastica e bevve qualche sorso. Matteo notò che l’acqua era quasi finita. Lei beveva in continuazione, senza offrirgliene neanche un po’. No, lui avrebbe rifiutato, l’ultimo sorso glielo avrebbe lasciato senz’altro. Però sembrava che lui, in quell’auto, non esistesse nemmeno.
“Ma quanto ci metteremo ancora?” chiese Martina, irritata.
Erano le sue prime parole dopo che erano ripartiti dalla casa al mare. Il suo silenzio era peggio di una sfuriata. Avrebbe preferito che urlasse. Non litigavano mai davvero, ma quando succedeva qualcosa, Martina rimaneva muta per ore, a volte giorni, facendogli capire con tutto il corpo che la colpa era sua. Lui ammetteva di aver sbagliato, chiedeva scusa, ascoltava il suo monologo piatto, e poi facevano pace.
“Che stai a fare lì? Muoviti, fai qualcosa!” gli sbottò di nuovo contro Martina, come se la colpa del traffico sul Grande Raccordo Anulare fosse sua.
Questa volta fu lui a restare zitto. Non sapeva cosa dire, né cosa fare.
“E poi, perché siamo andati in quella stupida casa al mare? Tu pazzo, ci sta, ma io? Per stare dall’altra parte del cancello mentre tu fai il tenero con tua figlia? Sarei stata meglio a fare shopping. O a prendermi un gelato con Michela.” Martina si soffiò il naso.
“Ecco, adesso mi si è chiuso il naso. Come se non bastasse prendermi un raffreddore con questo condizionatore,” si lamentò di nuovo.
Matteo spense l’aria condizionata.
“Ma stai scherzando? Con questo sole la macchina diventa un forno in due minuti. Vuoi che soffochiamo?” protestò Martina.
Matteo non ricordava che parlasse così tanto. Lo sorprendeva e lo metteva a disagio. Ma non disse nulla e riaccese il condizionatore. Più avanti, un uomo camminava tra le auto. Prima di raggiungere la loro Fiat, salì in una macchina nella corsia accanto.
“L’hai visto? È tornato da quella parte. Forse sa perché c’è tutto questo traffico,” ipotizzò Martina.
“Può darsi,” convenne Matteo.
“E allora che stai a fare? Vai a chiedere!” disse lei, senza neanche guardarlo.
“Che vuoi che chieda? Il traffico potrebbe estendersi per chilometri. Pensi che in mezz’ora sia riuscito ad andare fino in fondo e tornare? Ne dubito.” Matteo la guardò e si sentì di nuovo in colpa.
“Dai, non possiamo restare qui per sempre. Prima o poi si sbloccherà. Tutti aspettano tranquilli. È il GRA, mica una stradina di campagna. Mezza Roma è ferma qui.” Tacque. Anche Martina stava zitta, fissando il vuoto.
“Va bene.” Matteo scese dalla macchina.
Si voltò a guardare le altre auto dietro di loro, identiche a quelle davanti. Quell’uomo era salito in una Golf rossa, gli pareva. Bussò al finestrino e questo si abbassò a metà.
“Scusi, lei è andato avanti? Sa perché siamo fermi?” chiese all’uomo al volante.
“Pare che tutto il GRA sia bloccato. Nessuno sa niente. Forse un incidente o un attentato.”
Nulla di nuovo. Matteo lo pensava già. Fuori c’era un caldo opprimente, da sauna. Mentre stava chinato verso il finestrino, la camicia gli si inzuppò di sudore sulla schiena, appiccicandosi alla pelle. Tornò in macchina, alla radio non dicevano nulla sul traffico, né sulla coda sul GRA.
“Allora, che ha scoperto?” chiese Martina, impaziente.
“Nulla, il blocco è più avanti, forse tutto il GRA. Qualcuno dice attentato.”
“Lo sapevo. E perché c’ho dato retta e sono venuta con te?” gemette Martina.
Matteo era d’accordo con lei. Non avrebbe dovuto insistere per portarla con sé. Se fosse rimasto alla casa al mare con sua figlia, come lei voleva, non sarebbe finito in mezzo al traffico. Sarebbe rientrato più tardi, con l’aria fresca della sera. E la coda si sarebbe già sbloccata.
Ma tutto era iniziato così bene…
***
Matteo fu svegliato dalla suoneria del telefono. Assonnato, rispose senza guardare lo schermo.
“Papà, vieni?” era la voce di Sofia.
“Ciao. Ti sei dimenticato che oggi è il compleanno di tua figlia?” Questa era sua moglie. Ex moglie. “Scommetto che non hai ancora comprato il regalo,” aggiunse con tono accusatorio.
“No, mica me lo sono dimenticato, sto partendo proprio ora,” disse in fretta Matteo, aprendo gli occhi.
Il sole era già alto. Allontanò il telefono dall’orecchio e vide l’ora sullo schermo: mezza mattinata passata.
Il compleanno di Sofia se lo ricordava fino alla sera prima. Ma poi c’era stata la serata al locale con Martina e gli amici, e tutto gli era scivolato di mente.
“Papà, non mi serve un regalo, vieni solo tu, mi sei mancato!” gridò Sofia in lontananza, poi la chiamata si interruppe. Sua moglie aveva riattaccato.
Si erano sposati quasi tredici anni prima. E per dieci avevano vissuto come cane e gatto, torturandosi a vicenda. Lui non era innamorato. Era solo uno studente che, dopo una festa in dormitorio, si era svegliato nel letto di una ragazza di cui a malapena ricordava il nome.
Un mese dopo lei lo cercò all’università e gli disse che era incinta. “Be’, non è male,” pensò Matteo, e le disse che l’avrebbe sposata. I suoi genitori erano sconvolti, cercarono di dissuaderlo. Sua madre dubitava che il bambino fosse suo, gli propose di fare un test prima di sposarsi.
Lo fece, ma solo dopo la nascita di Sofia. Era sua figlia senza ombra di dubbio. Matteo se ne innamorò subito, non appena la prese in braccio in ospedale. Non avrebbe mai immaginato che potesse succedere. Per questo aveva sopportato le liti con sua moglie, la gelosia, le continue critiche. Forse avrebbe continuato ancora, se non avesse incontrato Martina.
Altera, fredda, attraente come una dea greca, Martina non urlava come sua ex moglie. Taceva, e così lo puniva. Era il suo unico difetto. Girava per casa in shorts e canottiera, quasi a provocarlo. Lui le chiedeva scusa, anche quando non sentiva di aver sbagliato.
A volte si chiedeva come avesse fatto a conquistare una ragazza così.
Dopo la chiamata di Sofia, Martina chiese cosa fosse successo. Le spiegò di essersi dimenticato il compleanno di sua figlia, che aveva promesso di raggiungerla nella casa al mare dove lei e sua madre passavano l’estate.
“Vuoi andartene? Adesso? E io devo stare qui da sola tuttoE poi, mentre sorseggiavano il caffè in silenzio, Matteo capì che forse quella era la pace che aveva sempre cercato.