Papà, volevo solo renderti orgoglioso: il racconto di una ragazza cresciuta troppo in fretta

«Papà, volevo solo che tu fossi orgoglioso di me»: la storia di una bambina cresciuta troppo in fretta

A soli sei anni, il mondo di Agnese si spezzò in due. Una sera come tante, suo padre raccolse le sue cose e uscì di casa. Non per lavoro. Non per fare la spesa. Ma per sempre. Allora lei non capiva ancora il significato di quella parola adulta e terribile: “divorzio”. Da quel momento, lui non tornò mai più. Non la strinse tra le braccia. Non la baciò sulla fronte prima di dormire. Non le disse: «Sono qui».

Sembra una storia come tante. Normale. Di questi tempi. Ma per una bambina piccola, fu la fine del mondo, perché lei era convinta: era colpa sua. Mangiava troppo. Servivano vestiti. Presto sarebbe andata a scuola, e costava. La mamma aveva perso il lavoro, e il povero papà non ce la faceva più… era stanco di portarsi dietro quel peso.

«Mamma, se mangio meno, papà torna? Posso mangiare solo a mensa…» sussurrò Agnese, con gli occhi azzurri pieni di speranza fissi sul viso della madre.

La donna la strinse al petto e pianse. Pianse a lungo, mentre Agnese mangiava sempre meno. Ma il papà non tornò mai.

Primo settembre. Agnese va a scuola per la prima volta. Camicetta bianca, gonna nera, giacchino e due fiocchi enormi, come le bambole in vetrina. Davanti allo specchio, pensò: «Se papà mi vedesse adesso, tornerebbe sicuro. Chi mai direbbe no a una figlia così bellina?»

La mamma le teneva la mano, nell’altra un mazzo di fiori per la maestra. Agnese era spaventata e felice insieme. Ma sopra ogni cosa, c’era una speranza disperata: papà verrà. Deve venire. Oggi non può mancare.

«Agnese, perché continui a guardarti attorno? Non aver paura, sono qui» le disse dolcemente la mamma.

Ma lei non aveva paura. Cercava. Cercava il padre tra la folla. Con gli occhi, col cuore, col respiro. Cercava, perché credeva: lui è qui. Solo che non lo vede. Forse neppure lui la vede. Ma lei è in prima fila, doveva notarla!

Quando la cerimonia finì, e li portarono in classe, Agnese tratteneva le lacrime a stento. Aveva fatto tutto quel che poteva, per niente. O forse no? E se l’avesse vista davvero, ma non si fosse avvicinato?

«Papà ci aspetta a casa?» chiese alla mamma sulla via del ritorno.

«Non lo so, tesoro…» rispose la donna con voce pesante.

Ma Agnese corse avanti, sicura: lui c’era. Aprì la porta… e trovò l’appartamento vuoto. Solo allora scoppiò a piangere. Davvero.

La mamma le accarezzò i capelli, le disse che forse il lavoro lo aveva trattenuto. Ma sapeva già da tempo: non sarebbe venuto. Non era venuto neanche quando lei stessa era andata da lui, supplicandolo:

«Marco, non ti chiedo niente. Ma Agnese aspetta. Ci crede. Vieni almeno una volta. Parlale.»

«Venire?» fece lui con un gesto sprezzante. «E poi? Serve un regalo, dei fiori… Non ho un euro. Non mentiamo ai bambini.»

«Ti auguro di soffocare con quei soldi…» sibilò la madre di Agnese, uscendo e sbattendo la porta.

Agnese cresceva. Silenziosa, ubbidiente, studiosa. Senza capricci, senza lamentele. Solo si sforzava, fino allo sfinimento, di essere brava. Studiava perfettamente. Non per ambizione, ma perché in fondo sperava: «Se sapesse che vado bene a scuola, verrebbe. Sorriderebbe. Mi accarezzerebbe. Direbbe che è orgoglioso di me.»

Ma lui non venne.

«Mamma, invitalo al mio compleanno? Non voglio regali. Che venga solo…»

La madre non rispose. E Agnese si chiuse in camera a piangere. Perché sapeva: non sarebbe venuto.

Finì il liceo con la lode. Il ballo di maturità, un evento che avrebbe dovuto essere un orgoglio per la famiglia. Il vestito pronto, i nonni arrivati dalla campagna. Ma due ore prima, si sedette sulla panchina fuori dalla casa del padre. Voleva invitarlo. Voleva mostrargli chi era diventata. Voleva che le dicesse, anche solo una volta: «Perdonami, figlia mia. Sono orgoglioso di te.»

Lui uscì dal portone. Una borsa a tracolla, lo sguardo distratto sui passanti. Le passò accanto. Senza riconoscerla.

«Papà!» gridò lei. «Sono io! Agnese!»

Si voltò. Un attimo di pausa.

«Sei cresciuta» disse freddo.
«Ho finito il liceo. Con lode. Vado a studiare a Milano…»

«Non ho soldi da dart«Non ho soldi da dartemi dispiace» rispose lui voltandole le spalle, mentre Agnese rimase immobile sul marciapiede, con il vestito di seta che svolazzava al vento come un fantasma del suo passato.

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