Anna salì lentamente le scale con la busta della spesa in mano, contando i gradini come faceva col figlio quando tornavano dall’asilo. Ricordava come Niccolò ripetesse ogni numero con impegno, e poi, dopo qualche mese, avesse già imparato a contare da solo. “Com’è cresciuto in fretta… Dio, fa’ che torni, fa’ che sia vivo…” sussurrò di nuovo, come una preghiera.
Al piano di sopra una porta sbatté, seguita da rapidi passi. Anna si fermò sul pianerottolo tra il secondo e il terzo piano, facendosi da parte.
“Ciao!” la salutò Allegra, la quattordicenne del quarto piano, sorridendo.
“Allegra, ferma! Hai dimenticato il cappello!” gridò sua madre da sopra.
La ragazzina tornò indietro a malincuore.
“Fa caldo… sempre con sto cappello…” borbottò.
La madre scese di corsa e le infilò in mano un berretto di lana.
“Di sera si raffredda. Torna subito dopo danza, hai capito?”
“Va bene…” Allegra afferrò il berretto e corse giù.
“Non ‘va bene’, mettitelo!” le urlò dietro la madre.
“Buongiorno, Anna. Torni dal lavoro?” La vicina sospirò. “Questa qui… sempre pronta a uscire scalza e senza giacca, poi si ammala e sono guai.”
Ripresero a salire insieme. Anna stava per ricominciare a contare i gradini, ma la vicina la interruppe.
“Tuo figlio si fa sentire?”
“No,” sospirò Anna.
“Crescendo, diventano sempre più indipendenti. Da piccoli li temi per ogni raffreddore, da grandi per tutto il resto. Mio figlio è fuori a studiare e mi manca, ma almeno so dov’è. Con Allegra chissà chi frequenta… e lei pensa solo a ballare!”
Anna si fermò davanti al suo appartamento. Mentre cercava le chiavi nel cappotto, la vicina scomparve dietro la sua porta. Entrò nell’ingresso e, come sempre, lanciò un’occhiata all’attaccapanni. Ogni giorno sperava, col cuore in gola, di vedere di nuovo la giacca di Niccolò. Ma c’era solo la sua giacca leggera.
Appoggiò la busta sul mobiletto e cominciò a togliersi le scarpe. Una volta, Niccolò correva ad accoglierla, raccontandole ogni novità.
“Aspetta, fammi togliere il cappotto…” lo pregava stanca. “Non toccare la busta, è pesante.”
Poi crebbe, e toccava a lei chiamarlo quando rientrava. Gli chiedeva di portare la spesa in cucina e, nel frattempo, lo interrogava sulla scuola.
“Tutto bene,” sbuffava lui portando via la busta, per poi sparire in camera sua.
Poi finì il liceo, iniziò l’università. Tornando dal lavoro, ormai lo trovava raramente a casa. Le confidenze si facevano sempre più rare.
“Forse dovrei prendere un gatto… almeno qualcuno mi accoglierebbe,” sospirò Anna. Ci pensava ogni volta che rientrava, e poi se ne dimenticava. Mangiava in fretta e si sedeva davanti alla TV a guardare il telegiornale.
Cercava tra le immagini dei soldati in divisa mimetica, volti mezzi coperti. Occhi diversi, ma tutti con lo stesso sguardo: stanco, calmo, rivolto alla telecamera con speranza. Le famiglie avrebbero visto che erano vivi. Magari uno di loro era Niccolò. Anna era certa che l’avrebbe riconosciuto…
Quattro mesi prima
“Niccolò, sei a casa?” chiamò entrando.
“Sì.” Lui uscì lentamente dalla sua stanza.
“Perché così presto?” Anna avanzò verso la cucina con la spesa, e lui la seguì lentamente. “Hai fame?” Sistemò la busta su una sedia e iniziò a riporre la spesa. Niccolò si sedette di fronte a lei.
“Perché stai zitto? È successo qualcosa?” Anna si fermò con un vasetto di ricotta in mano.
“Sto benissimo, mamma.”
Ma quell’espressione preoccupata la turbò. Mise via la ricotta, piegò la busta e la infilò nell’armadio.
“Domani ti faccio le frittelle di ricotta,” disse, fissandolo.
“Siediti.” Indicò la sedia libera. Anna obbedì, ma un’ondata d’ansia la travolse.
“Mi spaventi. Cos’hai? Vuoi sposarti?”
“Mamma, parto per il fronte.”
“Co-come?” balbettò, come inciampando nella parola. “Improvvisamente? Non hai nemmeno fatto il militare…”
“Non subito. Prima mi addestreranno, poi—”
“No.” Scosse la testa. “Hai appena finito l’università, trovato un buon lavoro… E io? Hai pensato a me? Non ho nessun altro… Non puoi farmi questo. Perché? Cos’è successo?”
“È successa la guerra, mamma. Non posso restare a guardare. Sono forte, in salute, ho le competenze giuste—”
“Non sei un uomo, sei un ragazzo! Hai solo ventitré anni…”
Lo fissò e tacque. Le lacrime le annebbiarono la vista, il viso di Niccolò divenne sfocato. Si asciugò gli occhi.
“Quando parti?” Le lacrime le scivolarono sulle guance.
“Domani. Mamma, scusami, ma non posso stare fermo mentre gli altri…”
Si alzò di scatto e lo strinse a sé.
“Non te lo permetto!”
“Ho deciso io.” Niccolò si liberò con dolcezza.
Alla fine si calmò. Parlarono a lungo. Lui cercava di spiegarle.
“Una volta ti chiesi di papà, ricordi?”
“Avevi cinque anni,” rispose lei.
“E cosa mi dicesti?”
Anna scosse la testa.
“Mi dicesti che mio padre era un militare, un eroe, morto in missione.”
Certo che lo ricordava. E che altro poteva dirgli? Che si era innamorata, persa la testa per un ragazzo che, quando aveva saputo della gravidanza, l’aveva spinta ad abortire. Erano studenti, avevano ancora due anni di università…
Lei sapeva che aveva ragione, ma rimandava, non riusciva a decidere. Poi lo disse a sua madre. Gridò, pianse, ma non le permise di abortire. E Anna le fu grata, ma solo dopo.
Marco aveva detto che se aveva deciso da sola, avrebbe vissuto da sola, perché lui non era pronto. Si lasciarono. Lei partorì e prese un anno sabbatico. Sua madre lavorava e non c’era nessuno a cui lasciare Niccolò.
Quanti pianti, quanto dolore in quei mesi. Quanto era stato difficile. Aveva sperato che Marco tornasse, si scusasse, restasse. Litigi con sua madre, accuse reciproche… Poi tutto si sistemò.
Che poteva dirgli quando, crescendo, le chiese di suo padre? Che era un vigliacco? Che li aveva abbandonati senza mai vederlo? Non poteva. Così inventò la favola del padre eroe, perché non si sentisse umiliato.
Pensava che, crescendo, avrebbe capito. Ma Niccolò ci credette, a scuola scriveva temi su di lui. Non servivano dettagli: la missione era segreta.
Come poteva immaginare che sarebbe scoppiata questa guerra? Dopo l’ultima, tutti credevano che niente del genere si sarebbe ripetuto.
Quella notte, prima che partisse, Niccolò non parlò di emulare il padre. Le chiese solo:
“È vero? Di papà?”
Lei rimase immobile. In quel momento, non poteva dirgli la verità.
“Io so chi è veramente papà, mamma,” disse Niccolò, posando una mano sulla sua, “e non importa quello che è successo, perché ora abbiamo una seconda possibilità.”