Padre abbandona la famiglia per un’altra donna quando la figlia aveva solo quattro anni.

Il papà lascia la famiglia per unaltra donna quando la figlia aveva quattro anni.
Se ne andò di casa per vivere con unaltra il giorno dopo Capodanno. Sulla soglia, mormorò «scusa» a sua figlia e chiuse la porta. La mamma affrontò la cosa con strana calma, come se fosse un inevitabile destino. Nella sua famiglia, nessuna donna aveva mai avuto un matrimonio che durasse. Ma qualche settimana dopo, una notte, prese tutte le pastiglie di diazepam e paracetamolo che trovò in casa e si addormentò per sempre.

La mattina dopo, Martina provò a svegliare sua madre a lungo, urlando e scuotendola. Poi improvvisò una colazione con quel che cera in frigo e tornò da lei, sperando in un miracolo. Stanca, finì per addormentarsi abbracciata al suo corpo.

I giorni di gennaio volano, e il sole era già basso quando la bambina riaprì gli occhi. Si svegliò per il freddo, tirò su la coperta e si strinse ancora di più alla mamma, ma questo non fece che peggiorare il gelo. Fu allora che Martina capì: quel freddo terribile veniva da lei stessa. Lacrime bollenti le bruciarono il viso.

Nellingresso, la porta si aprì. Martina corse come un fulmine: era Elisabetta, la sorella minore di sua madre.
«Martina, sei qui! Dovè tua mamma? Ho provato a chiamarla tutto il giorno, perché non risponde? Sono preoccupata!»

La bambina afferrò il cappotto di Elisabetta e la strattonò verso la camera. La fissò con occhi pieni di lacrime, indicando la porta con un dito tremante. Apriva la bocca, il viso contratto dal dolore, ma non usciva nessun suono.

Elisabetta non aveva mai avuto figli, e dopo cinque anni di matrimonio, suo marito se ne era andato per questo. Senza bambini, riversò tutto il suo affetto sulla nipote, come una seconda mamma. Quando accadde la tragedia, si occupò di tutta la burocrazia per diventarne tutrice, e Martina andò a vivere con lei. Le dedicò ogni attenzione, ma nessuna terapia o riabilitazione in tre anni riuscì a ridarle la voce.

Quellinverno, il freddo arrivò con la festa di SantAntonio, portando una neve vera, croccante. Martina e le amiche passarono il giorno a slittare al Parco Sempione, costruirono unintera famiglia di pupazzi di neve, rotolarono e fecero «fiori» sulla neve.

«È ora di tornare a casa. I tuoi vestiti sono ghiacciati, i guanti sembrano mattoni. Dai, passiamo al supermercato a prendere latte e pasta», disse Elisabetta in fretta.

La gente entrava e usciva, porte che sbattevano, mentre un gatto rosso se ne stava seduto impassibile allingresso del supermercato. Aveva laria saggia, gli occhi socchiusi, come se nulla potesse turbarlo; muoveva solo le zampine per il freddo. Martina si avvicinò e si accovacciò. Fece un cenno a Elisabetta, come a dirle di andare avanti.

«Va bene, faccio in fretta, ma tu non muoverti!»

La bambina accarezzò il gatto, che si stirò felice, inarcando la schiena e facendo le fusa. Martina gli abbracciò il collo e appoggiò la guancia alla sua pelliccia. Allimprovviso, lacrime calde le rigarono il viso, e il gatto cominciò a leccarle, starnutì e poi continuò.

«Che schifo! Cosa fai? È un randagio, è sporco!»

Elisabetta le prese la mano e la trascinò verso la macchina. Martina si divincolava, ma la zia la spinse sul sedile posteriore e salì al volante.

Il gatto seguì, miagolando verso di lei.

«Non posso lasciarlo, è mio ora», sussurrò Martina, le lacrime che scendevano sul vetro.

«Hai parlato? Ripeti, ripetilo!», implorò Elisabetta con voce tremante.

«Non possiamo abbandonarlo! Senza di me morirà!», gridò la bambina.

La donna saltò fuori dallauto, afferrò il gatto e si sedette accanto a Martina. Il rosso, spaventato, le affondò le unghie nel cappotto, ma quando vide la bambina, saltò in grembo a lei e si raggomitolò.

«Lo vuoi davvero? Bastava dirlo, ti avrei trovato un gatto molto prima», rise Elisabetta, felice.

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