Il figlio e la nuora hanno cacciato il vecchio padre di casa sua. Il vecchio stava gelando quando una zampa toccò il suo viso.
Giovanni sedeva su una panchina ghiacciata in un parco da qualche parte vicino a Torino, tremando per il freddo pungente. Il vento ululava come una bestia affamata, la neve cadeva a grandi fiocchi, e la notte appariva come un abisso nero senza fine. Guardava nel vuoto davanti a sé, incapace di capire come fosse possibile che lui, l’uomo che aveva costruito la sua casa con le proprie mani, fosse finito per strada come un relitto senza valore.
Solo poche ore prima era tra le pareti di casa sua, che conosceva da tutta la vita. Ma suo figlio, Marco, l’aveva fissato con un’apatia glaciale, come se fosse un estraneo, non suo padre.
— Papà, a me e a Chiara lo spazio comincia a mancare, — aveva detto senza batter ciglio. — Inoltre, non sei più giovane. Ti troverai meglio in una casa di riposo o in una camera in affitto. Hai la tua pensione…
Chiara, la nuora, era accanto a lui, annuendo silenziosamente, come se fosse la decisione più naturale del mondo.
— Ma… è casa mia… — la voce di Giovanni tremava non per il freddo, ma per il dolore del tradimento che lo lacerava internamente.
— Hai trasferito tutto a mio nome, — Marco aveva scrollato le spalle con una freddezza distaccata che tagliava il respiro di Giovanni. — I documenti sono firmati, papà.
In quel momento Giovanni capì: non gli rimaneva nulla.
Non protestò. Orgoglio o disperazione — qualcosa lo spinse semplicemente a voltarsi e andarsene, lasciando dietro di sé tutto ciò che aveva caro.
Ora sedeva nell’oscurità, avvolto nel vecchio cappotto, e i suoi pensieri erano confusi: com’era possibile che avesse riposto fiducia nel figlio, cresciuto con sacrifici, e alla fine fosse diventato un estraneo? Il freddo penetrava fino alle ossa, ma il dolore dell’anima era più forte.
All’improvviso avvertì un tocco.
Una zampa calda e pelosa si posò delicatamente sulla sua mano gelida.
Davanti a lui stava un cane — enorme, peloso, con occhi buoni, quasi umani. Lo guardò attentamente, poi toccò la sua mano con il naso umido come per dire: «Non sei solo».
— Da dove vieni, amico? — sussurrò Giovanni, trattenendo le lacrime che gli riempivano la gola.
Il cane scodinzolò e tirò leggermente il bordo del cappotto con i denti.
— Che cosa hai intenzione di fare? — si chiese Giovanni, ma il suo tono non trasmetteva più la disperazione di prima.
Il cane tirava con ostinazione, e il vecchio, sospirando pesantemente, decise di seguirlo. Cosa aveva da perdere?
Attraversarono alcune strade innevate, quando si aprì la porta di una casetta. Una donna, avvolta in uno scialle caldo, stava sulla soglia.
— Ettore! Dove eri finito, monello?! — iniziò, ma vedendo Giovanni tremante, si fermò. — Santo cielo… Sta male?
Giovanni voleva dire che poteva farcela, ma dalla gola uscì solo un suono rauco.
— Sta gelando! Entri subito! — esclamò, prendendolo per mano e tirandolo quasi di forza dentro casa.
Giovanni si svegliò in una stanza calda. L’aria era pervasa dall’aroma di caffè fresco e qualcosa di dolce, forse brioche alla cannella. Non capì subito dove si trovasse, ma il calore si diffondeva nel corpo, scacciando il freddo e la paura.
— Buongiorno, — disse una voce dolce.
Si girò. La donna che l’aveva salvato era sulla porta con un vassoio tra le mani.
— Mi chiamo Elena, — sorrise. — E lei?
— Giovanni…
— Bene, Giovanni, — il suo sorriso si allargò, — il mio Ettore raramente porta gente a casa. È stato fortunato.
Giovanni rispose con un sorriso debole.
— Non so come ringraziarla…
— Mi dica come è finito per strada con questo freddo, — chiese mentre posava il vassoio sul tavolo.
Giovanni esitò. Ma negli occhi di Elena c’era tanta sincera partecipazione che improvvisamente raccontò tutto: della casa, del figlio, di come era stato tradito da coloro per cui aveva vissuto.
Quando finì, nella stanza calò un silenzio pesante.
— Rimanga da me, — disse improvvisamente Elena.
Giovanni la guardò, pieno di sorpresa.
— Cosa?
— Vivo sola, io ed Ettore. Mi manca qualcuno vicino, e a lei serve una casa.
— Non so neanche cosa dire…
— Dica “sì”, — sorrise di nuovo, ed Ettore, come per approvare, spinse il muso contro la sua mano.
In quel momento Giovanni capì: aveva trovato una nuova famiglia.
Dopo alcuni mesi, con l’aiuto di Elena, si rivolse al tribunale. I documenti che Marco l’aveva costretto a firmare furono dichiarati nulli. La casa tornò da lui.
Ma Giovanni non ci tornò.
— Quel posto non è più mio, — disse piano, guardando Elena. — Che lo prendano.
— Giusto così, — annuì lei. — Perché ora la tua casa è qui.
Guardò Ettore, la cucina accogliente, la donna che gli aveva donato calore e speranza. La vita non era finita, stava solo cominciando, e per la prima volta da molti anni Giovanni si sentì che poteva ancora essere felice.