«Papà, cedi l’appartamento — hai già vissuto abbastanza». Dopo la risposta, la figlia disse tre parole e sbatté la porta.

Edoardo Bianchi aveva perso la moglie solo sei mesi prima. Con lei, se n’era andato anche l’ultimo sostegno nella sua vita. Continuava ad andare al lavoro, non per necessità, ma per conservare almeno un barlume di significato. Quel lavoro era la sua salvezza, il suo appiglio. Nella routine quotidiana trovava conforto, anche se solo temporaneo. La sera, si attardava sempre più spesso per le strade di Roma, camminando senza meta, senza voler tornare in quell’appartamento vuoto e freddo. Senza di lei, la casa era diventata una scatola silenziosa, dove l’eco dei suoi passi risuonava più forte del silenzio stesso.

I figli — sua figlia Giulia e suo figlio Marco — lo visitavano sempre meno. Fino a quasi smettere del tutto. Sembrava che con la morte della madre, fosse svanito anche quel filo che teneva unita la famiglia. Edoardo temeva la solitudine, ma ancor di più temeva di essere diventato, agli occhi dei suoi stessi figli, solo un vecchio inutile.

Spesso si sorprendeva a scrutare i volti dei passanti, sperando di riconoscere qualcuno che si fermasse a salutarlo, ad abbracciarlo. Ma la gente proseguiva, indifferente. E il dolore nel cuore cresceva — non per malattia, ma per il vuoto che sentiva dentro.

Poi arrivò lei — Giulia, sua figlia. Non venne con affetto o premure, ma con freddezza e calcolo. Le sue visite erano sempre brevi, distaccate, e ogni volta il discorso finiva sempre sullo stesso argomento: la casa. Questa volta, non perse tempo.

«Papà, ma quanto ancora vuoi resistere? Vivi da solo in un appartamento di quattro stanze nel centro di Milano. È assurdo. Vendilo, comprati un monolocale. E dammi i soldi della vendita — abbiamo un mutuo, i bambini hanno bisogno di una camera in più.»

Lui rimase in silenzio. Le mani tremavano. Le parole gli si bloccarono in gola.

«Giulia, sai che questa è la casa dove ho vissuto con tua madre. Non posso semplicemente…» Non riuscì a finire la frase.

La figlia si alzò di scatto.

«Hai già vissuto la tua vita, papà. Pensa a noi, almeno una volta.» La sua voce era carica di irritazione.

«E tu, quando tornerai a trovarmi?» chiese lui, quasi sussurrando.

Lei era già alla porta. Si voltò e disse:

«Dopo che te ne sarai andato.»

La porta sbatté con un rumore secco, che rimbombò nell’appartamento come un colpo di pistola. Edoardo rimase seduto a lungo, immobile. Poi, raccolse le forze e chiamò suo figlio.

«Marco, parliamone. Tua sorella è venuta… ancora per la casa… Io non voglio venderla.» La sua voce era spezzata.

Dall’altra parte della linea, un sospiro.

«Papà, ma che vuoi fare? Sei solo, l’appartamento è enorme. Sinceramente, anch’io non direi di no a un aiuto. La mia macchina è vecchia, vorrei cambiarla. Vendila, non fare l’avaro.»

«E tu… quando verrai a trovarmi?» chiese, con un filo di speranza.

«Se venderai la casa, verrò.»

Non ascoltò oltre. Posò il telefono, prese il cappotto e uscì. Un peso enorme gli opprimeva il petto. L’aria gli sembrava densa, pesante. Camminò senza meta, finché non trovò una panchina vuota vicino al lago. Si sedette. Chino. Il cuore batteva lento, faticosamente. Poi… si fermò del tutto.

Edoardo Bianchi morì solo. Tra gli alberi, sotto un cielo grigio, con il telefono in tasca. Nessuno lo stava aspettando. Nessuno lo cercava. Nessuno lo amava. Il suo cuore non aveva resistito non al tradimento, ma all’indifferenza. Non era più importante come persona, come padre. Solo come proprietario di una casa.

E due giorni dopo, la porta dell’appartamento si aprì di nuovo. Era Giulia — con le chiavi in mano. Gli occhi asciutti, pieni di calcolo. E Marco — con la macchina nuova parcheggiata sotto casa. Nell’appartamento c’era odore di polvere e solitudine. E sul tavolo, una vecchia foto. Dove erano tutti insieme. Con la mamma. Con il papà. Felici. Ma era tanto tempo fa.

La felicità, come l’amore, se ne va. Soprattutto quando la misuri in metri quadrati e conti in banca.

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«Papà, cedi l’appartamento — hai già vissuto abbastanza». Dopo la risposta, la figlia disse tre parole e sbatté la porta.